giovedi` 25 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica-La Stampa Rassegna Stampa
05.02.2017 E' Trump la minaccia, non l'Iran. Lo scrive il pasdaran Toscano
Giordano Stabile ristabilisce le posizioni di entrambi

Testata:La Repubblica-La Stampa
Autore: Roberto Toscano-Giordano Stabile
Titolo: «Iran, la minaccia di Trump-Il Pentagono contro l'Iran 'Siete sponsor dei terroristi'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/02/2017, a pag.24, l'articolo di Roberto Toscano. Dalla STAMPA a pag.5, quello di Giordano Stabile, entrambi sull'Iran. Introdotti da un nostro commento.

La Repubblica-Roberto Toscano: " Iran, la minaccia di Trump "

Immagine correlataImmagine correlata
Roberto Toscano                                                i suoi amici

Roberto Toscano, ex ambasciatore in Iran, ha conservato da sempre un bel ricordo degli anni passati a Teheran, la vita trascorsa accanto agli ayatollah, in quegli anni ma anche dopo, continua a dargli molte soddisfazioni. Lui ringrazia, scrivendo sì idiozie, ma su organi di stampa ritenuti credibili.  Molto stimato da Mario Calabresi, che traslocando a Repubblica se l'era portato via dalla Stampa. Il pezzo di oggi, sin dal titolo "Iran, la minaccia di Trump", capovolge la realtà. Non è l'Iran a minacciare il mondo intero, essendo l'origine della diffusione internazionale del terrorismo, e la minaccia reale che incombe sul Medio Oriente. E' Trump la minaccia! Sarebbe ridicolo se non fosse tragico. Basta un pezzo come quello di Toscano per togliere ogni credibilità a Repubblica.

La raffica di decreti presidenziali con cui Donald Trump ha iniziato la sua presidenza ha lasciato ben pochi dubbi sulla radicalità degli intenti di un personaggio che rivendica come caratteristica identitaria la mancanza di moderazione e di dialogo e per il quale la destabilizzazione è una precisa strategia politica. Rimane però chi, specialmente per quanto riguarda la politica estera, continua ad aggrapparsi alla speranza che l'incoerenza di Trump, opportunista piuttosto che ideologo, possa lasciare spazio a ripensamenti in senso meno estremo, meno destabilizzante. Su un tema, però, non esistono possibilità di equivoci, non ci sono contraddizioni. Si tratta dell'Iran, oggetto — negli ultimi giorni — di un rilancio di linguaggi coerentemente e sistematicamente aggressivi. Prendendo spunto dal lancio da parte di Teheran, il 29 gennaio, di missili balistici, il primo febbraio il Consigliere per la sicurezza nazionale Flynn ha «formalmente avvisato» l'Iran — minaccia cui ha fatto eco Trump, che ha aggiunto che non si deve escludere un'azione militare. Per usare un'espressione che non si sentiva a partire dalla conclusione dell'accordo nucleare, tutte le opzioni sono tornate sul tavolo. Il primo segnale è l'approvazione, venerdì scorso, di nuove sanzioni decretate formalmente in relazione alla questione dei missili e senza un rapporto con l'accordo nucleare ma che rivelano l'intenzione di trovare altri terreni su cui portare avanti il disegno di isolare e mettere alle corde l'Iran. In sé le prove di lancio di missili balistici non sarebbero sufficienti a giustificare una condanna dell'Iran, se mai una critica, dato che la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza esorta (calls upon) ma non impone all'Iran di astenersi dallo sviluppo di missili progettati ( designed) in modo da essere in grado di trasportare armi nucleari. L'Iran replica che le sue esigenze di difesa impongono lo sviluppo di una capacità missilistica convenzionale. Posizione sostenibile dal punto di vista giuridico ma, come ha dichiarato a Teheran il ministro degli Esteri francese Ayrault, criticabile sotto il profilo politico in quanto in contraddizione con il nuovo clima instaurato dall'accordo nucleare e inutilmente provocatoria. Ma Trump, contrario a quell'accordo, non ama le distinzioni. In uno dei suoi martellanti tweet afferma categoricamente che «gli iraniani non si stanno comportando bene» e aggiunge: «Stanno giocando col fuoco e non si rendono conto di quanto Obama sia stato indulgente con loro. Io no». Mai un passaggio di consegne alla Casa Bianca è stato cosi radicale: esce un professore di diritto costituzionale criticato dai progressisti per la sua moderazione di stampo centrista ed entra un uomo d'affari/showman che ha incorporato nel suo governo personaggi estremisti ( primo di tutti Steve Bannon ) e ha un linguaggio che ricorda quello dei personaggi di Clint Eastwood. Il linguaggio di chi è pronto a sfoderare la pistola e ci tiene a farlo sapere Stiamo andando verso un'ennesima guerra in Medio Oriente? La necessità di un dialogo con l'Iran era una convinzione di Obama e del suo segretario di Stato Kerry — un disegno politico che con grande difficoltà era riuscito ad imporsi contro un Congresso tradizionalmente e radicalmente ostile all'Iran. Oggi presidente e Congresso sono nuovamente in armonia. Il primo febbraio è stato presentato alla Camera dei rappresentanti il testo di una risoluzione (HJ. Res. 10 ) che autorizza il presidente a usare la forza «al fine di prevenire l'ottenimento di armi nucleari da parte dell'Iran». La pistola è ancora nel fodero, ma il proiettile è in canna. Ancora non vi è niente di irreversibile, ma il pericolo può derivare da un'escalation che potrebbe innescarsi a partire da incidenti nel Golfo Persico: Trump ha detto che lui affonderebbe le imbarcazioni iraniane che si avvicinano provocatoriamente alle navi della Marina americana. Dopo il risultato ottenuto con l'accordo nucleare, il Jcpoa, avevamo pensato che una guerra con l'Iran fosse diventata altamente improbabile. Oggi invece è ritornata ad essere drammaticamente possibile. Di fronte a questa prospettiva l'Europa ha il dovere di non limitarsi a seguire con il fiato sospeso lo svolgersi degli avvenimenti cercando di interpretare le esternazioni di Donald Trump. C'è troppo in gioco, sia per la nostra sicurezza che per i nostri interessi economici. Non solo, come stiamo già facendo, è giusto ribadire che per noi il Jcpoa rimane valido, ma dovremmo senza indugi rivolgere agli americani un pressante messaggio — anzi, un monito: se pensate a una guerra con l'Iran, non contate su di noi. Nel 2003 furono solo Francia e Germania ( che per questo si meritarono dal segretario alla Difesa americano la sprezzante definizione di «vec *** chia Europa» ) a dire di no alla guerra con l'Iraq e a un intervento che è all'origine di gran parte della catastrofe del Medio Oriente contemporaneo. Andrebbe detto agli americani di tenere presente che oggi le cose andrebbero diversamente, con ripercussioni molto negative su un'alleanza che rimane vitale sia per noi che per loro. E l'Italia? Adifferenza dai francesi, gli italiani non sono mai stati tentati da un antiamericanismo fatto di retorica e velleità nazionaliste. Anzi, per noi allinearci con Washington è sempre stato praticamente automatico: non dobbiamo dimenticare che nei 2003 l'Italia decise di accodarsi alla malaugurata guerra contro l'Iraq, insostenibile nelle sue false motivazioni e disastrosa nelle conseguenze. Oggi però è venuto il momento di chiarire che amicizia e alleanza non sono incondizionate, ma richiedono di considerare i reciproci interessi, nonché il rispetto delle norme internazionali e per noi, come dice la nostra Costituzione, «il ripudio della guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali».

La Stampa-Giordano Stabile: " Il Pentagono contro l'Iran, siete sponsor dei terroristi " 

A differenza di Toscano, il pezzo di Giordano Stabile riporta in modo equilibrato le posizioni americane e quelle degli ayatollah.

Immagine correlataImmagine correlata
                                                                             Giordano Stabile

Immagine correlata
nuclear action?

L’Iran mostra i muscoli, e i missili, e l’America lo accusa di essere «il più grande Stato sponsor del terrorismo». Il duello fra Teheran e l’Amministrazione Trump continua, in una escalation fatta per ora di dichiarazioni roboanti, tweet, sfoggio di nuove armi, sanzioni e minacce. Il Pentagono, al momento, esclude di «rafforzare il dispositivo militare» nel Golfo, ma è chiaro che la sfida fra Teheran e Washington è destinata A modellare la politica mediorientale dei prossimi anni. Ieri hanno cominciato i Pasdaran con l’annuncio di una esercitazione destinata a mostrare ai nemici «il grado di preparazione» delle forze armate e ribattere alle «sanzioni umilianti» imposte dalla Casa Bianca dopo il test missilistico del 29 gennaio. Poi, nella provincia di Semnan, i Guardiani della Rivoluzione, pilastro della Repubblica islamica, hanno testato missili e radar «made in Iran», per l’intercettazione di attacchi aerei. «Al primo passo falso dei nostri nemici i nostri missili rombanti pioveranno sulle loro teste», ha minacciato Ahmad Reza Pourdastan, comandante delle Forze di terra. La replica è arrivata dal segretario della Difesa James Mattis. In visita a Tokyo, l’ex generale soprannominato «Mad Dog» ha detto senza giri di parole che l’Iran «è il più grande stato che sostiene il terrorismo al mondo», anche se ha aggiunto di non vedere la necessità di rafforzare il numero dei militari americani in Medio Oriente. Le dichiarazioni arrivano dopo il tweet del presidente che accusava Teheran di «giocare con il fuoco». Per Teheran il test del 29 gennaio non ha violato gli accordi Onu. Il testo dell’intesa sul programma nucleare invita l’Iran a «frenare» il suo programma missilistico, specie per quanto riguarda vettori in grado di trasportare ordigni nucleare. Ma il testo lascia margini di ambiguità e, dopo la riunione di martedì, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite ha chiesto che il test venga «studiato» da una commissione. Le preoccupazioni del Pentagono sono anche altre. Riguardano le strette strategiche sulle rotte del petrolio. Prima di tutto quello di Hormuz, davanti alle coste iraniane, e quello di Bab el-Mandeb, davanti allo Yemen. Dove i ribelli sciiti Houthi hanno attaccato con barchini kamikaze una fregata saudita e il Pentagono ha inviato un cacciatorpediniere di rinforzo a tutela «della libertà di navigazione». I Pasdaran hanno sviluppato da tempo unità di motoscafi veloci in grado di compiere attacchi suicidi. E nello Yemen si combatte la più dura guerra per procura fra Iran e Arabia Saudita, uno dei principali alleati Usa nella regione. Lo Yemen, con il blitz dei Navy Seals di una settimana fa contro Al-Qaeda, e l’Iran sono al centro delle prime mosse dell’amministrazione Trump in Medio Oriente. In secondo piano, per ora, la lotta all’Isis, che pure doveva essere la priorità della nuova presidenza. 

Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Repubblica: 06/ 49821
La Stampa: 011/65681
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti


rubrica.lettere@repubblica.it
direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT