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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
04.02.2017 Trump: l'Iran gioca col fuoco
Cronaca di Paolo Levi, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa-Il Foglio
Autore: Paolo Mastrolilli-Editoriale del Foglio
Titolo: «Trump:' L'Iran gioca con il fuoco'-La Guantanamo di Trump»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2017,a pag.11, con il titolo " Trump: L'Iran gioca con il fuoco", la cronaca di Paolo Mastrolilli. Dal FOGLIO l'editoriale a pag.3

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Come promesso in campagna elettorale, Trump conferma il cambiamento di politica verso l'Iran.
Ma la politica della nuova Amministrazione verso Israele spinge gran parte dei media di oggi a evidenziare oltre misura le decisioni che verranno rese soltanto dopo l'incontro fra Trump e Netanyahu il 15 febbraio a Washington. "Trump frena Israele", "Schiaffo a Israele" sono alcuni dei titoli usciti oggi, che esprimono evidentemente il 'wishful thinking' di chi li ha scelti. Per ora rimane dunque un pio desiderio, solo dopo il loro prossimo incontro si conoscerà nei dettagli quale sarà la politica di Trump verso Israele.

La Stampa-Paolo Mastrolilli: "Trump:' L'Iran gioca con il fuoco"

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Paolo Mastrolilli

«L'Iran gioca col fuoco». Così ha twittato ieri il presidente Trump, mentre la sua amministrazione imponeva nuove sanzioni a Teheran, per punirla del test missilistico condotto domenica e dell'aiuto fornito alle milizie degli houthi in Yemen. Le misure non toccano l'accordo nucleare, e sono basate su provvedimenti che erano stati presi da Obama, ma rappresentano il chiaro segnale di un cambio di strategia verso la Repubblica islamica Le reazioni già arrivate dall'Iran lasciano prevedere un'escalation, e lo stesso capo della Casa Bianca ha detto che tutte le opzioni restano sul tavolo, inclusa quella militare. Domenica le forze armate di Teheran hanno lanciato un missile di medio raggio, che ha volato circa mille chilometri prima di esplodere in aria. Due giorni dopo il consigliere per la Sicurezza nazionale Flynn ha condannato il test, ha detto che violava la risoluzione Onu alla base dell'accordo nucleare, e ha minacciato ritorsioni. La Repubblica islamica ha risposto che non aveva violato nulla, perché la risoluzione vieta solo i vettori capaci di trasportare testate atomiche. Ieri però è arrivata la ritorsione di Washington, dove il dipartimento al Tesoro ha imposto nuove sanzioni contro 25 individui e imprese iraniane, libanesi, cinesi, perché hanno facilitato il programma missilistico. La distinzione è fondamentale, perché la rappresaglia non tocca l'accordo nucleare. Gli strumenti per contrastare il riamo convenzionale di Teheran erano stati già messi in atto dall'amministrazione Obama, e Trump li ha semplicemente usati per rispondere ad una provocazione. In teoria quindi ha seguito la linea del suo predecessore, come ha fatto giovedì quando il portavoce Spicer ha invitato Israele a non costruire nuovi insediamenti, e quando l'ambasciatrice all'Onu Haley ha ribadito che le sanzioni contro la Russia per la crisi ucraina resteranno in vigore. In realtà il cambio di approccio è evidente. Infatti la Repubblica islamica, già inserita nella lista dei 7 paesi banditi dagli Usa, ha subito risposto imponendo misure contro «i cittadini americani che aiutano i terroristi locali». Il ministro degli Esteri Zarif ha detto che «noi non abbiamo intenzione di attaccare nessuno, ci armiamo solo per difenderci». L'ayatollah Khatami ha accusato gli americani di «combattere contro l'Islam. Viviamo in un mondo pieno di lupi, come gli Usa, e in un mondo così abbiamo bisogno di armi per difenderci». Le nuove sanzioni non hanno un grande impatto pratico, ma rappresentano un avvertimento. Puniscono il test, ma anche la collaborazione iraniana con gli houthi, e così segnalano all'Arabia la volontà di ricostruire un'alleanza contro l'Iran, come dimostrava ieri la presenza della nave da guerra Cole davanti alle coste dello Yemen. Se Teheran continuerà a «comportarsi male», come ha detto ieri Trump, lo scontro si acuirà. La prima opzione è quella di aumentare le sanzioni, per rimettere il regime in difficoltà economica, e favorire così anche l'opposizione interna che già nel 2009 poteva rovesciarlo. La seconda è annullare l'accordo nucleare, anche se finora Washington ha preferito tenerlo fuori dalla disputa. La terza, nel peggiore dei casi, è quella militare, che il presidente non ha escluso. Di sicuro il vento è cambiato: «L'Iran gioca col fuoco. Non hanno apprezzato quanto il presidente Obama sia stato gentile verso di loro. Ma io non lo sarò!».

Il Foglio: " La Guantanamo di Trump "

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L’Amministrazione Trump ha annunciato ieri nuove sanzioni economiche contro 13 individui e 12 compagnie o entità governative dell’Iran, un giorno dopo aver lanciato un “avvertimento” contro Teheran per il test di nuovi missili balistici e altre attività militari. Le sanzioni sono simili a quelle poste dall’Amministrazione Obama circa un anno fa, e rientrano in una serie di mosse in politica estera che potremmo definire convenzionale, dopo i primi dieci giorni esplosivi a cui il presidente Trump ci aveva abituato. Dopo un esordio di fuoco in cui ha creato una crisi diplomatica senza precedenti con il Messico, ha offeso un alleato storico e fedelissimo come l’Australia, ha provocato la protesta di mezzo mondo con il suo ordine esecutivo sull’immigrazione, nelle ultime ore Trump ha iniziato invece una serie di mosse più circospette che, hanno notato in molti, non sarebbero risultate strane se applicate dalla vecchia Amministrazione Obama. Le già citate sanzioni all’Iran, per esempio, che implicano una politica dura la quale però, almeno per ora, non prevede la completa eliminazione del deal nucleare. Anche il freno, seppure estremamente circostanziato, che il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha imposto alla costruzione di nuovi insediamenti israeliani (“Anche se non riteniamo che l’esistenza degli insediamenti sia un ostacolo alla pace, la costruzione di nuovi insediamenti o l’espansione di quelli già esistenti oltre i loro confini attuali potrebbe non essere d’aiuto nel raggiungere questo obiettivo”) è una sterzata in senso convenzionale rispetto alla rivoluzione dei rapporti nel conflitto israelo-palestinese che la nuova Amministrazione sembrava annunciare. Lo stesso vale per le parole dell’ambasciatrice americana all’Onu Nikki Haley, che ha detto chiaro, smentendo le voci che erano circolate nelle scorse settimane, che l’America non toglierà le sanzioni alla Russia fino a che Mosca continuerà a destabilizzare l’Ucraina e a occupare la Crimea. E’ troppo presto per dire che Trump si sta normalizzando. Notiamo, al contrario, che queste mosse della nuova circospezione trumpiana sono state tutte messe in atto da membri dell’Amministrazione, non dal vulcanico presidente. Ma come la chiusura di Guantanamo promessa da Obama e mai arrivata, anche Trump dovrebbe ricordare che nella politica estera americana ci sono delle costanti che è meglio maneggiare con cura. I suoi sottoposti l’hanno capito. Bisogna vedere cosa farà il presidente.

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