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Il Sole24Ore - Il Manifesto Rassegna Stampa
10.01.2017 Menzogne e odio contro Israele
Con Ugo Tramballi, Zvi Schuldiner, Michele Giorgio

Testata:Il Sole24Ore - Il Manifesto
Autore: Ugo Tramballi - Zvi Schuldiner
Titolo: «Se il terrorista palestinese uccide in nome del Califfo - La propaganda e l'occupazione militare»

Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 10/01/2017, a pag. 17, con il titolo "Se il terrorista palestinese uccide in nome del Califfo", il commento di Ugo Tramballi; dal MANIFESTO, a pag. 1-9, con il titolo "La propaganda e l'occupazione militare", il commento di Zvi Schuldiner.

L'articolo di Ugo Tramballi e quello di Zvi Zchuldiner sono i peggiori, insieme a quello di Michele Giorgio, tra quanti vengono oggi pubblicati sulla stampa italiana. Non riprendiamo il pezzo di Giorgio, un articolo molto simile a quello di Tramballi - una convergenza non nuova tra gli esteri del giornale della Confindustria e il quotidiano comunista - né quello di Umberto De Giovannangeli sull' UNITA', un pezzo non altrettanto estremo ma in ogni caso sbilanciato contro Israele (in particolare in un passo in cui UDG sostiene che la pace sia lontana perché "in entrambi i fronti prevale la linea dura", mettendo di fatto sullo stesso piano il governo israeliano e i terroristi palestinesi).

Ugo Tramballi scrive un articolo ignobile.

1) Esordisce definendo Netanyahu "populista". Poco importa dell'attentato che ha visto la morte di quattro giovani reclute israeliane, a Tramballi interessa solo attaccare Netanyahu, peraltro senza argomentare.

2) Il terrorista assassino sarebbe un "lupo solitario". Una formula comoda per evitare di scrivere dell'odio per ebrei e israeliani diffuso tra gli arabi palestinesi.

3) Ecco come Tramballi riscrive la storia del terrorismo palestinese: "i palestinesi, votati al raggiungimento dell'indipendenza nazionale attraverso la diplomazia, la resistenza armata o il terrorismo". Il terrorismo viene citato all'ultimo posto, mentre è da sempre l'unico mezzo adottato da chi vuole la distruzione di Israele.

4) Conclude Tramballi: "Prima che nascesse lo stato d'Israele, 68 anni fa, anche nella comunità ebraica di Palestina, lo Yishuv, alcuni pensavano che il terrorismo fosse uno strumento legittimo per raggiungere uno scopo così alto. Lo stato con le sue istituzioni rese inutile quel terrorismo". Due righe che mettono sullo stesso piano Israele e la ferocia dei terroristi palestinesi. Negli anni '30 esistevano organizzazioni militari clandestine ebraiche, ma non colpivano in modo indiscriminato e volevano l'indipendenza di Israele, non la distruzione di un altro Paese.

Zvi Schuldiner non è da meno. Secondo il suo articolo:

1) "Netanyahu è un grande maestro nell'arte della propaganda". Un modo singolare di commentare un attentato palestinese contro Israele.

2) "Più paura significa più destra, più terrore di Stato da parte di Israele". Ancora una volta, l'unica ossessione sembra essere il governo di Israele, accusato di ogni nefandezza.

3) "la società perde gli ultimi freni democratici e precipita in una realtà di repressione crescente". Questa è la sintesi e la conclusione di Schuldiner. Peccato che la realtà sia ben diversa: Israele è un Paese vitale, ricco di fermenti e di idee differenti. Il terrorismo non piegherà Israele.

Ecco gli articoli:

IL SOLE24ORE - Ugo Tramballi: "Se il terrorista palestinese uccide in nome del Califfo"

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Ugo Tramballi

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Come tutti i populisti, spesso Bibi Netanyahu enfatizza e mistifica i pericoli che Israele corre dalla sua fondazione. Annunciando con certezza che il terrorista palestinese di domenica era dell'Isis, questa volta ha forse avuto ragione. È difficile che l'attentatore che ha ucciso quattro soldati sia il terminale di un'organizzazione: sembra piuttosto un lupo solitario. Ma tutto lascia credere che per la prima volta in Israele il califfato sia l'ispiratore, se non il mandante di un atto terroristico. Se è come sembra - e come afferma il premier israeliano - è un duro colpo e una seria minaccia per lo stato ebraico: significa che anche i palestinesi, votati al raggiungimento dell'indipendenza nazionale attraverso la diplomazia, la resistenza armata o il terrorismo, sono così disperati da rassegnarsi alla scappatoia di un califfato medievale e al solo strumento del terrore per ottenerlo.

Se dopo decenni di lotta per uno stato-nazione, i palestinesi incominciano ad essere attratti dal folle modello di comunità islamica transnazionale, il leader israeliano ha ragione a denunciare il pericolo. Dovrebbe anche chiedersi però quali siano le cause di tanta pericolosa rassegnazione. E perché, come scriveva ieri il giornale israeliano Ha'aretz, «un gruppo di soldati israeliani non è un'immagine neutrale per nessun palestinese». Il muro costruito per dividere Israele dai territori occupati (e per annettere qualche altro ettaro di territorio) è stato fondamentale per dare a Israele più sicurezza. L'altro pilastro è da anni la collaborazione dei servizi di sicurezza palestinesi in Cisgiordania: diversamente dal governo Netanyahu, i comandi militari e lo Shin Bet israeliani lo hanno sempre riconosciuto.

Ma un lupo solitario come l'attentatore di domenica che non era affiliato ad alcun movimento politico o religioso, è difficile da individuare anche per chi conosce gli anfratti del tessuto sociale palestinese. Per l'intero apparato israeliano della sicurezza le principali minacce erano e restano, l'Iran, Hezbollah libanese e Hamas palestinese in questo ordine d'importanza. Nonostante la regione e i suoi protagonisti attorno a Israele siano cambiati. Hanno dunque ragione i professionisti, gente che porta la divisa da decenni e ha combattuto più di una guerra per il paese, gli stessi esperti che erano contrari a bombardare l'Iran e convinti che un efficace strumento della sicurezza d'Israele sarebbe permettere la nascita di uno stato palestinese; o ha ragione Bibi Netanyahu che sintetizza la complessità della questione palestinese nel solo fenomeno terroristico che pure esiste? È giusta la similitudine sulla quale Netanyahu insiste fra il terrorismo a Gerusalemme e quello che ha colpito Nizza e Berlino? Il concetto è che il terrorismo è terrorismo, ed è immorale fare distinzioni. O è più giusto ciò che ancora scrive Ha'aretz: «Gerusalemme non è Nizza non solo perché non ha il mare. Nizza non ha il 40% dei suoi residenti (i cittadini arabi di Gerusalemme, n.d.r.) senza diritti civili, sotto occupazione e in condizioni di vita umilianti»? Le stesse idee sul rapporto di causa-effetto del terrorismo e dell'occupazione erano state espresse dal sindaco di Tel Aviv l'ultima volta che la sua magnifica città era stata aggredita da un terrorista palestinese.  

Prima che nascesse lo stato d'Israele, 68 anni fa, anche nella comunità ebraica di Palestina, lo Yishuv, alcuni pensavano che il terrorismo fosse uno strumento legittimo per raggiungere uno scopo così alto. Lo stato con le sue istituzioni rese inutile quel terrorismo, e il sistema democratico permise che anni dopo Yitzhak Shamir, uno dei capi di quel terrorismo, potesse legittimamente diventare primo ministro. Probabilmente non accadrà mai: ma è un modello che i palestinesi potrebbero imitare, avendone la possibilità.

IL MANIFESTO - Zvi Schuldiner: "La propaganda e l'occupazione militare"

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Un camion guidato da un palestinese diventa strumento di morte e uccide quattro giovani reclute che partecipavano a un corso di formazione militare a Gerusalemme, in un luogo molto bello, non lontano da Zur Baher: villaggio palestinese diventato, a partire dal 1967, sobborgo in una città teoricamente unificata. Ma in realtà profondamente divisa. Fadi al-Kanbar, palestinese di 28 anni, padre di quattro figli, era camionista; i vicini dicono che non svolgeva attività politica; in serata il Fronte popolare l'ha indicato come uno dei suoi membri, ma la famiglia ha smentito: per la sorella ha deciso di sacrificarsi perché «così aveva deciso dio, e a dio va resa grazia».

Nizza. Berlino. I camion. Anche qui un camion. In Europa è stato Daesh, il sedicente Stato islamico. II suo nuovo sistema? Dimentichiamo che qui lo hanno inventato prima e che già in vari casi negli ultimi anni, automobili, trattori e altri veicoli sono diventati un'arma mortale. Ma l'associazione mentale con l'Europa è quasi immediata; perché allora ricordare che il sistema è piuttosto diffuso, qui? Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, in generale evita di recarsi sui luoghi degli attentati. Siccome ha promesso sicurezza e lo sradicamento del terrorismo, in genere è meglio per lui evitare...ma stavolta è andato. Guarda caso, proprio mentre era di certo preoccupato per le accuse e le indagini che lo riguardano direttamente. Diversi e problematici casi di corruzione erano infatti la notizia centrale e più piccante nel paese, finché appunto non è avvenuto l'attacco.

Per ore e ore, tutte le versioni dei diversi organi di sicurezza hanno ripetuto che non si sapeva niente di motivi e di identità politica dell'attentatore. Ma già pochi minuti dopo l'arrivo di Ñetanyahu, ecco che viene diffusa una versione pesante: l'omicida ha usato un sistema tipico di Daesh e quindi di certo era un attivista o simpatizzante di quest'organizzazione. Netanyahu è un grande maestro nell'arte della propaganda. L'attacco è stato ispirato da Daesh, forse ordinato da Daesh, eseguito apparentemente da un militante o simpatizzante del califfato: si spera che il mondo reagisca come è suo dovere!

Nella notte, il Consiglio di sicurezza Onu ha condannato con forza l'assassinio dei soldati. Il messaggio è chiarissimo: è Daesh, islam, terrorismo. Non sono le cose di cui tratta il Consiglio di sicurezza Onu quando discute degli insediamenti. Quelli non sono il problema. II problema è il terrore. II messaggio, per gli israeliani e la comunità internazionale, è chiaro. Gli israeliani devono smettere di discutere di stupidaggini, come le presunte faccende di corruzione. Il sentimento di paura deve aumentare. Più paura significa più destra, più terrore di Stato da parte di Israele. Terrore «giustificato»: distruggeremo la casa dei suoi familiari, li priveremo dei diritti che avevano come abitanti di Gerusalemme, puniremo la popolazione di Zur Baher perché capisca qual è il prezzo che si paga per il terrore.

La comunità internazionale riceve un messaggio analogo, che cade sul terreno fertile dell'odio antislamico alimentato dalle destre in Germania, Francia, Italia, Ungheria, alla fine in tutta Europa. L'islamofobia è all'ordine del giorno anche negli Stati uniti. Per tutti questi, va bene il messaggio di Netanyahu il quale, in sintesi, dice che siamo tutti sullo stesso fronte: mondo civile contro islam criminale. Così, la questione palestinese non si pone se non in manifestazioni marginali. Tutti - «tutti» vuol dire gli europei e gli israeliani - debbono capire che il terrorismo è la questione essenziale a livello mondiale e che un fronte unito deve essere il miglior rimedio per combattere l'islam. Grazie all'islam e al terrore è possibile far dimenticare che la questione centrale è un'altra.

È possibile che Fadi al-Kanbar fosse un fanatico islamico, magari impressionato dall'efficacia criminale dei camion a Nizza e Berlino. Ma a Gerusalemme, l'unificata, la divisa, l'odio rende l'aria irrespirabile, perché il conflitto israelo-palestinese continua ad aggravarsi. La repressione cresce giorno per giorno ed è sempre più forte la sensazione che manchi un orizzonte di miglioramento. Disperazione, paura e odio producono i loro effetti. Milioni di palestinesi sprovvisti di diritti umani e politici, privati della nazionalità, perdono ogni speranza di un futuro migliore, in una situazione che peggiora a vista d'occhio. Il risultato è molto semplice e tragico e continuerà a far pagare un prezzo che potrebbe crescere, in termini di sangue, mentre al tempo stesso la società perde gli ultimi freni democratici e precipita in una realtà di repressione crescente.

Questa è l'essenza del problema, ed è auspicabile che le forze liberali e favorevoli alla pace si dissocino con forza da un nuovo tentativo di alimentare l'islamofobia dimenticando la necessità di trovare formule che portino alla pace e permettano l'attuazione concreta di diritti umani e politici. Anche per il popolo palestinese.

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