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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.10.2016 Siria: le ambiguità dei 'liberatori', la vuotezza di Federica Mogherini e Sergio Romano
Analisi di Carlo Panella, cronaca di Marco Bresolin, l'incompetenza di Sergio Romano

Testata:Libero - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Carlo Panella - Marco Bresolin - Sergio Romano
Titolo: «L'alleanza anti-Isis vince ma fa disastri - Mogherini mediatrice sulla Siria - Una agenda per l'Europa: che cosa fare per la Siria»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/10/2016, a pag. 13, con il titolo "L'alleanza anti-Isis vince ma fa disastri", l'analisi di Carlo Panella; dalla STAMPA, a pag. 10, con il titolo "Mogherini mediatrice sulla Siria", la cronaca di Marco Bresolin; dal CORRIERE della SERA, a pag. 41, con il titolo "Una agenda per l'Europa: che cosa fare per la Siria", la risposta a un lettore di Sergio Romano.

Lucido come sempre nell'analisi Carlo Panella, mentre Sergio Romano scrive un articolo vuoto. La vuotezza di Romano è simile a quella di Federica Mogherini, la cui incompetenza è un dato di fatto che più volte abbiamo sottolineato. Mogherini e Romano dovrebbero leggere con attenzione l'analisi di Zvi Mazel sulla Siria e il Medio Oriente, pubblicata oggi da IC in altra pagina. Zvi Mazel e Sergio Romano: due ex ambasciatori, il primo ragiona con competenza, il seconodo no.

Ecco gli articoli:

LIBERO - Carlo Panella: "L'alleanza anti-Isis vince ma fa disastri

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Carlo Panella

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Bombe su una città siriana

Con due anni di ritardo sulle promesse, è partita ieri la spallata finale della Coalizione anti Isis per conquistare Mosul, sede del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. Molte le incognite. La principale riguarda il comando delle operazioni di terra: i 30.000 soldati che partono all'assalto della seconda città dell'Iraq, infatti, sono incredibilmente in realtà sotto il comando del generale iraniano dei Pasdaran Ghassem Suleimaini. Non solo, tra loro, molte migliaia appartengono alle milizie sciite di Moqtada al-Sadr, che nei precedenti assalti di Falluja, Tikrit e Ramadi si sono comportati con i civili sunniti, esattamente come l'Isis con i cristiani: esecuzioni sommarie, vessazioni, tagli di teste dei prigionieri, denunciati da molte organizzazioni umanitarie, a rappresentare la volontà congiunta di queste milizie e degli iraniani di sottoporre i sunniti al dominio autoritario degli sciiti.

A questo, si è sommata una strategia dei bombardamenti aerei di tipo «ceceno» sia da parte dell'aviazione russa, che di quella Usa e occidentale. Tikrit, Falluja e Ramadi sono infatti state «liberate» solo dopo che il 70-80% degli edifici civili sono stati sbriciolati dal cielo con innumerevoli vittime civili. Una strategia vincente sul piano militare, ma disastrosa sul piano politico, perché allarga, invece di contrastare, il risentimento dei civili sunniti nei confronti dei «liberatori» sciiti. D'altronde, proprio nell'odio anti sunnita degli sciiti iraniani e iracheni si trova la risposta a un dato colpevolmente dimenticato dai media e criminalmente sottovalutato dagli Usa: larga parte dei sunniti iracheni e anche delle tribù dell'Anbar hanno sinora preferito, sovente scelto lucidamente, il feroce dominio dell'Isis, alla «liberazione» da parte degli sciiti.

Ma non sono solo queste le incognite di questa battaglia sulla quale si ha una sola certezza: sarà feroce. Innanzitutto non è chiaro se l'Isis considera questa la sua «Stalingrado», un presidio che va difeso sino alla morte. Oppure se la considera un obiettivo da difendere con vigore, infliggendo agli attaccanti il massimo delle perdite possibili, ma non sino a impegnarvi allo spasimo, sino alla fine, tutto il suo potenziale militare. Non basta. Alle truppe di terra che attaccano Mosul si sono ora aggiunti reparti militari turchi (che domenica hanno dato un contributo determinante alla conquista di Dabiq, in Siria) che non accettano il comando del generale iraniano Suleimaini e che sono ostili alle milizie sciite irachene.

Queste truppe turche, appoggiate dall'aviazione di Ankara, sono per di più coordinate con i peshmerga curdi iracheni, che le hanno fatte entrare in Iraq, suscitando l'ira del governo di Baghdad. Sarà dunque interessante verificare quanto omogenee saranno le strategie dei vari comparti degli attaccanti. Una sola cosa è certa: la battaglia di Mosul sarà un calvario per il suo milione e mezzo di abitanti (un altro milione ha lasciato la città dal 2014 a oggi). Mosul è una metropoli in cui l'Isis ha governato per due anni dispiegando un mix di ferocia e conquista del consenso (come sanno i massimi esperti della sicurezza di Israele). È certo che l'Isis cinicamente userà dei civili come scudo contro gli attaccanti. Ma non è affatto detto che tutta la popolazione di Mosul non veda l'ora di essere «liberata».

LA STAMPA - Marco Bresolin: "Mogherini mediatrice sulla Siria"

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Marco Bresolin

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Federica Mogherini

Da un lato la forte condanna dei raid di Damasco e Mosca su Aleppo, considerati possibili «crimini di guerra», dall’altro la volontà di guardare avanti per costruire il futuro del Paese. La questione siriana ieri ha quasi monopolizzato il vertice dei ministri degli Esteri europei. Il Consiglio ha incaricato Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica estera Ue, di avviare una serie di colloqui con i Paesi dell’area – Iran, Turchia e Arabia Saudita – per pensare al domani della Siria. Decisione che viene vista come ulteriore passo avanti verso una sempre più forte politica estera comune.

CORRIERE della SERA - Sergio Romano: "Una agenda per l'Europa: che cosa fare per la Siria"

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Sergio Romano

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Quello che impariamo dall'articolo di Sergio Romano

Nella crisi Russia-Stati Uniti quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa? Anche nell’attuale crisi siriana l’Ue non sembra particolarmente influente. Proprio in una fase così delicata, definita pericolosa dallo stesso Gorbaciov, ci sarebbe bisogno di una presenza decisiva.

Gabriele Salini
gabriele.salini@gmail.com 


Caro Salini,
Il problema maggiore, anche per i rapporti con la Russia, è la Siria: una crisi mediterranea che dovrebbe interessare l’Europa molto più di quanto interessi gli Stati Uniti, soprattutto in una fase in cui l’America, sotto la presidenza di Barack Obama, sembra desiderosa di limitare i furori interventisti del doppio mandato di George W. Bush. Il Mediterraneo è la frontiera meridionale dell’Ue. Dai nostri dirimpettai sull’altra sponda dipendono in buona parte le nostre forniture energetiche, lo sviluppo economico delle nostre regioni meridionali e la nostra sicurezza.

Vi sono problemi nel Mediterraneo che possono essere risolti soltanto con la collaborazione dei governi arabi; e non può esservi collaborazione là dove i governi locali sono instabili, insicuri o addirittura impegnati in una sanguinosa guerra civile. Ma nel caso della Siria, come in quello della Libia, i membri dell’Ue, anziché cercare iniziative comuni, si muovono separatamente con strategie individuali che finiscono per nuocere a tutti i Paesi dell’Unione. Francia e Gran Bretagna esibiscono i muscoli, forse perché credono che la presenza militare garantirà ai loro governi un posto al tavolo dei negoziati, se e quando si comincerà a negoziare. L’Italia preferisce occuparsi della Libia, dove ha maggiori interessi, ed è stata sinora incapace di tenere separato il caso Regeni dalla necessità di un rapporto fattivo con il governo egiziano. La Spagna ha la fortuna di avere di fronte a sé il Marocco, il Paese più stabile della regione, ed è troppo assorbita dalla propria crisi per interessarsi di ciò che accade nel resto del Mediterraneo.

La Germania sta a guardare e si limita a qualche deplorazione per i bombardamenti di Aleppo e la sorte della sua popolazione. La guerra civile siriana è un nido di vipere dove i Paesi maggiormente impegnati – Stati Uniti, Russia, Turchia, Arabia Saudita, Iran – combattono guerre diverse e ciascuno di essi contribuisce a rendere il nodo sempre più imbrogliato. Ma quanto più i maggiori attori sono coinvolti nel conflitto, tanto più si avverte la mancanza di un arbitro a cui i contendenti prima o poi dovranno rivolgersi. L’Unione Europea non vuole vincere una guerra, ma può creare le condizioni per la pacificazione e la ricostruzione della regione quando finalmente avranno smesso di combattere. Sarà credibile e convincente, tuttavia, soltanto se avrà dimostrato di non essere soltanto una somma di interessi individuali, incapace di fare valere le proprie qualità e i mezzi di cui dispone.

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