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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/09/2016, a pag. 2, con il titolo "Giordania, 'ha insultato l'islam': un imam uccide lo scrittore Hattar", la cronaca di Rolla Scolari; dal MESSAGGERO, a pag. 11, con il titolo "A rischio l'apertura del re agli islamisti", il commento di Azzurra Meringolo; dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, con il titolo "Paese in bilico tra jihadisti e disagio economico", il commento di Guido Olimpio. Di fronte all'assassinio dello scrittore e giornalista cristiano giordano Nahed Hattar, Rolla Scolari è fin troppo cauta quando definisce un "tabù" lo Stato laico nel mondo islamico: non solo è un tabù, ma chi la pensa diversamente finisce ucciso come Hattar. Il commento di Azzurra Meringolo, invece, è del tutto disinformante. Nel quadro del Medio Oriente che disegna dimentica di citare l'unica vera democrazia, Israele. Per non dire del fatto che la stessa Giordania non sarebbe riuscita a resistere all'urto dello Stato islamico senza i consistenti aiuti militari di Gerusalemme, che hanno permesso di arginare i terroristi. Sia Meringolo sia Guido Olimpio e Scolari non fanno cenno a questo fondamentale aspetto. Tra i giornaloni nazionali, soltanto il Corriere della Sera ha pubblicato la vignetta. Niente sulla Repubblica o sulla Stampa. Altri giornali a minor diffusione l'hanno invece pubblicata: Libero e il Giornale. Ai lettori trarre la morale. Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Rolla Scolari; "Giordania, 'ha insultato l'islam': un imam uccide lo scrittore Hattar "
Un giornalista e scrittore giordano è stato ucciso a colpi di pistola all’entrata di un tribunale di Amman per aver condiviso su Facebook una vignetta considerata offensiva nei confronti dell’Islam. IL MESSAGGERO - Azzurra Meringolo: "A rischio l'apertura del re agli islamisti"
Nonostante la guerra alle porte del Paese, i 650 mila profughi siriani accolti e la crescita del jihadismo, la Giordania è uno dei pochi Paesi della regione a non essere caduta nel baratro della violenza. Uscita quasi indenne dalla stagione delle cosiddette primavera arabe, l'economia del regno hashemita è tra le più stabili del Medio Oriente. Questo anche se la Giordania non è certo il gigante economico della regione. La sua ottima performance è dovuta soprattutto alla stabilità politica imposta da Re Abdallah. Per molti in Occidente è lui il sovrano più illuminato del Medio Oriente, visto che non ha avuto paura a scendere in campo per sconfiggere l'autoproclamatosi "stato islamico", rimettendoci la vita di un suo pilota, bruciato vivo dai tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi. Ma tra Petra ed Amman non tutti la pensano così e pur osservando le riforme da lui realizzate per tenere fuori dai confini del Regno l'ondata rivoluzionaria del 2011, sono molti i giordani che lamentano di faticare a conquistarsi spazi significativi di libertà di espressione su questioni che la monarchia vuole condividere solo con la sua intelligence. QUOTE ROSA Ecco perché, dopo un lungo dibattito, è stata cambiata la legge elettorale per scegliere, il 20 settembre scorso, i membri di un Parlamento più rappresentativo di quello uscente, ma allo stesso tempo abbastanza moderato da approvare decisioni non indigeste alla casa regnante. Il risultato ha portato all'ingresso nell'Assemblea di 20 donne (due in più rispetto a quelle della precedente legislatura e 5 in più di quelle previste dalla quota rosa), di rappresentati delle minoranze etniche e religiose e di esponenti del movimento dei Fratelli musulmani. Questi ultimi sono tornati alle urne dopo il boicottaggio degli anni precedenti per evitare di subire la stessa sorte dei colleghi egiziani spazzati via dal regime di Abdel Fattah al Sisi. LA FRATELLANZA Pur ottenendo un numero di seggi inferiore a quello indicato dai sondaggi, la Fratellanza è diventato il principale gruppo parlamentare. Questo però non vuol dire che sarà influente. Ora che è stata cooptata dal sistema, la Fratellanza dovrà accettare anche soluzioni indigeste. I poteri veri poi non appartengono al Parlamento, ma restano saldamente nelle mani della monarchia. CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "Paese in bilico tra jihadisti e disagio economico"
La Giordania rischia di incamminarsi su un sentiero già visto altrove e che potrebbe portare conseguenze peggiori. L’omicidio di Nahed Attar è stato preceduto da episodi gravi e non è isolato. A novembre di un anno fa un ufficiale ha ucciso due istruttori americani, il 6 giugno terroristi hanno attaccato una sede dell’intelligence a Baqa, il 21 c’è stato un attentato firmato Isis alla frontiera. Tra i lampi di violenza diverse retate delle unità anti-terrorismo che, dal 2015, hanno accentuato la pressione nel timore di nuovi attentati. Alcune di queste fiammate sono zampilli del rogo siriano, altre nascono in casa. Come ha scritto un quotidiano «il pericolo viene dall’interno e non da fuori», anche se è inevitabile che quanto sta avvenendo nel paese vicino influenzi la Giordania. Il reclutamento di jihadisti si sta estendendo e non solo nelle moschee. Cellule sono nate nelle università, in ambienti insospettabili, con giovani appartenenti alla classe media attirati dal messaggio di lotta. Non pochi sono andati a combattere. Almeno 2500 mujaheddin si sono arruolati nelle file dell’Isis e in quelle dei qaedisti per poi partecipare alla guerra civile siriana. Una continuazione di quanto è avvenuto nel passato. Il padre della prima al Qaeda irachena è stato Abu Musab al Zarkawi, nato a Zarqa, in Giordania. I predicatori hanno avuto vita facile nell’adescare seguaci. La situazione economica nel paese è un buon alleato, visto che la disoccupazione tra le persone sotto ai 30 anni sfiora il 40 per cento e l’economia, in un paese che oltre ai problemi strutturali ha accolto un mare di profughi, boccheggia. Le tensioni sociali, le vecchie divisioni unite a quelle più recenti, aprono spazi per gli estremisti. Il sovrano ha accentuato la sorveglianza, ha aumentato le forze di sicurezza ai confini, ha addormentato quella parte di ribellione siriana che assisteva attraverso un «centro» nella capitale. Un rallentamento che ha sconcertato gli insorti. Sempre l’esecutivo - oggi dimissionario - ha lanciato un programma di de-radicalizzazione che, come in altre parti, ha portato risultati non sufficienti. E il re Abdallah si è affidato all’assistenza dell’Ovest, partendo dall’1,6 miliardi di dollari garantiti dagli Usa, la metà dei quali riservati al budget della difesa. Un cammino in equilibrio su un filo sempre più sottile. Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare: direttore@lastampa.it redazioneweb@ilmessaggero.it lettere@corriere.it |
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