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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
27.07.2016 Europa sotto attacco: basta menzogne e frasi concilianti. E' una guerra di religione, dobbiamo combatterla per sopravvivere
Editoriali di Maurizio Molinari, Angelo Panebianco, Claudio Cerasa

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Angelo Panebianco - Claudio Cerasa
Titolo: «I volontari carnefici del Califfo - Le realtà negate - Il genocidio cristiano arriva in Europa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/07/2016, a pag. 1, con il titolo "I volontari carnefici del Califfo", l'editoriale di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 1, con il titolo "Le realtà negate", l'editoriale di Angelo Panebianco; sul FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Il genocidio cristiano arriva in Europa", l'editoriale di Claudio Cerasa.

Per capire l'islam e la sua funzione politico-religiosa basta osservare con attenzione quello che ha fatto il terrorista dopo aver sgozzato il parroco: è salito sul pulpito e si è rivolto ai fedeli in arabo. Qual è il messaggio? L'islam deve sostituire la religione degli infedeli, peccato che nessuna cronaca o commento abbia sottolineato come meritava il significato di questo comportamento. Se non è una guerra di religione questa ci chiediamo che cosa sia.

Ecco gli articoli:

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Un'immagine che dice più di cento parole

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "I volontari carnefici del Califfo"

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Maurizio Molinari

Dice bene Maurizio Molinari “non è ancora chiaro come l’Europa intenda difendersi da un nemico che vuole devastarla”, ma se non si chiamano le cose con il loro nome nessuna difesa sarà possibile. Gli appelli ai musulmani affinché “isolino e delegittimino i volontari carnefici del Califfo” sono una pia illusione per non dire di peggio. Finché crederemo a chi afferma che “l’islam è una religione di pace” saremo complici di una colossale menzogna. I musulmani, da Maometto in poi, si ammazzano in una guerra civile fra sunniti e sciiti senza interruzione. Altro che pace! Chiunque viene giudicato infedele, o si converte all’islam o viene ucciso. L’islam è tornato ad essere una minaccia da quando l’Occidente ha dichiarato di volersi arrendere. Con la benedizione di Obama, Hollande, Merkel, Bergoglio, Ue, Onu, con la scusa di “resistere al richiamo della vendetta” – come scrive Molinari - si confonde vendetta con legittima difesa. Occorre cambiare politica, ma chi avrà il coraggio di farlo?

Ecco l'articolo:

L’efferato attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray nasce dall’ideologia apocalittica dei jihadisti, esalta l’identità peculiare del terrorismo che aggredisce l’Europa e cela la strategia dell’Isis di innescare una guerra civile nei nostri Paesi in maniera analoga a quanto gli è riuscito in Iraq e Siria.

L’obiettivo prescelto e il brutale assassinio dell’84enne prete Jacques Hamel sono figli dell’ideologia jihadista che divide il mondo in «luce» e «oscurità» ovvero i sunniti salafiti che predicano la violenza e tutti gli altri esseri umani. Per gli assassini di Hamel non c’è alcuna differenza fra chiese, moschee sciite, moschee sunnite non jihadiste, sinagoghe, templi buddisti, indù, shintoisti o altari animisti. Portare la distruzione nei luoghi di culto di «musulmani corrotti, infedeli, crociati ed ebrei» è la loro missione. Il piano rientra nel disegno escatologico della sottomissione del Pianeta a un grande Califfato.

Gli autori dell’attacco sono due musulmani locali che hanno scelto di aderire a Isis. E’ una dinamica simile alle recenti stragi di Nizza ed Orlando: i «lupi solitari» sono dei singoli che scelgono di diventare «soldati dell’Islam» come li definisce Isis. Contagiati dal jihadismo per convergenze ideologiche o vulnerabilità personali diventano i volontari carnefici del Califfo. Declinandone localmente il messaggio internazionale. Questa natura dei jihadisti ha più versioni: nel Sinai, in Libia ed in Bangladesh si tratta di cellule locali che aderiscono spontaneamente mentre in Francia, Belgio e Germania si tratta di singoli individui. La possibilità di disporre di unità locali, quasi sempre autonome dal punto di vista operativo, consente ai jihadisti di moltiplicare gli attacchi ed avere un maggior grado di imprevedibilità. Uno dei veterani della lotta a Isis lo spiega così: «Il legame fra loro è stretto come nella mafia, ma i soldati non sono subordinati bensì affiliati, con autonomia operativa».

Ma non è tutto perché versare il sangue di un prete dentro una chiesa francese svela anche ciò che i jihadisti hanno in mente per l’Europa: l’obiettivo dell’offensiva di attacchi in pieno svolgimento è innescare una spirale di violenza cristiani-musulmani sul modello di quanto gli è riuscito con sciiti-sunniti in Iraq e Siria. Abu Musab al-Zarqawi, il sanguinario fondatore di «Al Qaeda in Iraq» da cui Isis discende, teorizzò nel 2004 le stragi di sciiti e le realizzò con attacchi alle loro moschee riuscendo a scatenare una violenta reazione contro i sunniti che ha gettato l’Iraq in una guerra civile permanente allargatasi dal 2011 alla Siria e grazie alla quale il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi si è formato il 29 giugno 2014. La guerra civile serve ai jihadisti per creare un clima di conflitto talmente feroce da spingere i musulmani sunniti a sostenerli. Il fine ultimo è reclutare sunniti anche in Europa ed è per questo che Isis colpisce le chiese, puntando a sollevare una reazione talmente estrema, razzista ed intollerante contro gli stranieri da spingere nelle sue braccia gli oltre 13 milioni di musulmani che oggi risiedono dentro i confini dell’Unione Europea. Se la strategia dei jihadisti è innescare la guerra civile in Europa non è ancora chiaro come l’Europa intenda difendersi da un nemico che vuole devastarla. In attesa che singoli leader e Paesi Ue trovino capacità e coraggio di elaborare una nuova Difesa collettiva - assieme agli Stati Uniti, anch’essi obiettivo di analoghi attacchi - assegnando alla Nato relativi compiti e strumenti, tocca ai singoli cittadini fare la loro parte. Ai musulmani europei spetta il compito di isolare e delegittimare i volontari carnefici del Califfo come sui non-musulmani europei ricade la responsabilità di resistere al richiamo della vendetta. Per scongiurare il peggio bisogna essere in due.

CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco: "Le realtà negate"

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Angelo Panebianco

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Basta menzogne

È il salto di qualità che si temeva: dal massacro degli «infedeli» sparando nel mucchio all’assassinio mirato degli uomini-simbolo dell’odiata cristianità occidentale. Non si era ancora spento il rumore per l’attentato del giovane affiliato dello Stato Islamico in Germania, che un paio di islamici radicali va a sgozzare un sacerdote e un’altra persona in una chiesa cattolica francese. È purtroppo logico, è nella logica della guerra santa islamica, che i religiosi cristiani, anche europei, siano un bersaglio.

Per chi ha scelto di appartenere a quel mondo non ha alcuna importanza che l’Europa sia ormai il luogo più secolarizzato della Terra, che molte chiese siano deserte, che i seminari possano sopravvivere soprattutto grazie all’afflusso di giovani cristiani dalle regioni extraeuropee, o che tanti fra i cosiddetti infedeli europei massacrati non frequentino chiese, siano atei, agnostici o cristiani di fede molto tiepida. In un certo senso, i jihadisti hanno ragione: perché, pur quasi scomparsa dalla coscienza di tanti europei, forse la maggioranza, la religione cristiana ha comunque forgiato il mondo europeo e occidentale. Anche se molti europei non possiedono più gli strumenti per comprenderlo, le categorie culturali che essi usano derivano da quella tradizione. La mattanza dei cristiani (colpevoli di aderire a una religione occidentale) per mano di estremisti islamici dura da tanti anni in tanta parte del mondo. Ma ancora poco tempo addietro, l’Europa credeva, sconsideratamente, di essere immune dagli attacchi della cristianofobia islamista.

Come di consueto in questi casi, le prime agenzie di stampa sull’attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, hanno subito ipotizzato che i due aggressori, inneggianti a Daesh, fossero persone «afflitte da problemi mentali». Poi, quando è venuto fuori che uno dei due era schedato come estremista islamico, il tema, diciamo così, «psichiatrico», è stato messo (provvisoriamente?) da parte. Sarebbe ora di finirla. È assai probabile che se uno si vota all’assassinio di persone inermi sia affetto da gravi tare. O vogliamo forse dire che colui che entrava nelle SS per il gusto di commettere omicidi o il bolscevico che scannava contadini ricchi o tutti quelli che il Partito definiva nemici, o la guardia rossa impegnata in azioni criminali per conto di Mao Tse Tung, fossero persone serene ed equilibrate? È difficile che lo fossero. Ma ciò non permette di occultare il rapporto fra le loro azioni e il totalitarismo. Non si può fingere che nazismo e comunismo non c’entrassero niente.

Allo stesso modo, dire che il tale o talaltro jihadista ha problemi mentali non consente di negare il legame che c’è fra la sua azione e la guerra dichiarata dall’islamismo radicale contro l’Occidente. Con l’eccezione del tedesco-iraniano della strage di Monaco, qui sono sempre in gioco problemi politici, militari, di sicurezza, non le mancate cure psichiatriche. L’unica vera novità è che oggi il web, rendendo istantanee le comunicazioni, consente alla propaganda violenta di diffondersi molto più rapidamente di un tempo,di suggestionare con assai maggiore efficacia gli psicolabili in cerca di nobili motivi per ammazzare il prossimo. L’estremismo islamico ci sguazza. La si giri come si vuole ma questo è il problema. Mentre l’islamismo estremista in Francia «vota a destra», lavora per favorire la vittoria di Marine Le Pen alle Presidenziali dell’anno prossimo, i politici europei «per bene» ci mettono del loro per garantirsi future sconfitte politiche, riempiendo l’aria di parole senza senso. Come la pietosa bugia secondo cui, siccome i terroristi islamici ce l’hanno con le nostre libertà (e questo è sicuro), noi dobbiamo non fare arretrare di un millimetro il perimetro di quelle libertà. Ma è impossibile. Per fare il primo e più ovvio esempio, è molto probabile che la libertà pressoché totale di cui ha sempre goduto il «popolo della Rete» stia per trasformarsi in un ricordo. Constatato che il web è, al pari dei coltelli e degli esplosivi, un’arma da combattimento utilizzata dagli estremisti islamici, diventeranno sempre più estesi, stringenti e capillari i controlli per bloccare la circolazione di messaggi jihadisti. Con inevitabili ricadute negative sulla più generale libertà di comunicazione.

Lo stato di emergenza è stato dichiarato in Francia perché così prevede la Costituzione. Ma è probabile che forme non dichiarate, non formalizzate, di stato di emergenza si affermino un po’ ovunque in Europa. Saranno le opinioni pubbliche ad esigerlo. Un’Europa sotto attacco dopo settanta anni di pace ininterrotta è costretta a cambiare tutti i suoi criteri di giudizio. Per esempio, non sarà più possibile fare previsioni economiche senza mettere in conto gli effetti psicologicamente devastanti dell’aggressione terrorista. C’è un problema per le classi politiche che devono affrontare l’emergenza. C’è un problema per gli intellettuali, molti dei quali ancora impantanati, quando si parla di Islam, nelle trappole del politicamente corretto. E c’è un problema per le Chiese cristiane, quella cattolica in primis . L’impressione è che, per ragioni essenzialmente geo-religiose, una parte della Chiesa (non tutta certamente) si sia rassegnata a dare per perduta l’Europa secolarizzata, ad assumerla come definitivamente dimentica della sua tradizione cristiana, e che per questo stia scommettendo su altre aree del mondo. Perdendo di vista il fatto che un Cristianesimo che allentasse troppo i suoi legami con l’Europa diventerebbe molto diverso da ciò che è stato. Se questa impressione fosse esatta, allora bisognerebbe dire che quella parte della Chiesa starebbe commettendo un grave errore. L’attacco di Saint-Etienne-du-Rouvray dovrebbe aprirle gli occhi.

IL FOGLIO - Claudio Cerasa: "Il genocidio cristiano arriva in Europa"

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Claudio Cerasa

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“I musulmani devono far guerra agli infedeli che vivono intorno a loro” (Sura 9, 123).

Quello che vogliamo far vedere ai nostri occhi, anche dopo la scena di un parroco ucciso con un taglio alla gola da un terrorista islamico in una chiesa di Saint-Etiennedu-Rouvray, in Francia, vicino Rouen, è sempre la pellicola consolatoria che ci porta a proiettare sullo schermo delle nostre illusioni il solito rassicurante fotogramma: i terroristi sono dei pazzi irrazionali spesso molto depressi che agiscono come lupi solitari per ragioni misteriose, spinti da raptus omicidi generati il più delle volte da una follia innescata da una miscela esplosiva in cui c’entrano il disagio sociale creato dall’occidente, la diseguaglianza creata dal liberismo, la reazione a una guerra combattuta dall’occidente contro i fondamentalisti, la ribellione ai fenomeni di xenofobia e la scarsa accoglienza mostrata dall’Europa nei confronti degli immigrati logorati dalla paura di essere respinti. Se il problema del terrorismo islamico fosse la depressione, o la follia, sarebbe sufficiente schierare lungo tutte le strade d’Europa un esercito di bravi psicoanalisti. Ma se di follia si tratta, come suggerisce alla nostra personale coscienza il Recalcati collettivo un secondo dopo ogni attentato di matrice islamica, bisogna riconoscere che solo ai tempi del nazismo si era vista una follia così lucida e razionale, che con cadenza quasi quotidiana porta al sacrificio dei miscredenti, degli apostati, dei blasfemi e all’interpretazione letterale di una famosa Sura (4, 88-91) fatta propria dal califfo al Baghdadi: gli infedeli bisogna “circondarli e metterli a morte ovunque li troviate, uccideteli ogni dove li troviate, cercate i nemici dell’islam senza sosta”.

In Francia si sgozza un parroco con le stesse modalità con cui in medio oriente, da Mosul ad Aleppo, gli islamisti profanano i luoghi di culto della chiesa condannando a morte i cattolici infedeli. A Orlando si uccidono gli omosessuali in un locale notturno con le stesse modalità con cui in medio oriente, nello Stato islamico, i jihadisti uccidono a colpi di pietre i gay trasgressori. A Parigi si ammazzano gli ebrei miscredenti nei supermercati kosher con le stesse modalità con cui i fondamentalisti ammazzano gli israeliani nei centri commerciali di Tel Aviv (“Tutti gli ebrei che vi capitano tra le mani, uccideteli”, Sirah, II, 58-60). A Nizza, nel giorno della festa dell’orgoglio del paese dei Lumi, si colpiscono gli occidentali colpevoli di essere occidentali con la stessa logica con cui si colpiscono gli ebrei colpevoli di essere ebrei, i gay colpevoli di essere gay, i cristiani colpevoli di essere cristiani, gli sciiti colpevoli di essere sciiti – e con le stesse modalità con cui si colpiscono gli aerei russi, i treni tedeschi, gli alberghi egiziani, le spiagge tunisine, i ristoranti del Bangladesh, gli hotel del Mali.

Lo sgozzamento del parroco francese, martire della fede, è un gesto drammatico che risponde però a una follia che più lucida non si può: colpire i miscredenti nelle loro case, declinare in occidente le stesse forme di genocidio messe in atto in medio oriente, e dimostrare così che la guerra in corso è una guerra non solo contro l’occidente ma anche contro le religioni simbolo dell’occidente come il cristianesimo. La guerra a Roma, alla chiesa cattolica, come è noto, nasce ben prima dello Stato islamico, ed è la stessa che portò tra l’830 e l’846 gli arabi a saccheggiare Roma, ed è la stessa che portò nel 1480 i musulmani a decapitare 800 cristiani a Otranto colpevoli di aver rifiutato la conversione all’islam dopo la caduta della loro città. “L’Europa – ha scritto ieri in un articolo profetico sul Wall Street Journal il solito bravissimo Bret Stephens – deve smettere di considerare il Cristianesimo un mero fattore storico dell’identità continentale; deve smettere di affermare che non esista mai una soluzione militare contro la minaccia islamista; deve comprendere che vale la pena lottare per un paese, che non è vero che l’onore è solo un orpello atavico e che la tolleranza è il bene supremo; e deve ricordarsi che una civiltà che non crede in nulla finisce inevitabilmente per sottomettersi a qualunque cosa”. Per questo, nota Stephens, l’Europa di oggi ricorda la Francia del 1940, esibendo “la stessa combinazione di rigidità dottrinale e perdita di volontà che consentì alla Germania nazista di sconfiggere in sei settimane un esercito alleato composto di 144 divisioni”.

Ci si potrebbe a lungo dilungare sul mondo delizioso che ci consegna il Nobel per la Pace Barack Obama dopo otto anni di “stay behind” declinato alla Casa Bianca e si potrebbe ricordare come sia evidente che un occidente che rinuncia a esportare la democrazia laddove prolifera il fondamentalismo debba accettare che ci sia un fondamentalismo che riesce a esportare il suo totalitarismo in modo pressoché indisturbato.

Ma il richiamo all’Europa nazista di Bret Stephens ci proietta in una dimensione diversa, ancora più complessa, dove il protagonista diventa il simbolo massimo della religione che il fondamentalismo islamista ieri ha colpito alla gola. Papa Francesco inizia oggi il suo viaggio in Polonia e dopodomani andrà a visitare il luogo simbolo del nazismo: Auschwitz. Finora il Pontefice, pur avendo ammesso in molte circostanze di vivere in un’epoca dominata da “una terza guerra mondiale”, ha sempre scelto una grammatica minimalista per condannare gli atti di terrorismo di matrice islamista. Pochi giorni dopo l’omicidio dei vignettisti di Charlie Hebdo, colpevoli secondo i terroristi di aver offeso il loro Profeta, Francesco, con un tempismo non impeccabile, ha ricordato che “la libertà di parola ha dei limiti” e che “non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri”.

Pochi giorni prima del Bataclan, durante un viaggio in Kenya, Francesco ha sostenuto che “violenza, conflitto e terrorismo si alimentano con paura e disperazione” che “nascono da povertà e frustrazione”. Il giorno dopo la strage di Nizza, poco prima che venisse svelato il piano lucido e razionale che ha portato il terrorista a fare una strage sulla Promenade des Anglais, Francesco ha condannato la “follia omicida” del presunto lupo solitario. Ieri, poche ore dopo il primo attacco terroristico islamista a una chiesa in Europa, il portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, ha manifestato il “dolore” del Santo Padre mostrando, senza mai far riferimento all’islam, un grande sgomento per l’“orrore” di “questa violenza assurda”. La violenza assurda, come abbiamo visto, purtroppo ha una sua lucida razionalità che non nasce dalla paura e dalla disperazione e dal disagio sociale ma dall’interpretazione radicale di un’ideologia che affonda le sue radici in una precisa e medievale interpretazione del Corano. Da questo punto di vista, la visita ad Auschwitz del Papa, nel cuore degli eccidi perpetrati dal nazismo, non poteva capitare in un momento migliore, nel quale anche la chiesa avrebbe il dovere di condannare le nuove ideologie assassine (non così diverse da quelle naziste) perpetrate dai fondamentalisti islamici.

In una celebre visita ad Auschwitz, nel maggio del 2006 Benedetto XVI pronunciò un discorso che meriterebbe di essere ripreso. “Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: ‘…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!’ (Sal 44,20.23-27). Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi… E’ in questo atteggiamento di silenzio – concluse B-XVI – che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa”. I martiri di Otranto, colpevoli di aver rifiutato la conversione all’islam dopo la caduta della loro città nel 1480, furono dichiarati beati il 14 dicembre del 1771 da Papa Clemente XIV e vennero canonizzati il 12 maggio del 2013 da Papa Francesco.

Il Pontefice dunque sa bene cosa sono le guerre di religione. Oggi ce n’è una in corso. E chiamare “martire” il parroco ucciso ieri con un taglio alla gola da un terrorista islamico in una chiesa di SaintEtienne-du-Rouvray sarebbe un primo passo non sufficiente ma necessario per dimostrare che anche il Vaticano ha capito quello che ieri è stato ben sintetizzato dall’arcivescovo di Marsiglia: “Non è solo la chiesa cattolica ad essere colpita da questi attentati, sono tutte le chiese dell’occidente”. Non si chiama follia. Si chiama ideologia. L’ideologia di chi crede che non ci sia nulla di male a sostenere che i fondamentalisti islamici devono fare guerra a tutti gli infedeli che vivono intorno a loro. A partire dai cristiani.

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