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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Gionale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.06.2016 Orlando/Islam/Omofobia: Commenti per capire
Fiamma Nirenstein, Paul Berman, Ellen De Generes, Saleem Haddad

Testata:Il Gionale-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Paul Berman-Giovanna Grassi-Viviana Mazza
Titolo: «Carcere e pena di morte. Così l'islam è diventato il primo inferno dei gay-Ma occorre dare un nome al radicalismo-Abbiamo fatto grandi passi,eppure l'umanità 'diversa' genera ancora odio e violenza-E' stupido negare che esista l'omofobia nelle società isl»

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Tutti i quotidiani puublicano oggi, 14/06/2016, cronache, commenti e analisi sulla strage omofoba/islamica di Orlando. Scegliamo, fra i molti, due commenti, il primo di Fiamma Nirenstein, sul GIORNALE a pag.14, che, unico fra tutti, affronta il problema dell'omofobia senza limitarlo all'islam (per altro definito 'primo inferno'), ma esamina e cita l'omofobia delle nostre civiltà, delle quali critica il peso del richiamo alla famiglia patriarcale. Il secondo, di Paul Berman, sul CORRIERE della SERA, a pag.9, autore del non dimenticato libro " Terore e liberalismo"(pubblicato da Einaudi) nel quale spiegava l'identità del nemico da combattere, scritto nel 2004. Ecco  l'identità del nemico. In questa sua nuova analisi dimostra come non si potrà sconfiggere nessun terrorismo se non lo si chiama con il suo nome: islamico. Il che ci fa dubitare dalla capacità di Hillary Clinton, nel caso dovesse essere eletta presidente degli Stati Uniti, di saper affronatre nei giusti termini il terrorismo. Con questo non sposiamo Trump, e questo rende ancora più drammatico lo scenario elettorale americamo.
Seguono due interviste, sempre sul Corriere, la prima con Elle De Generes, la seconda con Saleem Haddad, preceduta da un nostro commento.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Carcere e pena di morte. Così l'islam è diventato il primo inferno dei gay"

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Fiamma Nirensstein

E' un gioco stupido e dannoso quello per cui i vari commenti sulla carneficina di Orlando si dividono fra chi dà tutta a responsabilità alla matrice islamica dell'attentato, e chi invece a quella omofobica. Un certo Islam è omofobico, punto. Peggio ancora, quando si attribuisce la strage al facile commercio delle armi negli Usa: gli attentatori della strage di Parigi non avevano comprato oltreoceano i loro mitra né i terroristi palestinesi a Tel Aviv. E risulta scoraggiante che Obama, che pure è stato giusto nel sostegno nazionale alla comunità gay tanto colpita, non sia riuscito a trascinare la sua oratoria oltre la parola «terrorismo» (già difficile per lui) e «crimine d'odio», hate crime, fino a sillabare finalmente la parola «musulmano» o «Islam». La strage di Omar Mateen, di cui repugna ricordare solo il nome perché era quello che lui e l'Isis volevano, è sia islamica che omofobica. Punto. Non c'è contraddizione. Certo, esistono moltissimi islamici che non sono omofobici, e, come dicevamo, molti omofobi che non sono islamici. I primi oggi devono essere abbracciati, incoraggiati, e soprattutto deve esser richiesto loro di agire presso i loro fratelli per comunicare il loro Islam, e non quello dell'odio antigay. I secondi, anche se non hanno sparato, non si devono sentire al di sopra degli eventi di questo momento terribile per tanti essere umani con diritti pari ai nostri. Forse, anzi, è un momento opportuno per capire le loro famiglie, i loro compagni violati da una crudeltà che ogni giorno, sia pure in modo meno terribile, si awenta contro persone che dovrebbero essere protetti dal principio di eguaglianza sottoscritto dalle democrazie Sulla mappa degli attacchi contro i gay nel nostro Paese, le botte e i delitti sono all'ordine del giorno. Il peso della tradizione giudaico-cristiana è forte, può passare dalla nostalgia per la famiglia patriarcale alla violenza. Succede continuamente, specie quando l'identificazione della comunità gay viene insieme a quella dei danni della «modernità». Angelo Pezzana ricordava ieri in un suo editoriale su Informazione Corretta come l'istigazione a uccidere i gay sia molto più diffusa di quello che si pensi, tanto da esprimersi a volte quasi inconsciamente. Con l'Islam l'attacco è invece del tutto esplicito, e non soltanto nel caso dell'Isis che butta gli omosessuali dai tetti e manda in giro le fotografie dei delitti per testimoniare la sua fedeltà alla sharia: ci sono parecchi paesi dominati dalla sharia che hanno nei loro ordinamenti giuridici la pena di morte per gli omosessuali, e la praticano. Le immagini degli impiccati appesi alle gru in Iran sono note a tutti, e sono migliaia. I paesi islamici in cui si applica la pena di morte ai gay, cioè si compara la loro sessualità all'adulterio punito con la lapidazione sono: Afghanistan, Brunei, Iran, Mauritania, Nigeria, Arabia Saudita, Sudan, Emirati Arabi, Yemen, e Turlanenistan (solo i maschi). In molti altri Paesi a maggioranza musulmana l'omosessualità è illegale, punita con carcere e frustate e talora da squadroni della morte. La vita degli omosessuali è impossibile in quasi tutti questi Paesi e la fuga frequente, dall'Autonomia Palestinese per esempio è molto comune scappare in Israele. Le «sure» del Corano e i hadith sono espliciti e puntivi sull'omosessualità, e spiegano che «se ogni donna ha un demone, allora un bel giovane ne ha 17», e paragonano i «figli di Loth» ai criminali passibili di terribili punizioni. La Turchia, il Libano e un'altra ventina di Paesi a maggioranza islamica più propensi ad accettare la modernità (fra questi l'Albania, l'Azerbaigian, la Bosnia, e vari Paesi africani come il Ciad o il Burkina Faso) non considerano l'omosessualità un crimine, e discutono leggi di parificazione. Dunque ci sono vari fronti: il primo è il mostro che impugna le armi e la mannaia; il secondo è durissimo comunque, e ancora sa di carcere e frustate; il nostro è il fronte ideologico contro l'irresistibile avanzare della società democratica. Certo, le strategie di guerra sono ben diverse, e l'Islamismo richiede la più aspra.

 

Corriere della Sera-Paul Berman: " Ma occorre dare un nome al radicalismo"


Paul Berman

I terroristi della jihad dovranno essere sconfitti su tre fronti contemporaneamente: dalle forze dell’ordine, dagli interventi militari, e nel dibattito ideologico. In questo frangente è difficile identificare quale di questi tre fronti appaia il più sguarnito. Le forze di polizia non hanno un compito facile, ma è anche vero che in Florida, come in altri Stati, gli agenti in strada hanno dato prova di grandissimo valore e dedizione. Ma si può dire altrettanto del settore investigativo? Ormai ci siamo abituati a venire a sapere, in occasione di ogni nuovo attentato, che polizia e autorità federali e locali erano già a conoscenza dei terroristi, ma per qualche motivo non era stato possibile intervenire prima per bloccarli. In Florida, l’Fbi conosceva Omar Mateen, il jihadista, e per ben due volte lo aveva sottoposto a indagini, senza però riuscire a emettere un mandato di arresto. Stessa cosa a Parigi e Bruxelles. La reazione davanti a questi insuccessi delle forze dell’ordine tuttavia non ci dovrà spingere a rinunciare alla legalità. La legge è il nostro punto di forza, non di debolezza. Ma per essere efficace, la legge dev’essere calibrata a seconda delle criticità. E' davvero impossibile ripensare in modo intelligente le leggi e gli interventi di polizia? Nel caso del massacro di Orlando, il terrorista ha potuto legalmente acq uista re le s ue a rmi . E q uesta è una follia . S ul fronte militare? Potrebbe anche darsi che negli ul- timi mesi la coalizione ufficiosa degli Stati Uniti e delle potenze occidentali con i nostri alleati arabi e musulmani abbia inferto colpi decisivi contro lo Stato Islamico in Siria, Iraq e Libia. Purtroppo, però, 15 anni dopo l’11 settembre ci ritroviamo ancora qui, a parlare di coalizioni ufficiose, invece che di salde ed efficaci alleanze militari. Come si giustifica l’assenza di strategie a lungo termine? Ad ogni modo, nel 2001 l’impero dei jihadisti, sotto la guida di Osama bin Laden, era limitato esclusivamente all’Afghanistan. Oggi l’impero dei terroristi è un arcipelago di regioni sparpagliate da un capo all’altro del pianeta, compresi vasti tratti dell’ Afghanistan. Malgrado tutte le
operazioni di contrasto e di lotta al terrorismo condotte finora, non abbiamo nessun motivo di cantare vittoria. E sul fronte ideologico? È vero che in diverse parti del mondo alcuni capi di governo sono stati capaci di affrontare il problema e hanno finalmente puntato il dito contro il nemico islamista, tracciando un parallelo tra la causa jihadista e le aberrazioni totalitarie del passato. Cameron ha fatto sentire la sua voce. Manuel Valls si è espresso con grande passione. In Italia, in visita alle Fosse Ardeatine, il presidente Mattarella ha identificato il nemico senza mezzi termini: «L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore». Una simile lucidità, tuttavia, sembra sfuggire a noi americani. Il presidente Obama non riesce ancora a definire l’aspetto ideologico della lotta, se non in termini talmente blandi e astratti da risultare incomprensibile. Il presidente si dichiara nemico dell’«odio». Ma chi non lo è? Dal canto suo, nemmeno Hillary Clinton ha saputo fare di meglio. La candida ta democratica si procla ma amica degli omosessuali e sostenitrice dei loro diritti, cosa eccellente; al contempo, però, si dimostra riluttante ad affrontare di petto la dottrina islamista anche a questo riguardo, tra tanti altri. Trump non potrebbe fare peggio. Vuole scendere in campo contro l’«Islam radicale», ma il suo modo di parlare dell’Islam radicale è talmente approssimativo da trasformare in nemico un quarto della popolazione mondiale. Il dibattito avviato da Trump su queste problematiche appare, anzi, fondamentalmente in linea con gli stessi jihadisti, i quali sono convinti di vivere nel Medioevo, in piena guerra tra crociati e jihad. Per oltre 15 anni, i soldati afghani hanno combattuto e sono morti in una lunga guerra per liberare il loro Paese dai talebani, e siccome il terrorista di Orlando era figlio di immigrati afghani, ecco che Trump ha colto al balzo l’occasione per accusare l’intero Afghanistan. A New York lavorano 900 poliziotti musulmani, ma Trump si dichiara nemico degli immigrati. Così facendo, Trump si dimostra per quello che è, ovvero il campione di un’America sempre più debole. Quale di questi fronti è il più vacillante? Il più sguarnito? Difficile dirlo. Secondo me, è il fronte ideologico. La battaglia delle idee è la madre di tutte le battaglie, l’unica capace di metter fine al pericolo del terrorismo. È impossibile, tuttavia, sconfiggere un nemico ideologico se non riusciamo nemmeno a descriverlo. E questa consapevolezza rischia di farci precipitare nello sconforto e nel pessimismo.

Corriere della Sera- Giovanna Grassi:" Abbiamo fatto grandi passi,eppure l'umanità 'diversa' genera ancora odio e violenza

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Ellen De Generes

Il sito di Ellen DeGeneres, popolarissima in Usa come conduttrice televisiva e attrice, è stato preso d’assalto ieri dopo il massacro a Orlando. Ellen, appartenente con la sua compagna Portia DeRossi alla comunità Lgbt, impegnata in questi giorni nel lancio del film Disney, Alla ricerca di Dory, in cui presta la voce alla pesciolina coprotagonista nel precedente Alla ricerca di Nemo, ha fatto coming out anni fa ed è da sempre una leader dei diritti civili Lgbt. Non esita a dire: «È stato un atto di violenza discriminatoria e che, quindi, ci siano oppure no collegamenti politici, è di per se stesso sociale e politico nella mani er a peggiore. Inoltre è importantissimo sottolineare ancora una volta l’endemico problema delle armi a portata di tutti negli Stati Uniti. Molto cammino è stato fatto, ma avvenimenti tragici come quello avvenuto in Florida testimoniano, oltre alla diffusione delle armi non certo solo a scopo difensivo, la cancrena di atteggiamenti aggressivi, la violenza repressa o esplicita che l’umanità “diversa” genera. Il mio cuore, le mie emozioni sono feriti e tutta la mia solidarietà va anche alla Lgbt di Orlando e a tutti i nostri fratelli e sorelle». «Come prevenire quanto è accaduto? — prosegue —. Non so, non possiamo dare una risposta generica in un mondo che sempre più spesso appare impazzito, percorso da rabbie e discriminazioni, ma questo è un autentico, radicato atto di terrorismo che deve far pensare tutti e farci singhiozzare, farci meditare su ogni estremismo “religioso”, assolutista in maniera distorta, malata». «Specialmente in questi giorni non bisogna avere paura, non bisogna sentirsi intrappolati dall’odio dimostrato da un 29enne: bisogna anche sottolineare che il terrorismo oggi ha molte facce, una di questa si è palesata a Orlando, contro centinaia, migliaia di musulmani che rigettano ogni forma di estremismo e diramazione del cancro della violenza». Riprende su un tema che le sta a cuore: «Quando io feci coming out alla fine degli anni Novanta subii ostracismi di ogni sorta, la mia sitcom registrò, dopo l’annuncio, un calo di ascolti, vennero cancellate proposte di lavoro che prima delle mie dichiarazioni mi era-no state fatte, ma io, come dissi anche a una cerimonia degli Emmy dopo l’attacco dell’11 Settembre, cercai di
continuare la mia vita pubblica senza timori. Dobbiamo farlo anche oggi, anche domani per non cedere al ricatto dell’estremismo. L’ America ha costruito scuole islamiche, ha aperto moschee mai immaginando che qualche estremista potesse, con orribile freddezza, compiere un massacro come quello che le cronache hanno riportato. Non perdiamo tempo a parlare di Trump e dei muri che vuole costruire per le sue barriere alla democrazia e alla collettivi tà». E ritornando al suo film dichiara:«Dory è una pesciolina protagonista, niente male in tempi in cui ogni giorno è bene ricordare la parità dei diritti dei sessi. Non è facile essere soli e con una memoria difettosa nel Pacifico e, comunque, in tempi di sequel e in cui tutto sembra avere caratteristiche a breve tempo, Dory ci ricorda che il senso dell’esistenza ha momenti tragici, ma che tutti possiamo nuotare con
coraggio, com  fa lei, cercare l’ottimismo, evitare i pericoli come quelli c e alcuni ragazzi procurano ai pesci in una sequenza in un acquario dove cercano di mettere le mani per carpire qualcosa e dare inizio a una delle tante guerre».

Viviana Mazza: " E' stupido negare che esista l'omofobia nelle società islamiche"

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Saleem Haddad nella sua casa londinese, dove vive

 Tutte sacrosante le dichiarazioni di Saleem Haddad, ma nel pezzo di Viviana Mazza manca una precisazione indispensabile per capire le coraggiose dichiarazioni di Saleem, metà musulmano, con,tutto quello che comporta: vive a Londra con il suo compagno, è vivere in un paese democratico che gli permette di avere una vita libera di pensare e giudicare.

«Avrei potuto esserci anch’io in quel club. Per noi i bar sono luoghi sicuri, un attacco del genere ci scuote tutti». Lo scrittore Saleem Haddad ha risposto alla strage nel nightclub gay di Orlando pubblicando su Facebook la foto di tre uomini arabi vestiti da donna (tra cui c’è anche lui) accomp agnata d a un messaggio contro l’omofobia, contro l’islamofobia e contro «gli ipocriti che usano l’una per giustificare l’altra». Haddad, 32 anni, è gay e arabo: nato in Kuwait da padre palestinese-libanese e madre tedesca-irachena, in una famiglia musulmana ma anche cristiana, ha raccontato nel suo romanzo «Ultimo giro al Guapa» (edizioni e/o) i bar gay del Medio Oriente soggetti a retate ed arresti; il «Guapa» come il «Pulse» sono per lui «luoghi politici» dove si può essere se stessi al riparo dall’omofobia. Qual è stata la reazione alla strage di Orlando nella comunità Lgbt musulmana? «Molti, non so lo tra i gay ma anche tra i miei amici musulmani eterosessuali, hanno detto che dovrebbe essere un’opportunità per noi per parlare dell’omofobia nelle nostre società. Non dovremmo aver paura di discuterne. Il dibattito e la lotta all’omofobia e al patriarcato nelle comunità arabe e musulmane è iniziato ben prima di questo attacco, e da allora abbiamo rafforzato le nostre voci in Medio Oriente». Ma ci sono divisioni all’interno della comunità Lgbt? «Noi queer arabi e musulmani siamo dalla parte delle vittime, perché siamo parte della comunità Lgbt. Ma a bbiamo sempre dovuto affrontare l’islamofobia anche all’interno della comunità Lgbt perché c’è chi vede i musulmani come ostili ai diritti gay. Noi siamo incastrati, ci sentiamo parte di entrambe le comunità. Mi infurio quando Donald Trump, che non ha fatto mai nulla per la comunità Lgbt, usa Orlando per giustificare l’odio contro i musulmani». Non si può riconoscere che c’è un problema nelle società musulmane e allo stesso tempo che non è un problema esclusivo? «Negare che l’omofobia esista nelle società musulmane è stupido e dobbiamo smettere di farlo. Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che esiste in ogni comunità. Se si guarda ai diritti transgender, alle nozze gay, sulle leggi contro la discriminazione è evidente come l’omofobia faccia parte della società americana : tra i bianchi, i neri, i latinos, i musulmani. A Orlando, in Fl orida, gli omosessuali non possono donare il sangue alle vittime. Questa è omofobia. Non possiamo far finta che non ci sia un problema nelle società islamiche, ma questo problema va al di là dell’Islam. L’attacco di Orlando è un attacco omofobo. Stavolta è stato un musulmano ma, nello stesso giorno, la polizia ha impedito un altro attacco al Pride di Los Angeles per mano di un non musulmano» . Secondo un sondaggio del Pew Research center, nella maggioranza dei Paesi mediorientali l’omosessualità viene rifiutata. Qual è il problema: le leggi o la mentalità? «È difficile separare le due cose — le leggi omofobe e patriarcali contribuiscono a creare un clima omofobo, che a sua volta consente alle l eggi di restare in vigore. Ma spingendo
per cambiamenti legislativi, in Occidente e nel mondo arabo, facilitiamo cambiamenti più ampi. Ma Paesi come l’Egitto che stanno condannando la strage di Orlando mentre in patria incarcerano i gay sono degli ipocriti».

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