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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
20.05.2016 Precipita aereo Parigi-Cairo, ipotesi attentato: quello che possiamo imparare da Israele
Commento di IC, Giordano Stabile, Carlo Panella

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Giordano Stabile - Carlo Panella
Titolo: «L'ipotesi della bomba a bordo: 'Un complice nello scalo francese' - Si possono prevenire gli attacchi, basta utilizzare il metodo israeliano»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/05/2016, a pag. 9, con il titolo "L'ipotesi della bomba a bordo: 'Un complice nello scalo francese' ", il commento di Giordano Stabile; da LIBERO, a pag. 11, con il titolo "Si possono prevenire gli attacchi, basta utilizzare il metodo israeliano", il commento di Carlo Panella, attualmente in Israele.

L'Egitto è sotto attacco, il terrorismo islamico continua a colpire il turismo per minare l'economia del Paese. Dietro c'è evidentemente il tentativo dei Fratelli musulmani di tornare al potere, dopo esserne stati estromessi da Al Sisi.

Ma l'Egitto di Al Sisi è la garanzia dell'accordo di pace con Israele e del contenimento della Fratellanza musulmana, un movimento che vuole la ricostituzione del Califfato e l'imposizione universale della sharia, la legge religiosa islamica.

I Paesi occidentali e in particolare l'Italia, anche per evidenti responsabilità dei media, hanno strumentalizzato la morte di Giulio Regeni - un caso ancora da chiarire - facendone un'arma per attaccare e isolare il regime del Cairo.

Informazione Corretta si schiera a difesa del governo di Al Sisi: non perché sia un governo libero e democratico - non lo è - ma perché è il governo meno peggiore che l'Egitto può avere in questo momento e l'unica reale alternativa al fanatismo islamista della Fratellanza. Ricordiamo che in nessuno dei 35 Paesi musulmani esiste una democrazia autentica, una forma di governo che appare incompatibile con la declinazione politica dell'islam (che è esattamente quello che fa la Fratellanza).

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Giordano Stabile: "L'ipotesi della bomba a bordo: 'Un complice nello scalo francese' "

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Giordano Stabile

Una bomba caricata a bordo a Parigi, con la complicità di un dipendente dell’aeroporto Charles de Gaulle o della compagnia Egyptair.
Questa l’ipotesi più accreditata dagli esperti di sicurezza aerea e terrorismo.
Le altre, meno probabili ma non da scartare fino alla conclusione dell’inchiesta, sono: un kamikaze a bordo, un tentato dirottamento, un cedimento strutturale, un missile lanciato da una nave militare.

La bomba a bordo spiegherebbe sia la brusca perdita di quota che le virate dell’Airbus prima dello schianto in mare, come pure «la palla di fuoco» osservata dai pescatori greci nel momento del disastro. Tutti dettagli che portano a ritenere meno probabile il cedimento strutturale, anche per la mancata comunicazione da parte di piloti di problemi in volo. L’Airbus A320 è uno degli aerei più diffusi e considerato sicuro dagli esperti. Quello dell’Egyptair era relativamente giovane, del 2003.

«La teoria più plausibile è che sia stata introdotta a bordo una carica esplosiva, a basso potenziale ma in grado di provocare uno squarcio nella carlinga - spiega Omer Laviv, esperto di sicurezza aerea e Chief Operations Officer della società israeliana Athena GS3 -. L’esplosione non era in grado di disintegrare il velivolo, ma ha provocato danni sufficienti a farlo precipitare».

Squarcio nella carlinga
La detonazione potrebbe aver anche messo fuori uso uno dei motori. «L’aereo ha sbandato a sinistra e ha perso quota - continua Laviv -. Il pilota ha cercato di riprendere il controllo e ha virato a destra, ma si è avvitato e ha continuato a precipitare». Secondo l’analista il momento esatto dell’incidente lascia propendere più a un ordigno lasciato sull’aereo che a un kamikaze. «Era appena iniziata la fase di atterraggio. I piloti in quel momento spengono il sistema di pressurizzazione automatico della cabina. Esistono sensori in grado di captare il cambiamento e fare da timer per il detonatore».
A rendere meno credibile l’ipotesi del kamikaze è il fatto che a bordo ci fossero tre guardie di sicurezza. Molto difficile passare inosservati. La presenza degli agenti porta anche a escludere un tentativo di dirottamento, anche se potrebbe spiegare le virate improvvise nel caso di una colluttazione nella cabina di pilotaggio.

Buco nei controlli
Resta da capire dov’è la breccia nella sicurezza. Nel giro di 24 ore l’Airbus ha fatto scalo ad Asmara, in Eritrea, a Tunisi, e poi al Cairo. Ma in ogni caso una bomba non avrebbe dovuto passare inosservata a Parigi. Lo Charles de Gaulle è uno degli aeroporti più controllati al mondo. «Tutti gli aerei - conferma Laviv - vengono passati al setaccio dalla sicurezza dopo l’atterraggio e prima del successivo decollo. Solo quando c’è il via libera i passeggeri possono salire». E allora? L’unica possibilità un «insider job», qualche dipendente dello scalo o della compagnia che avrebbe consentito l’operazione all’ultimo istante.

Dopo gli attentati di Parigi, 57 sospetti simpatizzanti jihadisti hanno perso l’autorizzazione a lavorare al Charles de Gaulle. L’insider job è anche l’ipotesi più probabile per l’attentato che il 31 ottobre ha causato lo schianto di un aereo della russa Metrojet sul Sinai, 224 morti. I terroristi dell’Isis erano riusciti a introdurre una bomba contenuta in una bibita in lattina, all’aeroporto di Sharm el-Sheikh.

Anche se non c’è ancora una rivendicazione ufficiale «per quel che sappiamo finora il disastro sull’Egeo assomiglia molto a quello sul Sinai - conferma Anat Hochberg Marom, analista e studiosa di terrorismo dell’Interdisciplinary Center Herzliya -. E l’Isis ha minacciato più volte di colpire di nuovo la Francia. In questo caso avrebbe colto due obiettivi in una volta, perché l’Egitto di Al-Sisi è con Parigi uno dei nemici più odiati».

L’ipotesi missile
Nel Sinai opera il gruppo Ansar al-Bait al-Maqdis, che si è unito all’Isis nel 2014 è ha creato il Wilaya Sinai, la provincia del Sinai del Califfato. Dispone di «migliaia di uomini», forse 12 mila, e armamenti moderni, compresi missili anti-aerei portatili, Manpads, «provenienti da Siria e Iraq». L’aereo volava però a 11 mila metri di altezza, quota non raggiungibile dai Manpads, ed era distante quasi 200 chilometri dal Sinai. L’unica possibilità sarebbe un missile lanciato per sbaglio da una nave militare durante un’esercitazione. Ma è la meno probabile.

LIBERO - Carlo Panella: "Si possono prevenire gli attacchi, basta utilizzare il metodo israeliano"

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Carlo Panella

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L'aereoporto Ben Gurion, in Israele

L'analisi delle caratteristiche dell'Isis in Egitto che mi fornisce «Ron», anonimo portavoce del Military Intelligence Corp, che mi riceve nel Quartier Generale delle forze armate di Israele, porta a conclusioni interessanti, che indicano che la responsabilità dell'esplosione sopra il cielo di Karpathos, non va fatta risalire probabilmente all'Isis egiziano, ma a quello che opera in Libia.

Non c'è dubbio infatti che l'Airbus russo sia esploso il 31 ottobre scorso sul Sinai grazie a un ordigno imbarcato a Sharm El Sheik dall'Isis. Ma è difficile raccordare le caratteristiche dell'Isis in Egitto, che è radicato solo nel Sinai, con quelle di un'organizzazione in grado di posizionare una bomba o un Kamikaze a Parigi o altrove. «L'Isis nel Sinai - mi spiega Ron - è una organizzazione "glocal". "Local", perché è formata da beduini, ben radicati sul territorio e tra la popolazione, "global" per il richiamo al Califfato universale. È tanto "local" che i suoi singoli clan operano per comparti, è difficile che membri di un clan beduino collaborino con altri clan in un'azione».

Dunque, è facile immaginare come abbiano fatto a convincere uno dei tanti beduini che lavorano nell'aeroporto di Sharm El Sheik a posizionare l'esplosivo sull'aereo russo. Ma ora, come hanno fatto questi beduini dell'Isis, così "local" a operare persino a Parigi? D'altronde, in Egitto, l'Isis agisce esclusivamente nel Sinai. Non al Cairo. Dunque, si apre un'inquietante pista. Che cioè l'attentato sia stato organizzato dal più vicino raccordo dell'Isis egiziana, del Sinai, dall'Isis che opera in Libia. Una risposta, una ritorsione, contro l'offensiva militare che l'Egitto sta operando contro Sirte, tramite l'esercito di Khalifa Haftar, che agisce in nome e per conto del presidente Abdelfattah al Sisi.

Come Ron, anche Shmuel Zakay, ex generale di brigata, con grande esperienza in guerra e nell'antiterrorismo, direttore dell'Israel Airport Authority, responsabile plenipotenziario e operativo della sicurezza dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, mi risponde che «è troppo presto per avere certezze sull'esplosione dell'aereo dell'Egypt Air». Poi aggiunge: «Ad un aereo della nostra compagnia area, la El Al, non potrebbe mai accadere un'esplosione a bordo», ma subito accompagna questa sua affermazione con un energico colpo di nocche sulla scrivania (in Israele, come altrove, lo scongiuro si fa toccando il legno, non il ferro), segno di un auspicio, non di una certezza assoluta. Poi specifica: «Un attentato a bordo è il nostro principale incubo, per questo i nostri aerei sono sempre ispezionati palmo palmo e se sono fermi in sosta all'estero, anche per due giorni, sono chiusi ermeticamente e sorvegliati a vista».

I passeggeri invece - come ben sa chi viaggia in Israele - non solo hanno i bagagli controllati da strumenti ben più raffinati di quelli in uso negli altri aeroporti, ma sono anche sottoposti a una serie di domande, a volte sorprendenti come «lei ha armi o esplosivi?» La ragione di questa domanda - apparentemente assurda - è semplice: «Noi conosciamo personalmente ogni passeggero, lo valutiamo; la short interview ci permette di valutare non tanto le parole delle risposte, ma il linguaggio del corpo che i nostri addetti sanno interpretare attraverso i movimenti degli occhi, delle mani, i tic eventuali, il nervosismo appena percettibile di chi ha qualcosa da nascondere».

Certo, Israele ha solo un aeroporto internazionale da difendere e solo 47 vettori civili. Ma sta di fatto che, dopo la strage di Lod del 1972, ha prevenuto ogni attacco, a terra o in aria. Questo, grazie a un sistema complesso, basato sulla priorità assoluta dell'obbiettivo di garantire la sicurezza dell'aria, assegnandola a terra a un'organizzazione, la Israel Airport Authority, che presidia capillarmente l'aeroporto con consistenti forze di sicurezza autonome, ben armate e addestrate (la polizia ha autorità e può intervenire solo all'esterno dell'aeroporto). Un modello che dovrebbe essere imitato.

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