C’è tempo fino alla mezzanotte di domani per chiudere. Ecco i principali punti in discussione, e i nodi da sciogliere per arrivare all’accordo.

Break-out time
L’intento del gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più Germania) è di ottenere grazie al negoziato un accordo in base al quale l’Iran avrà bisogno di almeno un anno di tempo per produrre sufficiente materiale fissile - uranio arricchito o plutonio - per un singolo ordigno atomico, se dovesse decidere di rompere le intese. Il «Break-Out Time» di 12 mesi è dunque l’obiettivo negoziale della comunità internazionale.

Durata dell’accordo
L’accordo comporterà limiti al programma nucleare iraniano. Teheran è disposta ad accettare che dureranno per 8 anni, gli Stati Uniti avevano chiesto 20 anni ma ora sono disposti ad accettare 10 anni mentre la proposta francese è di 15 anni a cui seguiranno altri 10 anni di monitoraggio.

Uranio arricchito
L’Iran possiede 20 mila centrifughe - macchine che purificano l’uranio per usarlo come carburante o arricchirlo per una bomba - di cui 10 mila sono già in funzione. All’origine voleva mantenerle tutte mentre gli Usa chiedevano di ridurle a poche centinaia. Ora Washington sarebbe favorevole a lasciarne 6000-6500 in funzione mentre Teheran ne chiede 9000. La discussione è aspra: più alto è il numero delle centrifughe più si riduce il «Break-Out Time».

Ricerca e sviluppo
Le 10 mila centrifughe che l’Iran non adopera sono il cuore del suo programma di «ricerca e sviluppo» che vuole continuare mentre le potenze occidentali vogliono bloccarlo del tutto, perché si tratta di macchine molto avanzate, operano ad altissima velocità.

Plutonio
Le potenze occidentali hanno chiesto a Teheran di smantellare il reattore di Arak, capace di produrre quantità significative di plutonio. Teheran ha rifiutato, accettando però l’idea di convertirlo o gestirlo in maniera tale da produrre una quantità minime di plutonio. L’Iran si è anche impegnato a non estrarre plutonio da carburante nucleare già adoperato.

Centrale di Fordow
E’ un impianto sotterraneo che gli iraniani affermano di aver convertito in centro di «ricerca e sviluppo». È uno dei maggiori contenziosi perché Usa ed europei chiedono che a Fordow non vi sia neanche una centrifuga.

Quantità di uranio
Teheran voleva inizialmente produrre 2,5 tonnellate di uranio l’anno, poi ha accettato di scendere a 1,25 tonnellate ma gli occidentali ritengono che anche 250 kg sarebbero «problematici». Gli occidentali sono disposti a concedere all’Iran più centrifughe se accetta di possedere meno uranio. Da qui la questione del trasferimento delle scorte di uranio all’estero: la Russia si è offerta di accoglierle. Altri Paesi potrebbero farlo.

Sanzioni
L’Iran chiede che tutte le sanzioni, non solo Onu ma anche Usa e Ue, vengano abolite immediatamente al momento della firma. Gli Stati Uniti propongono una riduzione graduale. C’è una proposta francoamericana per sospendere subito quelle Onu. Teheran vuole l’abolizione delle sanzioni finanziarie per far ripartire la propria economia. È un tema che divide Washington: il presidente Obama afferma di avere i poteri per sospendere alcune sanzioni Usa, i leader repubblicani del Congresso non sono d’accordo.

Aspetti militari
Nel 2011 l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) affermò che l’Iran aveva condotto in passato test segreti su aspetti militari del programma. Teheran si è sempre rifiutata di cooperare su questo tema ma Usa ed europei gli chiedono di farlo.

Monitoraggio
Gli occidentali chiedono un monitoraggio sulle intese, coinvolgendo l’Aiea, ma Teheran non lo vuole «illimitato». Si sta negoziando per arrivare a definire criteri comuni.

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Ma il Congresso americano ha tutto il diritto di opporsi"


Paolo Mastrolilli           James Woolsey, ex direttore della Cia

L’ex capo della Cia James Woolsey pensa che l’accordo con l’Iran sia un errore, e crede che i parlamentari possano e debbano dirlo fin da ora: «Il Congresso ha tutto il diritto, sancito dalle leggi e dalla costituzione, di prendere posizione su un trattato come quello in discussione con l’Iran».

Lei cosa pensa dell’intesa che si sta negoziando a Ginevra?
«Non posso giudicarla in maniera compiuta, fino a quando non sarà firmata e resa pubblica. Quello che ho letto finora, però, mi lascia molto scettico».

Perché?
«Lo scopo dell’accordo dovrebbe essere quello di impedire all’Iran di costruire la bomba atomica, ma le capacità nucleari che verrebbero lasciate a Teheran non precludono questa possibilità».

Detto ciò, le sembra giusto che il Congresso interferisca al punto di inviare una lettera al leader supremo iraniano per sconfessare l’operato del presidente?
«È nelle sue prerogative. Io ho fatto i negoziati nucleari con l’Urss e poi con la Russia dal 1969 al 1991, cioè l’anno prima della mia nomina a direttore della Cia, e ho sempre avuto contatti strettissimi con i parlamentari. Briefing, informative, visite di delegazioni: il rapporto era costante. Avevano il diritto di essere informati, e se chiedevano di intervenire noi avevamo il dovere di assecondarli, qualunque fosse la loro appartenenza partitica».

Supponiamo che una mattina alcuni membri del Congresso avessero scritto una lettera al Cremlino, sconfessando tutto quello che lei stava facendo: come avrebbe reagito?
«Non sarei stato contento, ma avrei accettato questa iniziativa, perché avrei riconosciuto che rientrava nelle loro prerogative di legge».

Anche dire che boicotteranno qualunque intesa raggiunta con l’Iran?
«La legge stabilisce che un trattato come quello in discussione con Teheran debba essere approvato dal Senato con una maggioranza di almeno due terzi dei voti. Il Congresso dovrà comunque pronunciarsi su questo tema, e quindi rientra nei diritti dei parlamentari far conoscere la loro posizione quando vogliono, e far sapere in anticipo che non hanno intenzione di approvare l’accordo. Fa parte del normale processo politico: se comunque voteranno contro, ha senso farlo sapere in anticipo all’amministrazione, così i negoziatori potranno regolarsi sulla linea da tenere durante le trattative, e magari puntare a raggiungere un’intesa diversa che il Congresso possa accettare».

Opporsi così ad un negoziato ancora in corso non danneggia i poteri del presidente, indebolendo il ruolo degli Stati Uniti e creando un pericoloso precedente per i successori di Barack Obama?
«No, guardi, è il contrario. Ciò che indebolirebbe gli Stati Uniti sarebbe l’aggiramento delle regole democratiche che hanno fatto la grandezza del nostro Paese. Il presidente, in base alle leggi su cui ci reggiamo da due secoli, non ha il diritto di concludere un trattato internazionale di queste proporzioni senza coinvolgere il Congresso. Se i parlamentari sono contrari hanno il diritto di dirlo, anche alla scopo di condizionare il negoziato e possibilmente migliorarlo. Poi tanto il Senato dovrà votare su un simile accordo, e quindi ci sarà una normale campagna politica sul testo. Alla fine si conteranno i voti, e come avviene in tutte le democrazie che funzionano, chi avrà costruito il consenso più forte sulla propria posizione vincerà».

Persino Fabio Scuto su Repubblica riporta integralmente le condizioni che l'Iran impone al "gruppo 5+1".  Non è possibile non rendersi conto della impossibilità di sottoscrivere un accordo che consentirebbero al regime di Teheran di possedere l'arma nucleare.


Fabio Scuto

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