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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
25.03.2015 Israele contro i negoziati tra Occidente e Iran: è anche un affare di spionaggio
Cronaca di Davide Frattini, analisi di Mattia Ferraresi

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Davide Frattini - Mattia Ferraresi
Titolo: «L'offensiva d'Israele per far deragliare i negoziati con l'Iran - Le spie israeliane e i leak al Congresso: l'ultimo screzio fra Obama e Bibi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/03/2015, a pag. 21, con il titolo "L'offensiva d'Israele per far deragliare i negoziati con l'Iran", la cronaca di Davide Frattini; dal FOGLIO, a pag. 4, con il titolo "Le spie israeliane e i leak al Congresso: l'ultimo screzio fra Obama e Bibi", l'analisi di Mattia Ferraresi.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Davide Frattini:  "L'offensiva d'Israele per far deragliare i negoziati con l'Iran"


Davide Frattini

Prima di diventare ambasciatore a Washington, quello che gli americani chiamano «il cervello di Bibi» (o il suo «specchio») si era trasferito in un appartamento a pochi metri dalla residenza del primo ministro a Gerusalemme. Consigliere senza carica ufficiale, sua guardia del corpo ideologica (via editoriali e interventi sui giornali), Ron Dermer è un ebreo osservante di origine americana: abitare così vicino a Benjamin Netanyahu gli permetteva di essere sempre a disposizione, anche di sabato quando non può guidare l’auto e deve muoversi solo a piedi. E’ stato Dermer, alla fine di gennaio, a lanciare una campagna di pubbliche relazioni e pressioni politiche tra i deputati e i senatori americani. Per convincerli che l’accordo con l’Iran era inaccettabile, per anticipare le obiezioni che il suo capo avrebbe proclamato da lì a un mese davanti al Congresso.

Per passare a democratici e repubblicani informazioni che la Casa Bianca preferiva tenere, almeno ancora per un po’, riservate: a Teheran sarebbe stato permesso avere 6.500 centrifughe funzionanti e di un modello capace di produrre uranio arricchito da usare per una bomba atomica. Dettagli che gli israeliani sostengono di avere ottenuto da diplomatici di altri Paesi coinvolti nelle trattative, notizie che — ha ironizzato Netanyahu nel discorso al Congresso — possono essere trovate su Google. Il premier e i suoi consiglieri stavano cercando di ridimensionare i sospetti che i funzionari statunitensi hanno deciso di rivelare al quotidiano Wall Street Journal: i servizi segreti israeliani avrebbero spiato le comunicazioni degli americani, ascoltato quello che i negoziatori raccontavano ai loro boss, intercettato le telefonate tra le sei nazioni coinvolte (oltre agli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, la Russia, la Cina e la Germania). Gli israeliani negano e gli esperti fanno notare che l’aggressività della sua intelligence verso gli Stati Uniti è stata ridimensionata dal caso di Jonathan Pollard, l’ebreo ancora in carcere per aver passato informazioni al Mossad.

Contrastare l’intesa che dovrebbe essere definita entro la fine del mese è adesso l’obiettivo principale di Netanyahu: il primo ministro avrebbe rinunciato al progetto di un attacco militare contro i siti nucleari iraniani e sarebbe arrivato ad accettare che agli ayatollah venga garantita una qualche forma di programma atomico. La battaglia diplomatica (e delle informazioni) diventa così fondamentale: gli israeliani da almeno un anno e mezzo hanno cambiato strategia e stanno concentrando i loro sforzi sul contenuto dell’accordo. Premendo sui Paesi che li ascoltano di più (Yuval Steinitz, ministro dell’Intelligence è in questi giorni a Parigi e Londra), cercando di deragliare le mosse del presidente Barack Obama.

Perché è di lui che Netanyahu non si fida (e il sospetto è ricambiato). Quando Obama ha dato il via ai negoziati nel 2012, ha scelto di tenerli segreti anche all’alleato in Medio Oriente e i servizi segreti americani hanno monitorato le comunicazioni dello Stato ebraico per oltre un anno, volevano scoprire se gli israeliani fossero stati a conoscenza delle trattative. Il presidente lo ha comunicato al primo ministro solo nel settembre del 2013. E la reazione israeliana (non ufficiale) è stata: «Come potevano pensare che non lo sapessimo già?». Gli Stati Uniti e Israele danno per scontato di essere l’oggetto della reciproca sorveglianza. Gli americani spendono in contromisure per interferire con i controlli del Mossad più che verso qualsiasi altro Paese amico. Gli israeliani applicano le stesse tattiche. Così il Wall Street Journal spiega che Washington non è irritata dal fatto che le informazioni siano state intercettate ma che siano state usate per interferire nei rapporti tra il presidente e il Congresso.

IL FOGLIO - Mattia Ferraresi:  "Le spie israeliane e i leak al Congresso: l'ultimo screzio fra Obama e Bibi"


Mattia Ferraresi

New York. Un’inchiesta del Wall Street Journal sostiene che l’intelligence israeliana ha spiato gli americani durante le trattative nucleari con l’Iran per carpire informazioni sui negoziati che Washington non condivideva con Gerusalemme.

A detta delle fonti americane del Journal, la parte più grave della faccenda non era lo spionaggio in sé, attività diffusa anche fra alleati e regolata dalle consuetudini informali della diplomazia, quanto il fatto che gli israeliani passavano le informazioni ai membri del Congresso per fomentare un fronte d’opposizione al “grand bargain” con gli ayatollah: “Un conto è spiarsi a vicenda, un altro è che Israele rubi informazioni riservate agli Stati Uniti e le passi ai parlamentari americani per sabotare la diplomazia”, ha detto una fonte dell’Amministrazione.

L’accusa è anche più grave di tutti gli attacchi volati in questi mesi fra l’Amministrazione Obama e il governo di Bibi Netanyahu, perché si tratterebbe di un’intrusione diretta nelle dinamiche di uno stato straniero, praticata usando informazioni riservate per influenzare le decisioni dei rappresentanti eletti dal popolo. Il Wall Street Journal spiega che, attraverso l’ambasciatore Ron Dermer, Netanyahu ha iniziato a fare attività di lobbying al Congresso a gennaio, dopo avere comunicato per l’ennesima (e ultima) volta alla Casa Bianca la sua opposizione a un accordo con l’Iran; poco dopo, diversi media israeliani hanno scritto che il sottosegretario del dipartimento di stato, Wendy Sherman, aveva bruscamente interrotto gli incontri informali nei quali aggiornava i funzionari israeliani sullo stato dei dialoghi di Ginevra.

La notizia di Sherman è confermata dal Wall Street Journal, il quale sostiene che gli americani hanno smesso di parlare con Israele soltanto per “timore di leak”, non per reazione alle iniziative di “backchannel” degli israeliani al Congresso. Sta di fatto che a un certo punto Netanyahu si è sentito tagliato fuori dalle trattative sul destino nucleare della più grande minaccia esistenziale per Israele, e la cosa non gli è piaciuta affatto. Negli incontri ginevrini di quel periodo, John Kerry ha insistito per continuare certe conversazioni con il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a passeggio per la città, scelta complicata dal punto di vista della sicurezza e probabilmente non soltanto dettata dalla voglia di una boccata d’aria dopo tanto discutere a porte chiuse. Le immagini della diplomazia en plein air documentano in modo indiretto il rapporto di sfiducia fra Obama e Netanyahu.

Secondo il Journal, l’invito rivolto dallo speaker della Camera, John Boehner, al primo ministro israeliano non è che il culmine dell’attività diplomatica parallela, fortemente contrastata da Obama con pressioni analoghe per favorire il “regime change” a Gerusalemme. Invece Netanyahu ha vinto un’altra volta le elezioni, circostanza che ha scatenato una massiccia campagna sotterranea a colpi di leak per screditare l’alleato riottoso. I protagonisti dell’inchiesta giornalistica negano. Boehner ha detto ieri che “nessun tipo di informazione è stata mai rivelata”, mentre il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha negato qualunque attività di spionaggio nei confronti dell’alleato. La sostanza dell’articolo del Wall Street Journal proviene da anonimi funzionari dell’Amministrazione che all’unisono veicolano le stesse accuse nei confronti d’Israele, lasciando intravvedere in filigrana una certa coesione strategica in quello che è soltanto il capitolo più recente di una guerra in cui è difficile distinguere lo spin dallo scoop.

Rimane però una domanda: se gli israeliani spiavano i negoziati per passare informazioni ai congressmen, significa che questi ultimi erano all’oscuro di quanto succedeva. Fossero stati aggiornati dalla Casa Bianca, come vuole la prassi costituzionale, le notizie origliate dalle spie israeliane avrebbero perso immediatamente il loro valore, rendendo inutili i leak sui quali è costruita l’ennesima accusa.

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