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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
07.10.2014 Turchia: Erdogan, chi di islamismo ferisce, di islamismo perisce
Analisi di Maurizio Molinari - Commento di Livio Caputo

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari - Livio Caputo
Titolo: «Bandiera nera su Kobani, l'Isis avanza - Ankara sceglie il doppio gioco»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2014, a pag. 10, con il titolo "Bandiera nera su Kobani, l'Isis avanza", l'analisi di Maurizio Molinari; dal GIORNALE, a pag. 13, con il titolo "Ankara sceglie il doppio gioco", il commento di Livio Caputo.

Turchia: chi di islamismo ferisce, di islamismo perisce. Da molti anni Erdogan e la sua Turchia sempre più islamizzata hanno favorito i gruppi terroristi, a partire da quelli legati alla Fratellanza musulmana, come Hamas. Ma la Turchia ha anche favorito il passaggio in Siria e Iraq di jihadisti pronti a combattere in diverse organizzazioni del terrore, tra le quali l'Isis. Adesso Erdogan, per non favorire l'unica forza moderata del Medio Oriente oltre a Israele, ovvero i curdi, attende alle frontiere, lasciando che siano gli sgozzatori dell'Isis a compiere il massacro.
Come afferma Caputo nella sua approfondita analisi, una situazione simile a quella che si è verificata tra l'estate e l'autunno del 1944, quando l'Armata Rossa si fermò alle porte di Varsavia per due mesi, attendendo che il campo della resistenza polacca fosse sgombrato dalle truppe tedesche.


I peshmerga curdi difendono Kobane

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Bandiera nera su Kobani, l'Isis avanza"


Maurizio Molinari

Le bandiere nere sulle colline di Kobani, un assalto in forze alla Valle della Bekaa e l'avvicinamento da Ovest a Baghdad descrivono i fronti dell'avanzata militare dello Stato Islamico (Isis) in Siria, Libano e Iraq lasciando intendere che 60 giorni di raid aerei Usa non hanno fiaccato la Jihad di Abu Bakr al Baghdadi.

Kobani quasi caduta
Il drappo nero del Califfo Ibrahim sventola sulla collina di Mistenur che sovrasta Kobani. A tre settimane dall'inizio dell'assedio al maggiore centro curdo, 160mila abitanti sono fuggiti in Turchia e ai difensori restano solo i quartieri centrali. I progressi di Isis sono avvenuti a dispetto dei raid della coalizione che, come il comando centrale Usa afferma, continuano a bersagliare le posizioni jihadiste «a sud di Kobani». Isis è ora in grado di bombardare i difensori curdi dall'alto e ciò significa che l'ultima fase della battaglia sarà la più cruenta. Lo ammette Esmat al-Sheik, capo dell'«Autorità per la difesa di Kobani»: «Se entreranno, questo luogo diventerà un cimitero, loro e nostro, resisteremo fino all'ultimo». Il Califfo vuole Kobani per espellere i curdi dal Nord-Est della Siria e concentrare gli sforzi più a Ovest, nella battaglia di Aleppo. Ma è una tattica che lo espone al rischio di attacchi turchi: i tank di Ankara sono a ridosso del confine, proprio a Kobani, e il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, promette di «sostenere la Turchia se verrà aggredita».

Assalto nella valle della Bekaa
Centinaia di miliziani di Al Nusra hanno attraversato le montagne fra Siria e Libano puntando a Brital per attaccare almeno dieci basi Hezbollah a Sud di Baalbek, il maggiore centro della Valle della Bekaa loro roccaforte. I combattimenti sono stati intensi, protraendosi per ore. Fonti Hezbollah parlano di almeno 17 assalitori uccisi mentre i siti jihadisti affermano che 10 miliziani filo-iraniani sarebbero stati uccisi. Sebbene l'assalto sia stato respinto, contiene tre novità.
Primo: Al Nusra, emanazione di Al Qaeda, tiene fede all'impegno di alleanza con gli ex rivali di Isis e dimostra di voler gestire l'iniziative nella Siria del Sud, dove già controlla l'80 per cento della frontiera sul Golan.
Secondo: Hezbollah, che ha circa 5000 uomini in Siria, deve difendersi in casa.
Terzo: il Califfo vuole portare la guerra in Libano, estensione naturale delle operazioni in Siria.
Questo spiega perché il ministro della Difesa libanese andrà a Teheran a chiedere aiuti militari mentre Riad pagherà il costo di elicotteri russi per l'esercito libanese.

Verso Baghdad
Sul fronte iracheno il Califfo è a pochi km dall'obiettivo più ambizioso: entrare a Baghdad. Un reporter di McClatchy afferma che Isis «si muove liberamente ad Abu Ghraib», a 40 km dalla capitale, obbligando le truppe irachene a non uscire dalle basi. Ciò significa minacciare l'aeroporto internazionale e spiega perché i comandi Usa impiegano gli elicotteri Apache contro Isis. «Gli Apache sono i soldati del cielo» riassume l'esperto militare Jeffrey White, facendo capire che «i raid aerei - iniziati l'8 agosto - non bastano» perché Isis è «nella cintura urbana di Baghdad». A sostenere i raid vi sono anche gli aerei di Belgio, Olanda e Australia, già impegnati in combattimento.

Il fronte del Sinai
Da quando in agosto hanno aderito a Isis, i jihadisti di Bayt Al Maqqdis emulano le tattiche del Califfo decapitando i militari egiziani catturati. Nell'ultimo episodio le decapitazioni di «3 spie egiziane» sono state filmate, aggiungendo il messaggio del portavoce Mohamed Al Adnany: «E' jihad contro gli infedeli». II Cairo gli dà la caccia con un massiccio impiego di forze perché il timore è di diventare il prossimo fronte di Isis.


IL GIORNALE - Livio Caputo: "Ankara sceglie il doppio gioco"


Livio Caputo                Recep Tayyip Erdogan

«I Turchi? Hanno fornito centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di materiale bellico a chiunque accettasse di combattere contro Assad. Purtroppo, buona parte è finita nella mani dei jihadisti, e in particolare di Al Nusra, l'organizzazione della resistenza siriana legata ad Al Qaeda». Ad Ankara, queste parole del vicepresidente americano Biden hanno fatto l'effetto di una bomba. Il presidente Erdogan lo ha attaccato furiosamente, e il vicepresidente gli ha fatto delle mezze scuse, pur ribadendo il concetto. Ma l'isterica reazione del «nuovo Sultano» ha solo rafforzato il sospetto che, nella complessa partita che si è aperta in Mesopotamia, Ankara stia giocando un ruolo molto ambiguo: è un membro affidabile della coalizione anti-Califfato o sta usando gli jihadisti contro i Curdi siriani del Pyd, stretti alleati dei Curdi turchi del Pkk contro cui sta lottando da trent'anni? Chi sospetta Erdogan di doppio gioco trova conforto nella situazione che è venuta a crearsi a Kobane, una delle tre enclavi curde al confine della Turchia, da tre settimane sotto attacco da parte dell' Isis e ora, si teme, sul punto di cadere. Appena al di là della frontiera, era stata schierata una divisione corazzata turca - poi ritirata su posizioni meno avanzate - con luce verde per operare in Siria. Se avessero voluto, i turchi non avrebbero avuto difficoltà, con l'appoggio aereo - peraltro stranamente sporadico - della coalizione arabo-occidentale, a spezzare l'assedio ed evitare quello che, se la città cadesse davvero nelle mani dei fanatici del Califfato, si tradurrebbe in una strage paragonabile a quella degli Yazidi. Invece, non si sono mossi: un comportamento paragonabile a quello dell'Armata rossa che nell'agosto del '44 si fermò per due mesi sulle rive orientali della Vistola mentre i tedeschi soffocavano nel sangue l'insurrezione dei nazionalisti polacchi a Varsavia.
Una cosa è certa: i Curdi, un popolo di 30 milioni divisi tra Turchia, Iraq, Siria e Iran che da un secolo cerca di dare vita a una propria nazione, hanno finito col trovarsi al centro di questo conflitto pieno di contraddizioni. Gli Usa e il governo di Bagdad hanno usato i Curdi iracheni, che sono in controllo del nord-est del Paese e dispongono di valorosi combattenti, per fermare in extremis l'avanzata dell' Isis dopo la conquista di Mosul. Ora, tuttavia, temono che vogliano approfittare della situazione per impadronirsi dei campi petroliferi intorno a Kirkuk e proclamare l'indipendenza. I Curdi siriani hanno cercato a loro volta di costituire una propria regione autonoma, stringendo un tacito patto di non belligeranza con il regime di Assad e cercando nel contempo di tenere fuori i movimenti islamisti dai propri territori. In questo, sono stati aiutati dai loro connazionali turchi del Pkk, accorsi a migliaia per difendere Kobane. Ma questo ha indotto la Turchia, che pure ha lasciato passare migliaia di jihadisti europei ed americani che volevano unirsi all'Isis, a chiudere loro la frontiera. C'è il sospetto che questo facesse parte dell'accordo segreto che ha portato Ankara a liberare ben 180 guerriglieri jihadisti in cambio del rilascio dei 46 dipendenti del suo consolato catturati a Mosul.
Forse per rintuzzare le accuse di parteggiare per il Califfato in funzione anti-curda, la Turchia ha autorizzato gli americani ad usare la base aerea di Inçirlik, accolto oltre centomila profughi da Kobane e accettato di curare un certo numero di combattenti curdi feriti nei propri ospedali. Tuttavia, l'ostilità verso il Pkk, che con la sua insurrezione indipendentista ha provocato nel corso degli anni oltre cinquantamila morti, e verso l'ex amico Assad che ora Erdogan vuole ad ogni costo liquidare, sembrano ancora prevalere sulla paura dell'Isis, al punto da lasciare a quest' ultima mano libera a Kobane.
Conlusione: difficilmente la coalizione potrà contare sulla principale potenza militare della regione, una volta considerata una colonna della Nato.

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