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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
29.08.2014 Guerra di Gaza: vittoria o pareggio per Israele?
Analisi di Carlo Panella e editoriale del Foglio

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Carlo Panella - redazione
Titolo: «La mezza vittoria delude Israele. Netanyahu rischia - La vulnerabilità di Israele»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/08/2014, a pag. 16, con il titolo "La mezza vittoria delude Israele, Netanyahu rischia", l'articolo di Carlo Panella; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "La vulnerabilità di Israele".

Di seguito gli articoli:

LIBERO - Carlo Panella: "La mezza vittoria delude Israele, Netanyahu rischia"


Carlo Panella


Benjamin Netanyahu

Chi ha vinto la guerra di Gaza? Secondo il 54% degli israeliani non è affatto chiaro. Secondo un sondaggio di Haaretz, quotidiano progressista e di opposizione, non è affatto chiaro che Israele sia stato il vincitore. Dato indicativo e allarmante per il governo di Gerusalemme se confrontato con un altro sondaggio del quotidiano israeliano Ynet secondo il quale la popolarità di Bibi Netanyahu è precipitata dall'82% al 38% dopo i 50 giorni della guerra di Gaza. Naturalmente, è inutile chiedere a Gaza chi abbia vinto la guerra. Hamas ha deciso di dichiarare una «storica vittoria» e così deve essere. Chi non si dichiarasse d'accordo verrebbe subito sbattuto in galera e sarebbe pronto per essere prelevato, incappucciato e ucciso con un colpo alla nuca fra la folla festante come "collaborazionista" secondo le regole dittatoriali che vigono nella Striscia che tanto commuove le anime belle del politically correct. Resta comunque il problema, di rilevante interesse anche fuori da Israele e dalla Palestina, perché il permanere sui bordi del Mediterraneo di una Gaza trasformata in un bunker militare, con decine di migliaia di razzi e missili nascosti in ospedali, moschee e asili, costituisce un pericolo per la sicurezza di tutti, Europa inclusa. E' infatti ampiamente provato che ad armare e finanziare Hamas e la Jihad Islamica è l'Iran che sta puntando a costruire una bomba atomica, che ha sempre praticato il terrorismo all' estero (anche in Europa, oltre che in Argentina) e che ha in Gaza una testa di ponte pronta a fungere da piattaforma per nuove aggressioni terroristiche, quando saranno considerate funzionali alla politica di Teheran. Gaza, inoltre, assieme a Tripoli appena conquistata dalle islamiste milizie di Misurata, è l'ultima zona in cui possono agire indisturbati i Fratelli Musulmani (di cui Hamas è la sezione palestinese) che sono considerati un grande pericolo per tutti i paesi arabi, in primis l'Egitto. Nel merito, al di là delle impressioni che si registrano tra gli israeliani circa la «non vittoria», va detto che non è affatto chiaro quali saranno le conseguenze della tregua definitiva siglata nei giorni scorsi tra Hamas e Israele con la mediazione dell'Egitto. Né è chiaro se Hamas ha perso o "pareggiato". Questo, perché solo una ventina di persone in Israele, tra governo e vertici militari, sa quanta parte dell'arsenale e dei tunnel di Hamas sono stati distrutti e solo Hamas sa quante perdite in uomini ha subito, in particolare dei suoi quadri dirigenti (è solo noto che sono stati uccisi tre su sei suoi massimi dirigenti militari). Né è noto se Israele sia riuscito a portare a segno - come pare, ma senza conferma - l'uccisione di Mohammed Deif, il comandante militare delle brigate al Qassem di Hamas, un vero genio del male. Infine, solo in futuro si capirà quale sarà la effettiva sorveglianza che le forze di sicurezza di Abu Mazen potranno e sapranno esercitare sul valico di Refah e sulle frontiere con l'Egitto. Ma molti indizi portano a supporre che Hamas in futuro non riuscirà a importare a Gaza i missili e le armi che è riuscita a procurarsi negli ultimi anni. Prima con la complicità ignava del regime di Mubarak, poi con l'intensa collaborazione del governo egiziano guidato dai Fratelli Musulmani e Mohammed Morsi. E' certo che il nuovo presidente egiziano al Sisi - figura chiave nella soluzione della crisi - è ben deciso a impedire che a Gaza dal' Egitto o via mare penetri un solo proiettile. Al Sisi è infatti sicuro che i jihadisti che seminano il terrore nel Sinai, inclusi i miliziani di Ansar Bayt alMaqdis che hanno diffuso ieri il raccapricciante video dei nuovi sgozzamenti, abbiano in Gaza un indispensabile "santuario" e in Hamas un alleato di fatto. E' comunque sicuro che Abu Mazen userà del presidio dei suoi militari del confine di Refah per riprendere quota in una Gaza da cui i suoi uomini sono stati espulsi con la forza e con stragi da Hamas nel 2007. Detto questo, è certo che Netanyahu ha dato ancora una volta a Israele la sensazione di un leader "che non sa vincere la pace, ma non sa neanche vincere la guerra". Non un "commander in chief', come furono Ben Gurion, Moshè Dayan e Itzaac Rabin e Ariel Sharon, ma un politico insicuro e incerto. Troppo dipendente dalla ricerca del facile consenso popolare per sapere vincere una guerra.

 Il FOGLIO - editoriale: "La vulnerabilità di Israele"

Hamas ha poco da festeggiare. Ci vorranno dieci anni per riportare la Striscia di Gaza al punto in cui era prima di questa guerra. Mille terroristi sono rimasti uccisi nei combattimenti con Israele, i cui soldati si sono dimostrati in grado di combattere nell'ostile ambiente urbano di Gaza. Hamas ha consumato tre quarti del suo arsenale bellico. E nella tregua siglata dall'Egitto ha ottenuto quello che gli veniva offerto all'inizio del conflitto, ossia quando la conta dei morti era ferma a duecento, non duemila. Eppure Hamas ha anche molto di cui essere fiera. Fino all'ultimo minuto prima della tregua, i suoi miliziani hanno lanciato decine di missili contro le città israeliane, colpendo zone del paese che si credevano immuni dalla minaccia. Le tre vittime civili israeliane sono arrivate negli ultimi due giorni di conflitto, quando in teoria la capacità bellica di Hamas doveva essere indebolita. Hamas ha costretto tre quarti delle compagnie aeree internazionali a cancellare i voli su Tel Aviv e ha inflitto un durissimo colpo all'economia israeliana. Soprattutto, Hamas ha esposto tutta la vulnerabilità di Israele, ha archiviato per il momento la possibilità dei "due stati per due popoli", ha scatenato una spaventosa ondata di antisemitismo in Europa e ha dimostrato di non essere affatto un corpo estraneo palestinese. Quando i leader di Hamas, Ismail Haniyeh e Mahmoud Zahar, sono usciti dalle loro tane, la popolazione palestinese avrebbe dovuto linciarli e contestarli per la rovina che hanno portato nella regione. Invece no. Feste, giubilo e danze hanno accompagnato il ritorno in superficie degli assassini. E' Israele che ha molto su cui riflettere e infatti la popolarità del premier Benjamin Netanyahu è ai minimi storici. Roni Daniel, il maggiore analista militare, ha detto che "per due mesi una banda di terroristi ha tenuto testa al più forte esercito del medio oriente". Israele non è mai stato in grado di fermare il lancio di missili, ha ignorato la minaccia dei tunnel e ha dovuto persino evacuare il sud del paese. La resistenza islamica palestinese, soprattutto, non ha mai alzato bandiera bianca. "La guerra doveva finire con Hamas che implorava", ha scandito Roni Daniel. E' così che doveva concludersi la guerra fra una banda di fanatici assetati di sangue ebraico e una grande democrazia. Con i primi con la coda fra le gambe. Questa tregua, invece, sarà il preludio a una guerra ancora più sanguinosa che Gerusalemme, prima o poi, sarà costretta a combattere. Israele non può accettare come status quo quello in cui un regime islamico alle sue porte decide di tenere in scacco il paese per cinquanta giorni.

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