Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/07/2014, a pag 3, l'articolo di Giacomo Galeazzi dal titolo "Svastiche e insulti contro gli ebrei A Roma torna l’incubo antisemita " e da REPUBBLICA a pag.4 l'intervista di Andrea Tarquini al sociologo Ulrich Beck dal titolo "Ora l'antisemitismo si è globalizzato. Ma Israele deve fermare la sprirale di violenza ", preceduto da un nostro commento.

 
Svastiche e scritte antisemite a Roma

LA STAMPA - Giacomo Galeazzi: "Svastiche e insulti contro gli ebrei A Roma torna l’incubo antisemita "


Giacomo Galeazzi

A riaprirsi è la ferita del 1982 quando un corteo contro Israele lasciò una bara davanti al Tempio Maggiore di Roma. Pochi giorni dopo un attentato uccise al ghetto un bambino.
Ieri la guerra in Medio Oriente ha dato il pretesto a qualcuno per dipingere svastiche sulle serrande di decine di negozi gestiti da ebrei in diverse zone di Roma, aggiungendo scritte come «Anna Frank cantastorie». E anche «ogni palestinese è come un camerata, stesso nemico stessa barricata». Da presidente della comunità ebraica Giacomo Saban ha ricevuto Karol Wojtyla in sinagoga. «L’antisemitismo salda forze che in astratto sono agli antipodi: è già accaduto negli Anni 30 in Germania e poi in varie parti d’Europa. La storia si ripete».
Un allarme rilanciato dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: «Sono gruppi che sfruttano il malessere sommando sostenitori di Gaza e destra neonazista. La sinistra che in Italia appoggia Hamas deve rifletterci». Per il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici è «come nel 1933, quando alcune stelle gialle furono attaccate all’entrata di negozi di proprietà di ebrei» nella Germania da poco governata dai nazisti». Unanime la condanna del gesto. Il sindaco Ignazio Marino condanna «un’offesa a tutti i romani». Il premier Matteo Renzi ha parlato al telefono con Pacifici e presto lo incontrerà.
Sull’episodio indaga la Digos e la pista seguita è quella di una saldatura tra estrema destra ed estrema sinistra in funzione anti-israeliana, con una possibile regia unica.
Oltre settanta le frasi scritte su muri e serrande dei negozi lungo via Appia e in altri quartieri. Pacifici ha fatto un appello al questore e al sindaco di Roma perché i responsabili siano individuati e puniti: «Roma non può diventare come Parigi, dove gli ebrei sono assaltati, le sinagoghe circondate e girare con la kippah in testa è un pericolo concreto». Infatti «quando si fa una svastica su una serranda si indica un possibile bersaglio». Un’escalation dell’odio legata al conflitto in Medio Oriente e una «saldatura tra estrema destra ed estrema sinistra, che dai convegni negazionisti attraverso i social network è passata alla strada».

Beck critica un "militarismo" israeliano che non esiste, in quanto la forza militare che Israele deve usare è rivolta alla difesa, non all'aggressione. La lotta contro l'antisemitismo non può che passare dalla confutazione di menzogne e mitologie antisraeliane, non dall'ulteriore rafforzamento di un diritto di "critica" che in realtà nessuno nega o limita, ma che viene esercitato a senso unico e sfocia spesso nella demonizzazione e nella delegittimazione.
Inoltre, stupisce la domanda di Tarquini sulla logica dell' "occhio per occhio dente per dente". Il significato di questa massima è la richiesta della proporzionalità della pena, non un'invocazione di vendetta, come erroneamente ha ritenuto la tradizione cristiana, essa sì intrisa di odio antisemita.


LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: "Ora l'antisemitismo si è globalizzato. Ma Israele deve fermare la sprirale di violenza  "



«Poniamo al centro la particolarità della situazione, riflettiamo attenti. In ogni caso per la Germania. Dopo il 1945 Alexander Mitscherlich scrisse L’incapacità del lutto : narrava dell’incapacità dei tedeschi di confrontarsi col nazismo e con l’Olocausto. Abbiamo fatto progressi. Ma ora spunta un’altra incapacità, quella di distinguere. Noi — tedeschi e molti europei — equipariamo gli ebrei tedeschi, francesi, italiani agli israeliani: all’improvviso i vicini tornano ebrei, quindi stranieri. Questo equiparare ogni ebreo a un israeliano e ogni israeliano a un killer di palestinesi, è lo sfondo della nuova ondata d’antisemitismo ».
È la stessa incapacità di allora?
«Sì, ma in una nuova forma. Nella recensione d’un film francese sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung si riferisce di un uomo che si lamenta del fatto che “adesso anche la sua figlia più giovane sposa uno di origini straniere, dopo che il cinese Chao, il musulmano Rashid, l’ebreo David avevano sposato le altre”. Cittadini francesi emarginati come stranieri. E senti dire agli ebrei di Berlino: “A casa vostra piovono razzi”. Dove, sul Ku’-Damm? Equiparare ebrei tedeschi, spesso critici di Israele, a israeliani, è un cardine dell’antisemitismo europeo. In Francia in particolare si parla di nuovo antisemitismo. La novità è la globalizzazione del conflitto in Palestina: si svolge anche a Parigi, Berlino, Roma. C’è l’antisemitismo delle sinistre, quello dei migranti, quello di chi nei paesi d’arrivo vive svantaggi e sente le radici religiose dei paesi d’origine. Tutto ciò produce violenza: è la globalizzazione del conflitto».
Voci ebraiche europee temono una scomparsa di vita e cultura ebraica in Europa. Che ne dice?
«Credo sia un grido d’aiuto. Gli ebrei integrati come cittadini d’Europa si sentono improvvisamente costretti a celare l’identità ebraica o a rischiare violenze. E c’è una nuova ondata d’emigrazione in Israele. L’arrivo del conflitto nelle città europee è una minaccia violenta: una intifada in Francia non è più da escludere, e sveglia in molti ebrei i peggiori ricordi. Si sentono come stranieri non amati, europei degradati a stranieri, stranieri nel loro paese. Ciò ricorda esperienze dell’inizio del nazismo: i vicini divennero ebrei, stranieri, oggetti d’odio».
Ma la reazione militare israeliana, oltre mille morti, è durissima… Netanyahu e la sua controparte araba non sono responsabili per questi trend europei?
«La situazione in Medio Oriente per molti europei non è più comprensibile. Ci mancano i concetti, forse anche l’odio, e l’idea di poter vincere con mezzi militari. Kissinger parlò di soluzione impossibile: odio profondo, fiducia di entrambi nei soli strumenti bellici. In Israele viene vista solo la possibilità di una soluzione militare, non di una negoziata. Dall’altra parte Hamas era già a un passo dalla bancarotta, e aveva cominciato a perdere la sua posizione di potere. Eppure è cercato come partner negoziale e acquista nuovo peso politico. Entrambi sono sedotti dalla prosecuzione dello scontro armato, mentre visto dall’Europa lo strumento militare prolunga il conflitto senza mai portare a soluzione».
La logica israeliana, occhio per occhio dente per dente, non va ripensata?
«Credo che debbano ripensarci. Eppure esito, dalla pacifica Europa, e specie dalla Germania, a dare consigli a Israele. Però cito Yitzhak Rabin: “La pace si conclude tra nemici, non tra amici, se vuoi la pace devi tendere la mano”. Sento la mancanza di questa disponibilità oggi, in Israele ma anche, e totalmente, in Hamas, che ha per obiettivo la distruzione d’Israele».
Con Netanyahu Israele non le sembra cambiato rispetto ai padri fondatori?
«Sì, è divenuto un altro Israele, che punta ancor più sulla superiorità militare. Influenzato dalla minaccia e dall’esperienza del terrore, reagisce con disperazione e odio al terrorismo di Hamas, ma in tal modo scava più profondo il solco della violenza. Contro i suoi stessi interessi a lungo termine. Proprio da un conservatore come Netanyahu ci si dovrebbe aspettare prontezza a richiamarsi alle tradizioni ebraiche europee e alle grandi conquiste della Storia politica israeliana. Non è così, e ciò anche per la perdita di potere e la crescente indifferenza di Washington verso il Medio Oriente e gli altri conflitti mondiali».
Molti fanno guerre: russi in Cecenia, Georgia, Ucraina, Usa in Iraq. Ma solo per vittime civili di soldati israeliani vediamo tante dimostrazioni, perché? «Coglie il nocciolo del problema. Le azioni militari di Putin sono difese come legittime da ampi strati dell’opinione pubblica tedesca, con argomenti da nazionalismo etnico. All’insopportabile acutizzazione della violenza in Medio Oriente si risponde con proteste antisemite, di una nuova qualità: nel mondo globale l’antisemitismo ha una nuova infiammabilità. E il silenzio degli intellettuali europei risulta dall’incapacità di differenziare, tra critica a Israele e chiaro impegno contro l’antisemitismo e per i valori europei, accettati anche dai cittadini europei ebrei e critici di Israele. Se accettiamo questa differenziazione, è possibile criticare da una prospettiva europea l’ossessione militare del governo israeliano e l’orribile antisemitismo militante di Hamas. Se la critica si azzoppa, diventa difficile giudicare senza cadere nella trappola dell’antisemitismo ».

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