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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
29.07.2014 Si incrina il rapporto Usa-Israele ?
Analisi di Massimo Gaggi, Carlo Panella

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Massimo Gaggi - Carlo Panella
Titolo: «Il solco tra Usa e Stato ebraico - Israele contro tutti»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2014, a pagg. 1-7, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo "Il solco tra Usa e Stato ebraico " e da LIBERO a pag. 10, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Israele contro tutti "

Sullo stesso argomento affrontato dall'articolo di Massimo Gaggi, ricordiamo anche l'articolo di Federico Rampini, prubblicato su REPUBBLICA a pagg. 1-27, dal titolo "Il prigioniero Obama"
.

Di seguito, gli articoli:



CORRIERE della SERA
- Massimo Gaggi:  "Il solco tra Usa e Stato ebraico "



Massimo Gaggi


Non solo il gelo tra Obama e Netanyahu e le critiche di Israele a Kerry. La novità è data dai cambiamenti nell’opinione pubblica Usa, sull’onda dei resoconti del conflitto e della strage di civili
«Adirato». Così anonimi funzionari della Casa Bianca descrivono all’Ap , la maggiore agenzia di stampa americana, lo stato d’animo dell’amministrazione Obama davanti alle critiche a raffica di Israele nei confronti dei tentativi di mediazione del Segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha proposto senza successo una tregua a Gaza. Usando un linguaggio insolitamente aspro, le fonti della Casa Bianca affermano che tutto questo rischia di mettere in crisi le relazioni tra Washington e Gerusalemme. Non è di certo in gioco l’appoggio americano a Israele, da sempre il maggior alleato degli Usa in Medio Oriente, ma le tensioni affiorate negli ultimi anni tra Obama e il premier dello Stato ebraico, Benjamin Netanyahu, ora stanno diventando fratture più profonde. E cambiano anche l’atteggiamento della stampa e dell’opinione pubblica americana. Nulla a che vedere, sia chiaro, con le manifestazioni di antisemitismo che si moltiplicano in Europa. E i resoconti di giornali e tv Usa sicuramente giustificano gli attacchi israeliani contro Hamas molto più di quanto non faccia, ad esempio, la stampa britannica. Ma anche qui, in un Paese nel quale la comunità ebraica ha grande influenza e le lobby filoisraeliane sono molto forti, si cominciano a registrare sensibili cambiamenti d’umore davanti a un conflitto che ha già provocato centinaia di vittime civili tra i palestinesi a Gaza, compresi circa duecento bambini.
Un contributo lo hanno dato le reti sociali e i nuovi media digitali che hanno reso le immagini dell’orrore, dei corpi dilaniati estratti dalle case bombardate, a portata di telefonino, praticamente in tempo reale. Con tanto di commenti emotivi fatti a caldo dai giornalisti su Twitter. A poco sono servite le repliche di Israele che accusa Hamas di fare un uso «telegenico» delle vittime palestinesi, esposte volontariamente a rischi di ogni tipo.
Ci sono reporter che sono stati trasferiti dalle loro testate altrove per aver descritto l’intervento militare israeliano con un linguaggio giudicato troppo aspro. E il settimanale «New York Observer » attacca il «New York Times », giornale «liberal» ma controllato da una famiglia di origini ebraiche, i Sulzberger, accusandolo di essere diventato filopalestinese.
In realtà il «Times » è stato equilibrato e ha dato ampio risalto alle ragioni di Gerusalemme, costretta a difendersi dagli attacchi terroristi di Hamas, ma il quotidiano ha anche pubblicato vari interventi di analisti convinti che Israele abbia attaccato Gaza non per bloccare il lancio di razzi contro il suo territorio, ma per far fallire i tentativi di arrivare a un’unica entità dei palestinesi di Gaza e di quelli della Cisgiordania, sotto il governo del presidente Abu Mazen. I sondaggi d’opinione condotti nei giorni scorsi dalla CNN e dalla Gallup indicano che, anche se gli americani continuano a giudicare in maggioranza giustificata l’offensiva di Israele, la strage di civili a Gaza ha scavato un solco profondo nell’opinione pubblica: ad esempio il 55% degli ultrasessantacinquenni sentiti dalla Gallup si è detto solidale con Gerusalemme, mentre solo il 25 per cento dei giovani (18-29 anni) condivide questo giudizio. Una differenza che si va approfondendo e che non riguarda solo l’età: contano anche il sesso (l’azione di Israele considerata giustificata dal 51% degli uomini ma solo dal 33 %), la razza (pro Gerusalemme il 50%dei bianchi mentre tra neri, ispanici e asiatici questa quota scende al 25%) e l’appartenenza politica: solo il 31%dei democratici giustifica Israele, mentre il sostegno dei repubblicani a Israele rimane massiccio (65%). Rispetto al passato, i giudizi degli americani rischiano di subire l’effetto destabilizzante di due fattori: l’emotività dei resoconti giornalistici dei media digitali e di quelli veicolati via social network, e la contrapposizione ideologica sempre più radicale tra progressisti e conservatori che sta paralizzando la politica Usa. Basti pensare che quando l’authority dell’ aeronautica Usa, la Faa, ha bloccato per 24 ore i voli delle compagnie aeree americane per l’aeroporto di Tel Aviv, minacciato dai razzi di Hamas, il senatore repubblicano Ted Cruz ha giudicato la misura un boicottaggio economico di Israele segretamente ordinato dal governo Obama.

LIBERO
- Carlo Panella:  " Israele contro tutti"



Carlo Panella

Ieri Hamas ha portato a segno una strage colpendo con un colpo di mortaio la città israeliana di Eshkol uccidendo 4 civili e ferendone 10. Contemporaneamente, razzi di Hamas hanno colpito un l'ospedale al Shifa di Gaza e un campo profughi uccidendo molti civili, tra cui una decina di bambini. Un commando di palestinesi è penetrato da un tunnel oltre il confine ma è stato distrutto dall'esercito israeliano. Nessuna tregua dunque, mentre si amplia la clamorosa rottura dell'Amministrazione Obama non solo con Israele, ma anche con l'Egitto e addirittura con l'Arabia Saudita. J. F Kerry ha infatti deciso di abbandonare il Cairo e Ryad, storici pilastri dell'alleanza tra Stati Uniti e Paesi arabi e di sposare le tesi oltranziste del Qatar e del turco Erdogan, sponsor ufficiali di Hamas, presentando una proposta di tregua che assegnerebbe in toto la vittoria a quest'ultima, le permetterebbe di riprendere a lanciare razzi quando lo deciderà e lascerebbe Israele sotto la minaccia permanente di una aggressione. La proposta di Kerry ha dell'incredibile. Obbliga Israele a fermare subito la distruzione dei micidiali tunnel che nascondono l'arsenale di Hamas e permettono le infiltrazioni in Israele. Kerry peraltro non nomina mai Hamas e nemmeno l'Egitto. Una dimenticanza non casuale perché secondo la sua demenziale proposta non l'Egitto, ma il Qatar e la Turchia dovrebbero vigilare sul cessate il fuoco. Dunque, Erdogan, che ha paragonato Israele a Hitler e incita Hamas a proseguire la "sua giusta guerra" si vede riconoscere ora dal messo di Obama la possibilità di aiutare Hamas a riprendere il prima possibile le sue aggressioni. Il tutto, senza che nel documento di Kerry vi sia solo un vago cenno alla sicurezza di Israele. Come è ovvio, quando Obama ha telefonato a Netanyhau per perorare l'accettazione di questa capitolazione è stato trattato a male parole. Con tutta evidenza, infatti Kerry non ha agito da solo, ma ha concretizzato gli input di un Obama che pretende ora una tregua immediata, senza offrire nessuna garanzia a Israele perché rifiuta di comprendere la ragione di questa guerra. Questo, perché si rifiuta di vedere l'evidenza: Hamas rifiuta Israele non per ragioni di territorio, ma per antisemitismo su base religiosa. Perché vuole distruggerla. D'altronde Obama si rifiuta anche di prendere atto del fatto che il terrorismo ha radici nel fondamentalismo islamico e che non è costituito da bande criminali da contrastare solo - come ha fatto - con gli "omicidi mirati". Una cecità totale che peraltro distrugge il residuo prestigio degli Usa presso i governi del Cairo e Ryad. Minacciosi sono infatti i silenzi sul piano Kerry sia dell'Egitto - che spalleggia Israele distruggendo i tunnel di Hamas - sia dell'Arabia Saudita. Da due anni le relazioni tra Ryad e il Qatar sono pessime e ora i sauditi scoprono che Kerry ha deciso di fare asse proprio con il loro avversario del Qatar per fermare la guerra di Gaza. Proprio quel Qatar che ovunque appoggia e arma le peggiori formazioni oltranziste -non solo Hamas- come le milizie di Misurata che stanno mettendo a ferro e fuoco l'aeroporto di Tripoli in Libia e che fa da capofila di quei Fratelli Musulmani che i sauditi e gli egiziani considerano il principale avversario. Persino Abu Mazen si è scagliato contro la proposta di Kerry che elimina dalla scena i suoi sponsor dell'Egitto e Arabia Saudita, che rafforza la partnership tra Hamas Qatar e Turchia e che quindi lo indebolisce direttamente. Un capolavoro di scelte sbagliate che ha portato, come titola Haaretz, il quotidiano progressista israeliano pur molto critico nei confronti di Netanyhau, al «Fiasco di Kerry». È evidente peraltro che questa drammatica e folle "svolta" degli Usa non è attribuibile a Kerry ma è voluta da un Obama che ha fatto proprio domenica un assurdo documento dell'Onu che chiede a Israele di fermarsi, senza darle nulla in cambio. Durissimo Netanyhau anche contro l'Onu: «La dichiarazione non affronta il danno ai civili israeliani, né il fatto che Hamas trasforma i civili di Gaza in scudi umani. Hamas continua a sparare anche ora ai civili israeliani. Israele continuerà a occuparsi dei tunnel terroristici, un primo passo verso la demilitarizzazione. Israele ha accolto per tre volte le richieste Onu di una tregua umanitaria, ma Hamas le ha violate tutte».

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