martedi` 16 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
24.07.2014 Nella democrazia israeliana c'è spazio anche per il dissenso sull'autodifesa
Cronache di Davide Frattini, la redazione della 'Stampa', Vanna Vannuccini

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Davide Frattini - la redazione - Vanna Vannuccini
Titolo: «Scrittori, artisti: il dubbio dietro la compatezza - Noa, niente show a Milano dopo le frasi per la pace - Il no di 50 riservisti. 'È oppressione non combattiamo'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/07/2014, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "Scrittori, artisti: il dubbio dietro la compatezza", dalla STAMPA a  pag. 8 l'articolo dal titolo "Noa, niente show a Milano dopo le frasi per la pace" e da REPUBBLICA a pag. 15 l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo "Il no di 50 riservisti. 'È oppressione non combattiamo' ", preceduto da un nostro commento.

Di seguito, gli articoli:


Manifestazione pacifista in Israele

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: " Scrittori, artisti: il dubbio dietro la compatezza "


Davide Frattini


GERUSALEMME — Lo scrittore Meir Shalev ha 66 anni come Israele, ne aveva 43 nel 1991, anche allora — prima guerra del Golfo — le compagnie aree internazionali avevano cancellato i voli verso Ben Gurion, alla discoteca Penguin sul lungomare di Tel Aviv i ragazzi ballavano con le maschere antigas indosso, lui beveva vino e ascoltava musica sui tetti delle case semi-vuote, chi poteva era scappato. «Il portavoce dell’esercito mi aveva definito un “irresponsabile” perché avevo raccontato sul giornale di aver lasciato il mio appartamento di Gerusalemme agli ospiti-rifugiati e di essermi trasferito nella loro città».
I missili e la minaccia chimica di Saddam Hussein univano il Paese. I razzi di Hamas non lacerano la cupola di Iron Dome ma gli strappi si aprono dietro la barriera. Tra chi prova a opporsi al conflitto, a esprimere compassione per le vittime palestinesi, e chi non accetta smagliature alla compattezza nazionalista. «Ho ricevuto lettere molto aggressive — dice Shalev — perché ho scritto un articolo in cui paragonavo i fanatici ebrei che guidarono la rivolta contro l’impero romano a quelli di oggi. Ricordo un’atmosfera simile dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995».
Al Festival del cinema di Gerusalemme la regista Shira Geffen, moglie dello scrittore Etgar Keret, è salita sul palco e ha letto i nomi dei quattro bambini uccisi da un bombardamento israeliano mentre giocavano sulla spiaggia di Gaza.
Le rappresaglie online sono state brutali. Una pagina Facebook gestita da estremisti di destra chiede «Può una donna del genere appartenere allo Stato d’Israele? Merita che le nostre truppe la proteggano quando dorme?». Negli insulti è finito in mezzo il fratello Aviv, la rockstar e l’obiettore di coscienza più celebre del Paese.
Self-Made , il nuovo film di Shira, racconta di due donne, una israeliana, l’altra palestinese, divise da vite diverse e da un posto di blocco. Sul suo profilo Facebook la regista, che ha vinto la Caméra d’Or a Cannes nel 2007 con Meduse , ha replicato agli attacchi: «Il fatto che mostrare empatia per i quattro bimbi attiri tanta violenza dimostra quanto la nostra società sia caduta in basso. Con il vostro permesso, vorrei fare una rivelazione: quando un bambino viene ucciso, provo dolore. Che sia israeliano o palestinese, di Ashkelon o di Gaza».
La sinistra si sente accerchiata. L’attrice comica Orna Banai e la cantante Noa sono finite nella lista di proscrizione con Shira Geffen, un elenco aggiornato sul Web sotto al titolo: «Spediamo questi artisti a Gaza». Banai ha anche perso il contratto da testimonial per la compagna di crociere Mano. Le manifestazioni pacifiste a Tel Aviv sono state accerchiate da squadre di ultrà della destra, il rapper Yoav Eliasi ha formato gli Shadow’s Lions (dal suo nome d’arte) e incita i suoi leoni a intralciare i cortei anti-guerra.
Yair Lapid, il ministro delle Finanze e considerato la voce moderata nel governo, è intervenuto ieri con un editoriale sul quotidiano Yedioth Ahronoth , il più venduto. Stigmatizza sia i giornalisti radicali come Gideon Levy — minacciato di morte per i suoi commenti contro i piloti dell’aviazione israeliana — sia le bande razziste. Invita a reagire «quel 99 per cento degli israeliani che non è pieno d’odio e sa che si può essere in disaccordo. Dobbiamo fermare gli estremisti, non possiamo restare a guardare da fuori».

LA STAMPA - la redazione: " Noa, niente show a Milano dopo le frasi per la pace "


Noa

Non è il momento dell’equidistanza in Israele. Lo sanno bene gli artisti che si sono schierati contro la guerra a Gaza, tra i quali la cantante Noa. «Ci sono due parti in questo conflitto e non sono israeliani-palestinesi, ebrei-arabi ma sono i moderati e gli estremisti» ha scritto sul suo blog Noa, associandosi ai moderati. Apriti cielo. Racconta la cantante che da allora la destra la definisce «terrorista». Il suo agente Pompeo Benincasa conferma l’annullamento del concerto del 27 ottobre a Milano da parte dell’associazione Adei-Wizo-Donne Ebree d’Italia e dice di temere «un inizio di ostracismo anche in Italia».

In ogni paese democratico ci sono "disobbedienti" e Israele non fa eccezione, essendo un paese democratico. L'articolo di Vanna Vannuccini, superficiale come quasi sempre i pezzi di questa giornalista, da un lato enfatizza un fenomeno marginale, che riguarda un numero molto ridotto di riservisti, dall'atro descrive un clima di ostilità e persino di intimidazione verso di essi che è lontanissimo dalla realtà della società israeliana.

LA REPUBBLICA - Vanna Vannuccini:  " Il no di 50 riservisti. 'È oppressione non combattiamo'"


Vanna Vannuccini


A una
 delle tante piccole manifestazioni alle quali partecipano per le strade di Tel Aviv o di Haifa qualche centinaio di persone per protestare contro la guerra a Gaza — sono artisti, arabi-israeliani e pacifisti — lui non manca mai, spesso con la figlia di appena un anno sulle spalle. È l’ex pilota Yonathan Shapira. La sua vita cambiò radicalmente dodici anni fa, quando era un pilota delle Air Force, e sganciò una bomba “mirata” su un terrorista di Hamas. Insieme al terrorista morirono quindici persone, tra cui nove bambini.
Poco tempo dopo, lui e i suoi compagni di missione scrissero una lettera per dire che rinunciavano al servizio militare. Furono immediatamente sospesi dall’esercito e diventarono dei paria. Nella società israeliana le Forze Armate sono sacre. Non criticare l’esercito è l’undicesimo comandamento. In tempo di guerra è visto dalla maggior parte della popolazione come un tradimento. Ma oggi la voce di Yonathan Shapira e dei suoi pochi compagni di protesta ha trovato un’eco. Cinquanta riservisti hanno fatto sapere di aver rifiutato di servire nella riserva. Il servizio nella riserva è obbligatorio in Israele fino grosso modo ai 50 anni per gli uomini, fino ai 35 per le donne, e fa parte dell’ethos nazionale. Poco prima dell’operazione “Protective Edge” il governo ha deciso la mobilitazione di quasi 70 mila riservisti. In una lettera pubblicata dal Washington Post, che pubblica le cinquanta firme, i riservisti, dei quali una maggioranza donne, scrivono di aver servito finora in ruoli burocratici e logistici, non in ruoli di combattimento, ma di aver capito che anche in quei ruoli si rendevano strumenti «di oppressione »: perché «le Forze Armate contribuiscono all’oppressione ». «Le truppe che operano nei territori occupati non sono le sole che controllano le vite dei palestinesi. Tutte le Forze Armate sono coinvolte in questa oppressione. Per questo rifiutiamo di servire nella riserva e sosteniamo tutti coloro che faranno altrettanto». «Il ruolo centrale dell’esercito», scrivono ancora, «è la ragione dell’assenza di argomenti reali a favore di soluzioni non militari al conflitto. L’operazione militare a Gaza e il modo in cui la militarizzazione influenza la società israeliana sono inseparabili». E ancora: «Israele non è più capace di pensare ad una soluzione politica del conflitto se non in termini di potenza fisica: non stupisce dunque che il paese sia sottoposto a cicli infiniti di violenza mortale. E quando i cannoni sparano, nessuna critica deve essere sentita». Infine: «Deploriamo la militarizzazione di Israele». Un’altra trentina di riservisti, secondo il Jerusalem Post, si sono rifiutati ieri sera di entrare a Gaza a bordo di un vecchio blindato del tipo che gli americani usavano in Vietnam, uguale a quello in cui persero la vita sabato sette soldati quando il blindato dovette fermarsi per un’avaria e fu colpito da un missile anticarro.
La lettera dei 50 riservisti ha fatto scalpore quanto le parole amare scritte da Gideon Levy su Haaretz prima ancora che cominciasse l’operazione di terra: «Sono i nostri giovani più brillanti che diventano piloti, i migliori piloti che ora perpetrano i delitti più crudeli, più ignobili. Mentre scrivo hanno già ammazzato 200 civili e feriti più di mille. Sono quelli che non si sporcano le mani come i poliziotti di frontiera che picchiano i bambini, i soldati della Brigata Kfir che stanno ai checkpoint o quelli della Brigata Golani che perquisiscono le case. Non insultano, non umiliano. Sono i piloti dell’esercito più morale del mondo ». Così scriveva Levy qualche giorno fa. Nel frattempo, i numeri da lui citati sono almeno triplicati.
«Non si può chiudere un milione e ottocentomila persone e pensare che non reagiscano», dice Yonathan Shapira applaudito dai manifestanti. La guerra contro Gaza è sbagliata: «Ogni popolo ha il diritto di difendersi e gli istraeliani dovrebbero essere i primi a saperlo». Shapira non è nemmeno per la soluzione dei due Stati: dovrebbe esserci «un solo Stato per tutti in cui ognuno abbia gli stessi diritti e possa vivere liberamente». «Ci vorrebbero dei leader politici coraggiosi e non ci sono», dice a sua volta lo scrittore Meir Shalev. «Se questa guerra non finirà con un negoziato vero, tra due anni saremmo daccapo, e anche questo nuovo massacro sarà stato inutile».

Per esprimere la propria opinione a Corriere della Sera, Stampa e Repubblica, telefonare ai numeri seguenti oppure cliccare sulle e-mail sottostanti

Corriere della Sera: 02/62821

La Stampa: 011/6568111

La Repubblica: 06/49821

 


lettere@corriere.it
lettere@lastampa.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT