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Il Sole 24 Ore - La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
23.07.2014 Processi (iniqui) a Israele, 'colpevole' di difendersi
Rassegna critica di editoriali

Testata:Il Sole 24 Ore - La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Ugo Tramaballi - Michele Serra - Angelo D'Orsi
Titolo: «La necessità di parlare con il nemico, chiunque sia - L'amaca - Il partito del silenzio»
Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 23/07/2014,  a pag. 16, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo "La necessità di parlare con il nemico, chiunque esso sia " e da REPUBBLICA, a pag. 28, l'odierna rubrica di Michele Serra "L'amaca".

Segnaliamo anche, sul MANIFESTO,  a pagg. 1-15, l'articolo di Angelo D'Orsi dal titolo "Il partito del grande silenzio". Il professore universitario si storia contemporanea torinese, ben noto per essere il concorrente di Gianni Vattimo nel diffondere odio contro Israele, la menta che in Italia non sia più alto il numero di intellettuali a scatenarsi contro Israele. 


Ugo Tramballi  sul SOLE 24 ORE critica Israele perché non tratta "con il nemico", cioè con Hamas.
Un'organizzazione che vuole distruggere lo Stato ebraico e sterminare gli ebrei, e che in questo momento sta facendo la guerra, non certo proposte di pace. Fatti che rendono le affermazioni di Tramballi totalmente sconnesse dalla realtà e utili sono ad alimentare accuse Israele, 'colpevole' di difendersi.


Michele Serra su REPUBBLICA muove dal presupposto che Israele si stia 'accanendo" su Gaza. Forse non si è accorto che è Israele ad essere aggredito, bersagliato di missili che fanno un numero limitato di vittime solo grazie agli efficaci sistemi di protezione della popolazione. Popolazione che a Gaza, invece, è utilizzata da Hamas per proteggere le armi.


Angelo d'Orsi e Gianni Vattimo

Di seguito, gli articoli:

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi:  "La necessità di parlare con il nemico, chiunque sia "


Ugo Tramballi


E' con il nostro nemico che dobbiamo  trattare». La frase, solo apparentemente lapalissiana, non è del Mahatma Gandhi. È di un uomo che è stato un pilota di caccia, ha guidato aviatori in battaglia ed è stato ministro della Difesa. Per di più era israeliano: Ezer Weizman. Lo disse a chi, fra i suoi, nel 1978 si opponeva alla trattativa di pace con l'Egitto. Dopo di allora Israele e gli Stati Uniti, il suo principale alleato e protettore, hanno perso molto tempo utile stilando liste di proscrizione per indicare con chi non si dovesse parlare. Già nel 1980 l'Unione europea scoprì che l'Olp in fondo era un rappresentante legittimo del popolo palestinese, e che nonostante l'ambiguità di Yasser Arafat, con lui bisognava parlare per fermare il terrorismo palestinese e cercare una soluzione al problema. In Israele farlo è rimasto vietato per legge fino al 1992. Parlare con il nemico era un reato: per avere incontrato un dirigente dell'Olp lo stesso Weizman perse il posto di ministro. Solo quando Israele comprese che non c'era alternativa al dialogo, gli Stati Uniti seguirono obbedienti. Anziché essere un amico utile, erano un alleato impotente. Lo stesso tempo prezioso si sta perdendo ora con Hamas al quale, come «organizzazione terroristica», è precluso ogni riconoscimento. Come l'Olp allora, il movimento islamico pratica anche il terrorismo. Ma non solo: è anche un partito che ha vinto le uniche elezioni democratiche mai fatte fra i palestinesi. È come i talebani in Afghanistan. Hamas c'è e al dodicesimo giorno dell'ennesima offensiva militare israeliana, 600 morti e distruzioni, continua a combattere e fare politica. Il serio limite politico e morale di Hamas è rifiutarsi di riconoscere il diritto israeliano di esistere. Esattamente come gli attuali ministri degli Esteri, della Difesa e dell'Economia del governo d'Israele, i quali negano il diritto dei palestinesi a uno Stato. È in questa simmetria del rifiuto che si possono trovare le risorse per una trattativa. Hamas ha lasciato una scia di sangue che gli israeliani non possono dimenticare. La ragione per cui l'affermazione di Weizman è tutt'altro che lapalissiana, è nella difficoltà umana e politica di parlare col nemico. Ma è innegabile che costretti o felici di farlo, anche gli israeliani abbiano lasciato una scia significativa di sangue fra i palestinesi di Gaza. In passato segnali di contatto se ne erano visti: poco chiari, ambigui ma reali. Poi entrambi hanno continuato a pensare che l'esistenza del nemico fosse più utile alla propria causa. Una delle ragioni della mediocrità dei successi americani in Medio Oriente allargato è l'auto imposizione degli ostacoli sul proprio lavoro negoziale: non si parlava con l'Olp e poi con Hamas, non con iraniani, talebani, Hezbollah. In realtà è improbabile che al Cairo John Kerry, uomo di larghe vedute, non abbia incontrato un dirigente politico di Hamas. Ma non si può dire. Riconoscersi, ammettendo l'uno l'esistenza e qualche diritto dell'altro, non è una formula matematica del successo. Si potrebbe scoprire che, preso da un senso di onnipotenza, Hamas voglia solo la lotta. Ma se non si prova, non si saprà mai quanto vicini o distanti ci si trovi dalla pace.

LA REPUBBLICA -Michele Serra:  "L'amaca"


Michele Serra


L'accanimento israeliano su Gaza— un budello sovrappopolato e senza via di scampo— appare spaventoso da qualunque punto di vista lo si guardi o lo si giudichi. Se si è palestinese, ed è ovvio. Se si ha a cuore la sopravvivenza di Israele, e dunque si è agghiacciati dall'inevitabile aumento del tasso di odio, già altissimo, che circonda quella nazione e quel popolo già così offeso dalla storia. Se si è cinicamente neutrali, e interessati solo al quieto vivere, e si vede il quietovivere messo sempre più a repentaglio da un'escalation che esalta i fanatici delle due parti emortifica i pacifici delle due parti. Se si è spaventati dal terrorismo arabo, che da questo sbocco di odio non può che trarre nuova linfa e nuovo proselitismo. Se si abita vicino a una sinagoga, e si guarda con apprensione e solidarietà al possibile bersaglio. Se si solidarizza e si patisce per la povera gente di Gaza, che un bersaglio è già. E dunque, chi può trarre vantaggio o soddisfazione da un simile, oggettivo disastro politico e umanitario? Secondo quale logica si muove il signor Bibi Netanyahu? Mi ero ripromesso di non proferire sillaba su una tragedia decennale che ha già provocato, a parte i disastri più concreti, anche la penosa consunzione delle parole di condanna, identiche a loro, logore, patetiche. Ma anche il silenzio, perfino il silenzio oggi mi sembra una scelta senza senso.

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