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Corriere della Sera - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto Rassegna Stampa
22.07.2014 Quelli per cui Israele non ha mai ragione
rassegna critica di commenti

Testata:Corriere della Sera - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto
Autore: Sergio Romano - Ugo Tramballi - Vittorio Emanuele Parsi - Giuliana Sgrena
Titolo: «Storia della Striscia di Gaza, terra di tutti e di nessuno - Ma rimane una possibile via d'uscita dal conflitto - Il silenzio della Ue. Ecco cosa si può fare»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/07/2014, a pag. 33, la risposta di Sergio Romano a un lettore, dal titolo "Storia della Striscia di Gaza, terra di tutti e di nessuno".
Segnaliamo inoltre sul SOLE 24 ORE a pag. 1, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo "Ma rimane una possibile via d'uscita dal conflitto "e quello di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo "Se i nemci cercano a tutti i costi lo scontro. "
Dal MANIFESTO, a pag. 1, l'articolo di Giuliana Sgrena dal titolo "Il silenzio della Ue. Ecco cosa si può fare"

La risposta di Sergio Romano sul CORRIERE  è un concentrato di disinformazione che tende a dare a Israele al responsabilità dell'attuale crisi, occultando il fatto che nel dopo il ritiro israeliano del 2005, fu Hamas a trasformare la striscia in fortezza del jihad contro lo stato ebraico, determinando tutte le cuccessive reazioni di quest'ultimo.

Sul SOLE 24 ORE Ugo Tramballi sostiene che l'accorddo di pace tra israeliani e palestinesi sarebbe a portata di mano, se solo le parti le volessero. In realtà però, neanche l'Anp di Abu Mazen ha accettato di riconoscere Israele come Stato ebraico e di rinunciare al "diritto al ritorno" dei profughi e dei loro discendenti in Israele, che comporterebbe la distruzione di quest'ultimo per via demografica.
Secondo Vittorio Emanuele Parsi Israele non si starebbe difendendo dall'aggressione che subisce, ma colpirebbe i civili di Gaza per far fallire il governo unitario Fatah- Hamas. Il peggior complottismo antisraeliano trova così spazio sul quotidiano di Confindustria.

Sul MANIFESTO Giuliana Sgrena ha una soluzione per porre fine allo scontro armato: inviare civili che si interpongano tra Israele e Hamas, per impedire al primo di "uccidere i palestinesi" e al sencondo di lanciare i suoi "inutili razzi sempre intercettati".
Come osservatori civili dovrebbero distogliere Hamas, che prende sistematicamente di mira aree civili, l'aereoporto di Israele e una centrale nucleare, dal lanciare i suoi razzi non è dato sapere. In pratica Sgrena propone di aiutare Hamas inviando a Gaza scudi umani.

  


Di seguito, l'articolo di Sergio Romano:



Sergio Romano

Ci vuole spiegare quando, come e chi decise la nascita della «Striscia di Gaza», che ha tutta l’aria di essere una polveriera, un corpo estraneo, oltre a un problema senza soluzione? Cosa si prefiggeva Sharon con l’applicazione, nell’agosto del 2005, del «piano di disimpegno unilaterale», che prevedeva l’abbandono di tutti gli insediamenti ebraici nella Striscia e di quattro nella Cisgiordania settentrionale?


Maura Bressani



Cara Signora,

Qualche dato anzitutto. La Striscia è un tratto di terra che si affaccia sul Mediterraneo confinando a sudovest con l’Egitto e a sudest con Israele. Ha una frontiera terrestre di 75 km e una linea costiera di 40 km. La sua popolazione, calcolata nel 2014, ammonta a un milione e 816.379 persone con un’alta percentuale di giovani: 43,2% sotto i 14 anni, 20,6% fra i 15 e i 24 anni. Il 22,5 è disoccupato, il 38% vive al di sotto della linea di povertà. La sua economia è fortemente condizionata dal blocco israeliano delle sue frontiere terrestri e marittime, decretato all’epoca della seconda Intifada, iniziata nel 2000.
Sul piano politico e amministrativo ha la sfortuna d’essere stata lungamente una terra di tutti e di nessuno. È una provincia palestinese, ma la Palestina ha confini incerti, soggetti ai mutamenti delle circostanze storiche e politiche. In epoca ottomana apparteneva alla Grande Siria, una regione storica dai confini altrettanto incerti che comprendeva la Palestina sino al Giordano, la Siria attuale e buona parte del Libano. Durante la prima guerra arabo-israeliana fu occupata dall’Egitto e divenne sede per qualche tempo di un effimero governo palestinese. Nella guerra del 1956, scoppiata dopo la nazionalizzazione egiziana del Canale di Suez, fu occupata dagli israeliani insieme al Sinai, ma restituita all’Egitto grazie all’intervento dell’Onu e degli Stati Uniti. Tornò nelle mani di Israele durante la «guerra dei sei giorni» (1967) con una popolazione aumentata dall’arrivo di circa 200.000 rifugiati palestinesi. Cominciarono allora gli insediamenti coloniali israeliani; e fu questa verosimilmente la principale ragione per cui Israele, nel Trattato di pace con l’Egitto del 1979, restituì il Sinai, ma conservò il controllo di Gaza.
Nel 1994, dopo la prima Intifada e gli accordi di Oslo, Israele trasferì il governo di buona parte della Striscia alla nuova Autorità Palestinese, ma conservò le zone dove sorgevano gli insediamenti e quella parte del territorio che gli consentiva di garantirne la sicurezza. La situazione peggiorò dopo il fallimento dei negoziati di Camp David, la passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee e lo scoppio della Seconda Intifada nel 2000. Fu quello il momento in cui Hamas acquistò maggiore visibilità, fece di Gaza una delle sue principali basi operative e fu condannata da molti come organizzazione terroristica. Ma qualcuno osservò che la nascita del «mostro», più di vent’anni prima, era stata favorita dai servizi israeliani, convinti allora che un fanatico movimento religioso avrebbe ridotto l’influenza dei laici di Al Fatah sulla società palestinese. Quando Hamas vinse le elezioni palestinesi del 2005 e cacciò Al Fatah dalla Striscia, i fatti dimostrarono che il calcolo dei servizi israeliani non era sbagliato. Ma anche la scaltrezza talvolta può produrre risultati inattesi. Hamas, solidamente installata a Gaza, è oggi una continua minaccia per lo Stato israeliano.
Nella storia recente di Gaza, la parentesi Sharon, a cui lei si riferisce nella sua domanda, fu certamente la fase più promettente. Ma non credo che il ritiro di circa 9.000 coloni fosse destinato a preparare l’avvento di un vero Stato palestinese. Penso piuttosto che Sharon volesse razionalizzare la geografia degli insediamenti eliminando quelli che erano più difficilmente difendibili e che impegnavano, per la loro sicurezza, una eccessiva forza militare.

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