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La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
22.04.2014 Bashar Assad riafferma il suo potere in Siria
Cronaca di Maurizio Molinari, e due editoriali

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Lorenzo Cremonesi - la redazione
Titolo: «Assad, Pasqua nell chiese per annunciare la 'vittoria' - A Giugno elezioni presidenziali in Siria le Mosse di Assad, sempre più forte - Il 3 giugno, i ludi cartacei di Assad»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/04/2014, a pag.13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Assad, Pasqua nell chiese per annunciare la 'vittoria' ", dal CORRIERE della SERA, a pag. 34,  l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo" A Giugno elezioni presidenziali in Siria le Mosse di Assad, sempre più forte", dal FOGLIO  a pag. 3 l'articolo dal titolo "Il 3 giugno, i ludi cartacei di Assad".

LA STAMPA -  Maurizio Molinari -  Assad, Pasqua nelle chiese per annunciare la 'vittoria'

                     
Maurizio Molinari              Bashar Assad

Bashar Assad ostenta sicurezza e Damasco annuncia per il 3 giugno le nuove presidenziali nella convinzione che la guerra civile sia ad un «punto di svolta» ma i ribelli parlano di «farsa» e accusano il regime di «continuare a lanciare attacchi con i gas».
A Pasqua Assad si è recato in visita nella città cristiana di Maalula, ricatturata in marzo. È la località dove i guerriglieri islamici presero in ostaggio numerose suore e Assad, dopo averle liberate con i suoi soldati, ha visitato ora i monasteri ortodossi di Mar Sarkis e Mar Techla rivendicando il ruolo di protettore della «minoranza cristiana». Davanti alle macerie di chiese devastate dagli scontri Assad ha definito i danni «opera dei terroristi», con a fianco alcuni leader cristiani locali. Situata a 60 km a nord di Damasco, Maalula è anche il primo centro lontano dalla capitale dove Assad si fa vedere in pubblico da molti mesi, al fine di sottolineare in questa maniera i successi della riconquista della Siria centrale.
È all’indomani della visita-show di Assad fra le macerie che il presidente del Parlamento di Damasco, Mohammed al-Lahham, annuncia per il 3 giugno le prossime presidenziali. Da oggi potranno essere presentate le candidature e a Damasco viene data per sicura quella di Assad, che punterà così ad un terzo mandato settennale dopo quelli ottenuti nel 2000 e 2007. Con oltre 150 mila morti, gran parte del Paese teatro di scontri e 9 milioni di profughi - 2,7 milioni dei quali all’estero - non è chiaro come il governo intenda far svolgere il voto. Lahham al momento tiene solo a sottolineare che «nelle aree in mano ai banditi non si voterà» e «non sono previsti seggi all’estero» in Paesi come Libano e Giordania che ospitano milioni di profughi.
«La scelta di tenere le elezioni dimostra che Assad è distaccato dalla realtà - afferma Monzer Akbik, portavoce dei ribelli della Coalizione nazionale - non è legittimato ora e non lo sarà dopo questo voto teatrale». Per gli 11 Paesi del gruppo Amici della Siria il voto si annuncia come una «parodia della realtà». L’inviato Onu Lakhdar Brahimi ha tentato di bloccare la decisione siriana ammonendo sul fatto che «dopo il voto l’opposizione non sarà interessata al dialogo».
I ribelli intanto rilanciano le accuse sui gas ad Assad: «Li ha già usati almeno quattro volte in aprile». E il presidente francese François Hollande aggiunge: «Abbiamo informazioni, ma non ancora prove, sui nuovi attacchi con i gas». Se Assad ritiene che la vittoria a Maalula sia stata «un momento di svolta» nella guerra e cerca nelle urne la rilegittimazione, l’opposizione si prepara ad intensificare gli attacchi. È in questa cornice che, secondo fonti raccolte a Beirut dall’Ansa, vi sarebbero «notizie confortanti» sulla sorte del religioso Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria a luglio e che si presume detenuto da gruppi jihadisti.

CORRIERE della SERA -  Lorenzo Cremonesi - A Giugno elezioni presidenziali in Siria. Le mosse di Assad


Lorenzo Cremonesi


Il regime siriano annuncia che le elezioni presidenziali si terranno il prossimo 3 giugno. Pochi i dubbi sul significato: nulla a che vedere con la democrazia e tanto meno con la pacificazione interna, piuttosto un segnale concreto che il presidente Bashar Assad si sente più forte. Il giorno di Pasqua si era recato a Maalula, città simbolo dei cristiani nel Paese, per ribadire la sua determinazione nel difendere le minoranze e combattere «i terroristi aiutati dall’estero». Pochi mesi fa non si sarebbe fidato ad uscire dai suoi quartieri super blindati nel cuore di Damasco. Ma dall’inizio dell’anno le sue truppe sono sull’offensiva. Le milizie ribelli si sono meglio attestate sulla fascia costiera a est di Latakia. Però questa è la loro unica vittoria, perché per il resto sono sulla difensiva e hanno perduto terreno attorno ad Aleppo, nei pressi della capitale e lungo il confine con il Libano. Assad intende comunque sfruttare i successi per rilanciarsi tra la sua gente e sulla scena internazionale.
Non stupisce che i capi della ribellione facciano appello all’astensione dalle urne. Le condizioni nel Paese non sembrano garantire alcuna stabilità per il voto. Oltre 6 milioni di siriani hanno abbandonato le loro case. Quasi 2,5 milioni sono fuggiti all’estero. I morti in tre anni superano quota 150.000. Negli ospedali mancano medicinali. Gran parte della popolazione è priva di cibo, acqua potabile, elettricità. Il sistema dei trasporti è nel caos. Quanto alla «trasparenza» del voto, inutile farsi illusioni. Hafez Assad, padre di Bashar e dittatore indiscusso dal 1970 alla sua morte nel Duemila, ottenne sempre risultati elettorali superiori al 90 per cento. Il figlio non è da meno. Al tempo della sua conferma per il secondo mandato di sette anni nel 2007 raccolse il 97,6% delle preferenze.
Una prova evidente dei brogli sistematici la incontrammo anche noi nel luglio 2012, quando accompagnando alcune milizie ribelli in una sede del partito Ba’ath devastata dalla guerra civile nella città di al-Athareb, 10 chilometri a est di Aleppo, trovammo migliaia di schede prestampate dal regime con il «sì» già pronto per il referendum costituzionale che si era tenuto il 26 febbraio dello stesso anno.

IL FOGLIO - la redazione - Il 3 giugno, i ludi cartacei di Assad

A Damasco il governo ha annunciato che il “voto” per decidere il nuovo presidente della Siria sarà martedì 3 giugno. Ancora più che le elezioni appena finite in Algeria, e persino più delle prossime in Iraq e in Egitto, quelle siriane hanno un finale già scritto: Bashar el Assad si prepara a un nuovo mandato settennale, che prolungherà il potere dinastico degli Assad cominciato nel 1971 con la presidenza di suo padre, Hafez. I ludi cartacei in Siria, per rispolverare una definizione sprezzante ma in questo caso calzante di Mussolini, sono una farsa senza altro significato che conferire una patina di legittimità alla giunta assadista. Sarà difficile, perché la somiglianza con vere elezioni è zero. Da tre anni il paese è alle prese con una guerra interna che assomiglia a un conflitto tribale africano, per la qualità disumana viscerale dell’odio scatenato: soltanto che è combattuto con aerei, elicotteri da guerra e gas nervino – i gas continuano a essere usati anche in questi giorni. Almeno la metà degli elettori è tagliata fuori dal voto, perché vive in zone al di fuori del controllo del governo, sia dentro la Siria sia nei campi profughi allestiti con mezzi insufficienti in Turchia e in Giordania. La campagna di repressione militare contro i civili – una delle più brutali di sempre – continua senza prendere soste. Come si fa a parlare di elezioni mentre ieri su Aleppo cadevano altri barili bomba, ordigni rudimentali che colpiscono a caso i quartieri ancora abitati della seconda città del paese? Con quale programma elettorale pensa di farsi eleggere Assad: “Meno missili balistici lanciati contro le città, per tutti”? Come si fa a immaginare una campagna elettorale in un paese dove ogni cenno infinitesimale – anche immaginato – di dissenso è considerato tradimento in tempo di guerra e punito con l’arresto, la tortura e la morte? Il voto del 3 giugno è una mascherata per reggere in piedi la propaganda di un rais tenuto al suo posto da Iran e Russia, un rais che si fa fotografare a Pasqua nel villaggio cristiano di Maaloula ma che rischierebbe la vita se provasse a visitare la periferia della sua capitale. Se avesse concesso vere elezioni tre anni fa, davanti ai riformisti e alle proteste di piazza disarmate, non saremmo a questo punto.

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