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Il Foglio Rassegna Stampa
19.04.2017 'Dio mio, grazie', il capolavoro di Bernard Malamud
Recensione di Alessandro Litta Modignani

Testata: Il Foglio
Data: 19 aprile 2017
Pagina: 3
Autore:
Titolo: «Dio mio, grazie»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/04/2017, a pag. III, la recensione a "Dio mio, grazie", tra i capolavori di Bernard Malamud, a cura di Alessandro Litta Modignani.

Alessandro Litta Modignani
Alessandro Litta Modignani

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La copertina (Minimum Fax ed.)

Dio non è perfetto. Nasce da un’insanabile contraddizione teologica il settimo e ultimo libro di Bernard Malamud (1914-1986) una storia “biblica” come poche altre, una distopia tutta ebraica intessuta di aneddoti e parabole, metafore e simbolismi. Dio, disgustato dall’umanità, decide di disfarsene. Tutti gli esseri viventi sono spazzati via da una grande guerra termonucleare e dal conseguente secondo diluvio universale, ma – a causa appunto di una svista – un solo uomo riesce a sopravvivere, all’interno di uno scafo oceanografico. Calvin Cohn, paleontologo ebreo, figlio e nipote di rabbini, è il risultato dell’errore di Dio. Ma non si illuda: l’Onnipotente, persino un po’ imbarazzato, gli fa capire di voler rimediare alla distrazione, prima o poi. Nel frattempo, si arrangi come può. Unico scampato dell’equipaggio, il nuovo Noè si ritrova con la sola compagnia di uno scimpanzé, al quale un medico ha applicato una laringe sperimentale.

L’improvvisata Arca naviga alla deriva sulle immense mareggiate che sommergono i continenti, fino a incagliarsi in una piccola isola. Qui Calvin abbandona i panni di Noè per assumere quelli di Robinson, intenzionato a educare il suo ibrido Venerdì. Buz – così Calvin lo ha rinominato – è un animale parlante, curiosamente è cristiano e sa farsi il segno della croce. Sull’isola i due incontrano pochi altri animali: un gorilla solitario ed enigmatico, alcune scimmie, infine una famiglia di babbuini. Calvin, grazie a Buz, riesce a comunicare con gli altri “abitanti” e progetta di convertire quel microcosmo alla civiltà e alla cultura. “Ecco qui Calvin Cohn, unico uomo rimasto sulla Terra, che insegna a delle scimmie la storia dei fallimenti umani. Suo padre il rabbino, che riposi in pace, avrebbe approvato di certo”.

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Bernard Malamud

L’ultimo ebreo è mite e pignolo, devoto e colto, severo e tollerante in uguale misura. Discetta a lungo di filosofia e religione, legge alla classe la Bibbia e Shakespeare, cita Kierkegaard e Ortega y Gasset. “Dio soffre di una distrazione cosmica” spiega alle scimmie distratte, illustrando la sua originale regressio ad infinitum. Ma contravvenendo alle Scritture, compie un atto contro natura che condurrà al fallimento dell’Eden e all’inevitabile compimento del disegno divino. Nel finale, il protagonista veste i panni di Candide: “Non pensereste di dovermi qualche considerazione per come ho contribuito a rendere comode le vostre vite? Avete lavoro, ricreazione, istruzione e assistenza sanitaria gratuite. Siete sopravvissuti a un diluvio disastroso e vivete in relativa pace su un’isola indescrivibilmente bella”. Apparso la prima volta negli Stati Uniti nel 1982, “Dio mio, grazie” è considerato un importante punto di riferimento nell’ambito della letteratura ebraica americana. Scrive Fabio Stassi nella prefazione: “Il racconto scaturisce dalla rappresentazione di un conflitto universale: tra religione e scienza, cultura e istinto, giustizia e caso, sesso e violenza. (…) Sullo sfondo lampeggia, intermittente, questa domanda: la vita dell’uomo è un malinteso della creazione?”.

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