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Il Foglio Rassegna Stampa
13.10.2016 Siria: si compatta il fronte Turchia-Russia. Israele di fronte a una scelta
Analisi di Gianni Castellaneta

Testata: Il Foglio
Data: 13 ottobre 2016
Pagina: 3
Autore: Gianni Castellaneta
Titolo: «L'Occidente tace davanti all'asse turco-russo»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/10/2016, a pag. 3, con il titolo "L'Occidente tace davanti all'asse turco-russo", l'analisi di Gianni Castellaneta.

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Gianni Castellaneta

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Recep Tayyip Erdogan con Vladimir Putin

Ci eravamo tanto odiati”, si potrebbe dire parafrasando il titolo di un celebre film per riferirsi all’interessante dinamica tra Russia e Turchia a cui stiamo assistendo in questi giorni. Solo un anno fa i due paesi sembravano essere talmente ai ferri corti al punto che alcuni commentatori avevano persino paventato il rischio di un conflitto di portata mondiale, con Ankara che avrebbe quasi potuto invocare il famigerato art. 5 della Nato e obbligando tutti gli altri partner a intervenire in suo soccorso contro la “cattiva” Russia. Questa circostanza dai potenziali tratti apocalittici non si è ovviamente verificata e, nel frattempo, è passata parecchia acqua sotto i ponti del Bosforo. Il fallito golpe dello scorso luglio non ha fatto altro che consentire a Erdogan di rafforzare il suo potere, facendo virare la Turchia verso una deriva autoritaria che condivide più di qualche tratto comune con la Russia di Vladimir Putin.

Ecco dunque che i due leader si sono ufficialmente riappacificati: dopo mesi di scaramucce diplomatiche, questa settimana Putin si è recato a Istanbul dove ha siglato con il “Sultano” di Ankara un importante accordo per la realizzazione di un gasdotto dai risvolti potenzialmente molto importanti, chiamato “Turkish Stream”. L’accordo è significativo per almeno tre ordini di ragioni. Il primo è essenzialmente politico e sancisce de facto la ripresa di relazioni più che amichevoli tra i due stati. Il secondo è di natura economica: il gasdotto consentirà a Mosca di trovare un nuovo sbocco per il proprio gas naturale verso occidente, e ci aspettiamo che sarà accompagnato anche da una ripresa delle relazioni bilaterali in termini di commercio e investimenti.

Infatti, Putin ed Erdogan hanno anche parlato di rimuovere le barriere sulle importazioni agroalimentari con la prospettiva di siglare un accordo di libero scambio entro il prossimo anno. Il terzo, e il più importante, è di tipo strategico: il riavvicinamento tra i due paesi avrà ovviamente implicazioni anche sulla questione siriana e, più in generale, sulla direzione che prenderà il Medio oriente nei prossimi mesi. Tutte queste motivazioni, a nostro avviso, sono unite da un unico elemento costante: il preoccupante vuoto di potere lasciato dall’occidente, dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. Le conversazioni tra i due capi di stato hanno infatti avuto come oggetto anche il terreno di scontro siriano e hanno avuto lo scopo di trovare un punto di incontro tra due posizioni apparentemente inconciliabili: da una parte quella russa, apertamente dalla parte di Bashar al Assad; dall’altra quella turca, che non ha esitato a fomentare i ribelli e anche i gruppi legati a Daesh pur di rendere difficile la vita del dittatore di Damasco. Da quando però Erdogan ha sostanzialmente voltato le spalle agli Usa, accusandoli di avere sostenuto indirettamente il tentativo di golpe la cui responsabilità è attribuita a Fetullah Gülen (che vive proprio negli Stati Uniti), un accordo con Mosca sulla spartizione di Aleppo in aree di influenza sembra perfettamente ragionevole dal punto di vista di Ankara.

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E’ molto probabile che questo schema influenzerà in maniera netta la geopolitica della regione mediorientale quantomeno nei prossimi mesi. L’occidente sembra non volere – o non potere – intervenire con decisione e imporre una posizione comune, dal momento che nessun attore denota in questo momento un reale interesse per risolvere i vari problemi sul tappeto. Gli Stati Uniti sono ormai concentrati esclusivamente sulla campagna elettorale: le questioni di politica estera potrebbero contare decisamente meno che in passato sulle intenzioni di voto, a causa di problemi maggiormente sentiti dai cittadini americani come le crescenti disuguaglianze economiche. Al di là dei facili slogan di Trump, che per sviare l’attenzione dagli “scandali” da gossip di bassa lega che lo hanno investito negli ultimi giorni ha detto che i veri problemi degli Stati Uniti sono altri, e tra questi vi è l’Isis, in realtà al cittadino americano medio importa sentirsi dire che la sua situazione economica migliorerà. Allo stesso modo, Obama è sempre più bloccato dall’avvicinarsi del confronto elettorale ed è del tutto irrealistico prevedere in tempi brevi un’escalation dell’impegno militare degli Usa in Siria. Francamente ci sembra difficile che possa accadere in pochi mesi quello che non è accaduto in diversi anni.

E poi c’è l’Unione europea, come sempre incapace di agire in maniera coordinata e di far valere la sua posizione. Merkel e Hollande stanno andando incontro a un anno elettorale che potrebbe essere cruciale per i rispettivi destini politici, e anche in questo caso le questioni interne avranno la priorità nell’agenda. L’improvvisa cancellazione del viaggio di Putin a Parigi dimostra con quanta disinvoltura il governo russo sia pronto a giocare con le debolezze europee.

Il ruolo del governo di Roma
E l’Italia? Scordiamoci che da qui alla fine dell’anno il nostro governo lanci iniziative ambiziose nel Mediterraneo di tipo strategico o militare. Il governo Renzi dovrà vincere due battaglie interne che richiederanno tutto il capitale politico – al momento ormai non molto robusto per la verità – di cui dispone: l’approvazione della Legge di bilancio da parte della Commissione europea e il referendum costituzionale. Priorità legittime, e che forse quasi inevitabilmente distolgono l’attenzione da queste pressanti questioni di politica estera. Eppure, è rischioso trascurare ciò che accade al di fuori dei nostri confini: quando rialzeremo lo sguardo e ricominceremo a guardare sull’altra sponda del Mediterraneo, potremmo trovare una situazione ancora peggiore di quella attuale. Tutto l’arco dell’area Mena (Medio oriente e Nordafrica) è attraversato da vari focolai di tensione: in Marocco l’estremismo islamico è in crescita e potrebbe rappresentare in futuro una minaccia alla monarchia moderata di Re Mohammed VI; quanto alla Libia, sappiamo bene in quali situazioni versi; passando a Israele, desta preoccupazione l’attentato avvenuto il 9 ottobre a Gerusalemme nel quale hanno perso la vita due cittadini israeliani oltre allo stesso attentatore, membro di uno strutturato gruppo di opposizione che ha ricevuto l’immediato plauso di Hamas per il gesto compiuto.

Il governo israeliano, dal canto suo, non potrà continuare a mantenere una posizione defilata come ha fatto fino a ora nelle vicende siriane. A fronte dell’inerzia occidentale, Turchia e Russia potrebbero volere ergersi sempre di più come i risolutori sul fronte siriano e in parallelo altri focolai di instabilità rischierebbero di esplodere nella zona. Tutto questo dovrebbe richiamare le cancellerie europee a reclamare nuovamente l’importanza della politica estera e di sicurezza quale dimensione fondamentale per la stabilità e la prosperità di ogni Paese. A maggior ragione questo vale anche per l’Italia: non bastano frasi a effetto sull’accoglienza dei migranti e sulla contrapposizione muri/ponti. Occorre una vera visione strategica per evitare di perdere ogni residua influenza nella regione mediorientale, e con essa anche importanti interessi economici: che dire, ad esempio, del gasdotto Tap (tuttora bloccato dall’ostruzionismo della Regione Puglia) se il Turkish Stream dovesse andare in porto? Italia, se ci sei batti un colpo.

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