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Il Foglio Rassegna Stampa
20.02.2015 Boicottare Israele e riconoscere lo 'Stato di Palestina': due facce della stessa medaglia
Commento di Nicoletta Tiliacos

Testata: Il Foglio
Data: 20 febbraio 2015
Pagina: 2
Autore: Nicoletta Tiliacos
Titolo: «Boicottare i cosmetici del kibbutz e riconoscere la Palestina, stessa solfa»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/02/2015, a pag. 2, con il titolo "Boicottare i cosmetici del kibbutz e riconoscere la Palestina, stessa solfa", il commento di Nicoletta Tiliacos.


Nicoletta Tiliacos


Immagini antisemite che invitano a boicottare Israele

Roma. E’ stato rimandato all’ultimo momento il voto, inizialmente previsto per ieri alla Camera dei deputati, sulle mozioni che chiedono il riconoscimento dello stato di Palestina da parte italiana. Iniziativa palesemente inopportuna, in un momento in cui isolare Israele, più di quanto già non lo sia, suona come una provocazione, oltre a essere un pessimo affare, se qualcuno pensa davvero che quel genere di iniziativa possa far ripartire il processo di pace. Ma niente paura. A lavorare alacremente per mettere in difficoltà l’unica democrazia del medio oriente ci pensano iniziative come quelle di Code Pink: associazione americana di “Women for Peace” nata nel 2002 grazie all’impegno di un variegato manipolo di ex militanti pro sandinisti, di marxisti radicali e di ambientalisti. L’associazione è oggi impegnata a promuovere, più che la pace nel mondo, il boicottaggio di Israele e dei suoi prodotti in giro per il mondo.

Dal 2009, per esempio, Code Pink organizza ogni anno l’International day of action against Ahava, cioè la famosa casa di prodotti di bellezza fabbricati nel kibbutz di Mitzpe Shalem con i sali del Mar Morto. E’ toccato soprattutto ai punti vendita inglesi essere oggetto di incursioni in stile Femen: militanti in bikini, coperte di fango, inalberano cartelli rosa sui quali si leggono inviti al boicottaggio (“Ahava is a dirty business”) della “sporca” azienda che “sfrutta le risorse palestinesi”. Nel 2011, il negozio londinese Ahava di Covent Garden fu costretto alla chiusura, dopo le ripetute incursioni di Code Pink dei due anni precedenti. L’anno successivo, lo hanno seguito altri punti vendita nella capitale inglese, ma a precederli erano stati nel 2002 i magazzini Harrods, pionieri assoluti del boicottaggio della Ahava.

L’attivismo anti israeliano di Code Pink non si ferma qui. Una delle sue battaglie vinte è quella contro Sodastream, la bibita che veniva fabbricata in Cisgiordania (non lo è più) ed era pubblicizzata da Scarlett Johansson. Ma se si visita l’home page si può leggere la petizione con la quale si invita lo staff della Lonely Planet a cassare la Ahava Factory dalla guida che riguarda gli itinerari nella zona del Mar Morto, o quella con cui si chiede che la catena di shopping online Nordstrom elimini dagli scaffali virtuali i prodotti Ahava. Non stupisce che gruppi di pressione come Code Pink, abituati ad agire di concerto con Hamas, lavorino per mettere in difficoltà Israele. Ma è incredibile che mentre gli ebrei europei ricominciano a essere sotto attacco come mai dalla fine della Seconda guerra mondiale, nella politica italiana ci sia chi giochi con il riconoscimento anti Israele dello stato di Palestina.

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