giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
18.06.2017 L'Afghanistan sotto attacco del terrorismo islamico
Reportage di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 18 giugno 2017
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Rapporto dall'Afghanistan minacciato dall'Isis»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/06/2017, a pag.1/14-15, con il titolo
" Rapporto dall'Afghanistan minacciato dall'Isis" il reportage di Domenico Quirico dall'Afghanistan

Immagine correlataImmagine correlata
Domenico Quirico

Ho sempre pensato che vi fosse nella storia afghana, nella impossibilità, per le grandi potenze che vi si sono accanite, di conquistare qualcosa di incomprensibile per noi, che ci chiamiamo ancora Occidente. Adesso la ennesima sconfitta si avvicina con l'accelerarsi della offensiva di quella grande armata del fanatismo che va ormai dai taleban ad Al Qaeda all'Isis. Ho incontrato questo giovane afghano in Turchia dove molti leader mujaheddin hanno casa e rifugio. Nel suo racconto personale, privato si specchiano tutti i nostri errori. «Se mio fratello fosse morto di malattia, in un incidente, in guerra, sì! Anche in guerra, nel mio Paese combattiamo da duecento anni, forse troverei una ragione e penserei che le vie di Dio sono tortuose ma giuste e la sua grazia è dura da sopportare sia in cielo sia in terra. a il problema è che le cose non stanno così. eppure la morte appartiene a mio fratello. Non so a quale causa attribuirla, a quale libro iscriverla. Non c'è nessun legame fra essa e l'esistenza che ha condotto. La sua morte, ammazzato a raffiche di mitra da un commando di taleban davanti al nostro negozio, non ha nulla a che fare con la persona che è stato. Con altrettanta facilità la morte avrebbe potuto sfiorarlo soltanto, o risparmiarlo. Lo ha afferrato senza badarci. Per errore. Senza sapere che era lui. E stato derubato della sua morte. Perché i taleban lo hanno ammazzato per qualche scaffale pieno di dischi. Ma soprattutto perché pensavano fossi io. «Disteso per terra nella sporcizia della strada, accanto alla sua moto, in una confusione di gente che fuggiva e urlava, gli occhi sbarrati dalla paura, una maschera di stupore sopra la maschera barbuta e sconvolta del suo volto: così mi ricordo di aver visto mio fratello il mattino in cui i taleban lo hanno ammazzato. Guarda la sua foto. Questo è lui, un ragazzone buono e simpatico non si vede? Le labbra imbronciate... non badarci, sono così i ragazzi, cercano di fare lo sguardo torbido per darsi importanza. Era un ragazzo del suo tempo. Sì sì! So che questo in Afghanistan non ha lo stesso significato che da voi. Si parlava della guerra e di quanto era accaduto nel nostro Paese e di quello che purtroppo sta di nuovo per accadere: ma lui non aveva paura, rifiutava di sacrificare il presente a un futuro imprevedibile, qualunque sia. «Godeva dei semplici piaceri di ogni giorno, pregava ma non considerava il suo corpo come un nemico, frequentava la moschea vicino a casa ma non era come i fanatici, rifiutava di imprigionare la sua mente in un sistema. «Il guaio era che io vendevo dischi, avevo deciso di mettere in piedi un negozio di musica. In Afghanistan! I taleban mi avevano avvertito, tentativi di bruciare i negozi, escrementi lasciati davanti alla porta, minacce di morte. Quel giorno erano venuti per uccidermi, io dovevo essere ucciso e mio fratello mi assomigliava molto. «Non puoi capire niente se non conosci la nostra storia. Nostro padre ha combattuto contro i russi, era un comandante dei mujaheddin. Quella era una guerra giusta, chiara: erano stranieri che avevano invaso il nostro Paese. E stato ferito due volte e ha perso 50 dei suoi 58 uomini durante l'attacco all'aeroporto di Kandahar. Ci raccontava, eravamo ragazzi, delle imprese dei tanzim contro i russi e i loro servi locali. Armati di fucili «E dopo, dopo sono arrivati quelli che noi chiamiamo "i giorni degli uomini armati di fucile". Molti capi mujaheddin avevano scelto una cattiva strada, la guerra quando la fai per anni intossica, avvelena il sangue e la testa. Completamente fatti di "chars", che è una droga potentissima, chiedevano tangenti sulle strade, rapivano e violentavano le donne, le bande si scontravano tra loro in battaglie sanguino *** se per denaro e potere, incendiavano città e villaggi. L'arrivo dei taleban «Voi occidentali siete da anni in Afghanistan e continuate a chiedervi da dove sono nati i taleban: sono nati da quel marciume da quella vita impossibile zeppa di violenze e brutalità. A voi che importava? I russi se ne erano andati. Massud Massud, voi vedevate solo Massud, il leone, l'eroe. Per me Massud non è un eroe, è un solo capo tagiko che ha ammazzato nelle sue guerre molti afghani. Come può essere l'eroe per tutti gli afghani? II nostro dramma è questo: non abbiamo eroi che possiamo amare tutti insieme, i pashtun hanno i loro i tagiki anche e gli uzbeki e gli hazara e così continuiamo a scannarci. «Quando i taleban cominciarono a eliminare i signori della guerra nelle zone pashtun la gente cominciò a portar loro pane e latte e gli uomini di affari donavano denaro perché le strade tornavano sicure e si poteva viaggiare e commerciare. Erano i giustizieri con il turbante, l'esercito degli orfani devoti, perfetti esempi dello stile mujaheddin, con il loro copricapo candidi come quelli degli angeli scesi ad aiutare il profeta in lotta con i suoi nemici a la Mecca. I taleban sono gente fredda e pia, hanno dentro una curiosa oscurità pesante, che è fredda come di pietra, moraleggiante e fosca. Vi è qualcosa di concluso e inalterabile, in loro, qualcosa di inaccessibile. Mio padre ci portò a vedere la punizione di Najbullah, il presidente dell'epoca sovietica che si era rifugiato invano nella ambasciata delle Nazioni unite. Castrato e appeso a un lampione con i genitali in bocca. «Orribile! SI, ma devi pensare che nel periodo sovietico sono morte un milione di persone. Nel mio Paese siamo così abituati a soffrire che se vuoi riprenderti da un orrore ne vai a vedere un altro. I taleban mantenevano le loro promesse, non come gli occidentali che continuano a farei promesse che non possono mantenere. «Gli anni del dominio taleban... delle volte mi guardo allo specchio e mi meraviglio che il mio volto non sia stato marchiato dall'inferno in cui sono sceso per tanto tempo. Voi non sapete che molte delle leggi che voi considerate conseguenza del fanatismo religioso, sharia importata dal fuori, in realtà sono "il modo dei pashtun", un codice tribale basato sull'onore. Lo impariamo ancor prima di imparare a camminare, siamo noi stessi nostri giudici e carcerieri, solo così ci siamo salvati nei secoli, la più grande società tribale del mondo. Migliaia di usanze per difendere la tribù, "zan, zar e zameen" donne oro e terra e il "qisas", l'obbligo della vendetta occhio per occhio, pubblicamente, allo stadio davanti alla folla. Vi è qualcosa di molto primitivo in questi uomini, i taleban: uomini, tutti uomini, una vigorosa, spietata vivente massa fisica di uomini. «Poi i taleban sono stati cacciati come un temporale, chi avrebbe pensato che potessero mai tornare? Erano stati massacrati a migliaia dagli aerei americani, dalle bande del Nord pagate a peso d'oro e che volevano il potere dei pashtun. Anche io ho pensato che il mondo fosse cambiato, ho aperto i negozi di dischi. Che musica vendevo? C'erano delle canzoni italiane che facevano impazzire i miei clienti: "felicità" e "io sono un italiano vero". Non ti sembra incredibile? E poi la gente amava le serie e i film di Bollywood, ho fatto politica allora, partecipato alle elezioni, gli americani pensavano che in un posto dove non c'erano partiti sarebbe diventata una democrazia! Invece era solo un gioco politico che ruotava attorno ai vecchi signori della guerra e i soldi della droga servivano per sedurre gli elettori. E Obama che ci ha condannato annunciando che avrebbe ritirato i soldati. I taleban non erano scomparsi, aspettavano. Come si dice da noi: voi avete gli orologi noi abbiamo il tempo. Avete perso la guerra, cercate solo il modo per non doverlo ammettere. Abbiamo perso la guerra con voi. Il giorno in cui anche gli ultimi soldati stranieri se ne andranno, e se ne andranno, in due settimane anche Kabul cadrà. Di nuovo. «Io ho portato la famiglia qui in Turchia: sono tornato in Afghanistan una sola volta. E dura stare lontano dalla mia terra, ma il rischio di non tornare più qua, dalla mia famiglia, è troppo alto. Fino a quando sarà possibile. Poi cosa farò? Me lo chiedevo a volte la notte a Kabul quando non riuscivo a dormire. Non ho mai visto gli astri scintillare in modo così fisso e intenso, la notte è splendida, impassibile, fredda e liscia come una maniglia di ottone. Alberi, montagne in quella gelida luce sembrano di metallo. Forse fuggirò, forse diventerò un mujaheddin come mio padre per combattere i vincitori. L'ora del Califfato «Solo che questa volta forse non saranno i taleban. Nel grande Gioco c'è un attore ancor più terribile. Isis sta arruolando i pashtun, li seduce con il denaro: sono ricchi, ben armati possono pagare stipendi di centinaia di dollari ai combattenti che si arruolano, i taleban nonostante l'oppio sono poveri. «Voi occidentali non capite: avete gli occhi fissi sul Medio Oriente, Siria Iraq: ma la partita decisiva si giocherà qui dove i potenziali kamikaze non sono qualche migliaio ma milioni. E l'Afghanistan la nuova fortezza del califfato; Isis sta già spostando qui i combattenti da Siria e Iraq che considera ormai perduti, le nuove reclute sono ceceni uiguri uzbeki. Qui non è un deserto nudo e senza nascondigli come in Libia e in Iraq, ci sono montagne imprendibili che neppure tutte le superbombe di Trump riusciranno a scalfire».

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT