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La Stampa Rassegna Stampa
10.06.2017 Trump all'attacco: porterò Comey in tribunale
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 10 giugno 2017
Pagina: 11
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump attacca Comey 'è una gola profonda'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/06/2017, a pag.11, con il titolo " Trump attacca Comey 'è una gola profonda' ", la cronaca di Paolo Mastrolilli.

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Da sin.Alan Dershowitz        Donald Trump

Se non andiamo errati, quello di Mastrolilli è il primo pezzo nel quale vengono esposte le posizioni di Donald Trump. Finora, giornali e TG, si erano dedicati a informarci se e quando il presidente americano poteva essere oggetto di incriminazioni varie, TG1 Rai in prima fila, con gli inaccettabili servizi della corrispondente dagli Usa. Adesso veniamo a sapere che persino Alan Dershowitz, il famoso penalista di Harvard e su posizioni democratiche, esclude che vi siano comportamenti illegali da parte di Trump.
Considerati i livelli di pericolosa inefficenza a cui erano arrivati FBI e CIA, non ci sarebbe da stupirsi che sia proprio l'aria nuova portata da Trump nella loro gestione ad aver provocato gli attacchi al presidente.

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Paolo Mastrolilli

«James Comey ha mentito» riguardo la richiesta di fermare le indagini sul Russiagate, e l’avvocato di Trump è pronto a fargli causa per aver rivelato conversazioni confidenziali. Il capo della Casa Bianca non vuole ancora confermare se esistono registrazioni dei suoi colloqui con l’ex direttore dell’Fbi, ma lascia intendere che non ci sono, anche se la Commissione intelligence della Camera gli ordina di consegnarli entro il 23 giugno. Poi dice di essere disposto a farsi interrogare sotto giuramento dal procuratore speciale Robert Mueller per smentire le accuse ricevute. Il giorno dopo la testimonianza di Comey davanti alla Commissione Intelligence del Senato, Donald Trump e la sua squadra hanno lanciato il contrattacco. L’operazione consiste in tre punti: negare le denunce dell’ex direttore dell’Fbi, demolire la sua credibilità, e portare lui in tribunale. Infatti l’avvocato del presidente, Marc Kasowitz, si prepara a denunciare Comey al dipartimento della Giustizia, perché passando ai giornali le sue note sulle conversazioni avute con Trump avrebbe violato il diritto del capo della Casa Bianca alla riservatezza. Ha cominciato il presidente, con un tweet pubblicato di prima mattina: «Nonostante così tante dichiarazioni false e bugie, totale e completa discolpa... E wow!!!!, sorpresa, Comey è un delatore!». Giovedì l’avvocato di Trump, Marc Kasowitz, era riuscito ad evitare che il capo della Casa Bianca commentasse l’audizione sui social media. Ieri però ha dato via libera, per questo giudizio presumibilmente concordato con i legali. Poco dopo il presidente ha ritwittato un messaggio del professore di Harvard Alan Dershowitz, che diceva di non aver visto una «causa plausibile» di ostruzione della giustizia: «Dobbiamo distinguere tra i reati, e i peccati politici». Alle tre del pomeriggio, Trump è andato nel Rose Garden con il presidente romeno Klaus Iohannis, per tenere una conferenza stampa congiunta. Ha cercato di spostare l’attenzione su altri temi, ripetendo l’accusa al Qatar di essere «un Paese finanziatore del terrorismo», e confermando «l’impegno a favore dell’articolo 5 della Nato», cioè quello sulla difesa reciproca degli alleati, che non aveva citato durante la visita del 25 maggio scorso a Bruxelles. Le domande dei giornalisti, però, sono andate tutte sul Russiagate. Cosa pensa della testimonianza di Comey, che l’ha accusata di mentire? Esistono le registrazioni dei vostri colloqui? Risposta: «Niente collusione (con Mosca ndr), niente ostruzione (della giustizia). Comey è un leaker, un delatore di soffiate, e noi dobbiamo occuparci di governare il Paese. Questa inchiesta è solo una scusa dei democratici, perché hanno perso una elezione che non potevano perdere». Seconda domanda, stesso tema: Comey l’ha accusata di aver chiesto di «lasciar andare» l’inchiesta sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale Flynn. Risposta: «Non è vero, non l’ho mai detto». Quindi Comey ha mentito? «Io so di non averlo mai detto». Non gli ha chiesto lealtà? «Mai». È disposto a ripeterlo al procuratore speciale Mueller, sotto giuramento? «Al cento per cento». Esistono le registrazioni per provare chi dice la verità? «Lo saprete presto». Ma perché non dirlo subito? «Lo saprete presto, e resterete delusi». La linea di difesa dunque è chiara. Il primo punto è attaccare Comey, cercando di portarlo davanti alla giustizia, anche se non è più un dipendente federale e gli esperti non sono convinti che le sue note fossero coperte dal diritto del presidente alla riservatezza. Il secondo è screditarlo, negando l’accusa di aver chiesto la fine dell’inchiesta sul Russiagate. Il terzo punto è sfidarlo sul suo stesso terreno, accettando di smentirlo sotto giuramento davanti al procuratore Mueller. Così, se non esistono le registrazioni dei colloqui fra Trump e Comey, e non ci sono altre prove, il caso si ridurrebbe alla parola del presidente contro quella dell’ex capo dell’Fbi. Uno dei due mente, ma potrebbe diventare impossibile capire chi e dimostrarlo.

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direttore@lastampa.it

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