Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

La Stampa Rassegna Stampa
16.04.2017 Quando uno storico di estrema sinistra comincia ad aprire gli occhi. Almeno sull'uso delle armi
Luciano Canfora intervistato da Francesco Grignetti

Testata: La Stampa
Data: 16 aprile 2017
Pagina: 3
Autore: Francesco Grignetti
Titolo: «Facciamo parte della Nato, le spese sono obbligatorie»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/04/2017, a pag.3, con il titolo "Facciamo parte della Nato, le spese sono obbligatorie", l'intervista di Francesco Grignetti a Luciano Canfora.

Anche se non si può affermare che il prof.Canfora ha aperto gli occhi sulla storia contemporanea, da antichista quale è, ha però delle armi un parere differente da quello dei nostri ipocriti, Papa Francesco in prima fila. E' l'uso che ne facciamo che conta, non l'arma in sè. Il Male non si sconfigge con il rimprovero o la preghiera, strumenti leciti, se poi ad affrontare il nemico si usano le armi. Canfora l'ha capito, e per un vecchio comunista come lui è già molto che l'abbia dichiarato. 

Immagine correlataImmagine correlata
Luciano Canfora                  Francesco Grignetti

Il professor Luciano Canfora, sagace studioso del mondo antico ma attento alle dinamiche politiche dell’oggi, è uomo che sente le passioni del momento. Non gli sfuggono i venti di guerra che attraversano il pianeta in questi giorni e gli fanno orrore. Ma non fa sconti neanche al recente passato.
Professor Canfora, anche lei pensa che ogni soldo speso per gli armamenti sia un soldo sprecato? Che cosa ci insegna al riguardo la storia, maestra di vita?
«Guardi, mi permetta di dire che il tema, messo così, è abbastanza subdolo, se posso usare un aggettivo forte. Evocare i precedenti storici è molto comodo perché ovviamente si salta ogni situazione concreta, si mettono sullo stesso piano episodi differenti e poi se ne ricava una morale. Ora, è vero che ad Atene un grande politico come Demostene protestava perché il denaro pubblico veniva speso per il teatro e non per l’esercito. Oppure Pericle ha fatto costruire centinaia di triremi perchè prevedeva lo scontro con Sparta. I romani, non ne parliamo: sono stati guerrieri ininterrotti. Ma nel mondo antico la conflittualità è talmente elevata che la guerra è considerata la norma, la pace è l’eccezione».
E fuori dal mondo antico?
«Si possono fare altri ragionamenti. Le grandi rivoluzioni si sono trovate nella necessità di doversi difendere dai loro nemici. Si pensi alla Francia di Robespierre, assediata dalle coalizioni. La Francia stessa, poi, con Napoleone Bonaparte, diventa aggressiva e le parti si capovolgono. La Russia dei soviet predica “guerra alla guerra” ed esce dalla Guerra mondiale con un trattato unilaterale con la Germania e l’Austria estremamente penalizzante per smetterla con la guerra, però ben presto è costretta a prepararsi alla guerra. Sono tanti casi specifici».
L’Italia spende più di un tempo in armamenti, anche se siamo ancora lontani dalle richieste della nuova Amministrazione statunitense. Che ne pensa?
«Quello del nostro Paese è un caso anch’esso particolare. C’è stato il fascismo e nessuno - credo - avrà voglia di dire, per gusto di revisionismo storico, che era giusto aggredire l’Etiopia, intervenire in Spagna o entrare con l’Armir nella campagna di Russia, veri e propri crimini. Ma andiamo all’oggi. La Repubblica ripudia la guerra, dice la nostra Costituzione. Però ci siamo ficcati nella Nato e questo comporta spese obbligatorie oppure guerre che non ci competono, per esempio contro la Libia o in Afghanistan. Capirei ci fosse un esercito europeo, ma non c’è... ».
Resta in ogni caso la necessità di comprarle, le armi. O no?
«Ovvio. Anche la Svizzera ha un suo esercito. Va da sé. È una necessità così come è necessaria una polizia. Il problema è l’uso che se ne fa, in che misura, a quante migliaia di chilometri dal proprio Paese, con quali motivazioni. Avere le armi e usarle: sono due problemi diversi. Poi è vero che in Italia il ministero della Difesa mi sembra un po’ troppo autocentrato. Si sentono sempre alla vigilia di Caporetto».

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui