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La Stampa Rassegna Stampa
13.04.2017 L'ipocrisia dei Paesi arabi: sono 'fratelli' solo se si tratta di attaccare Israele
Giordano Stabile risponde a un lettore

Testata: La Stampa
Data: 13 aprile 2017
Pagina: 22
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Emergenza migranti, a ogni Paese i suoi profughi, ma le monarchie del Golfo non accolgono i siriani»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/04/2017, a pag. 22, con il titolo "Emergenza migranti, a ogni Paese i suoi profughi, ma le monarchie del Golfo non accolgono i siriani", una lettera e la risposta di Giordano Stabile.

I Paesi arabi si considerano "fratelli" soltanto quando si tratta di attaccare o demonizzare Israele - per decenni militarmente, oggi con la propaganda, l'antisemitismo e la delegittimazione nelle sedi internazionali come l'Onu. Per tutto il resto la "fratellanza" araba non esiste, come dimostra il fatto che i Paesi del Golfo non hanno accolto profughi siriani.

Ecco lettera e risposta:

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Giordano Stabile

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L'unico autentico motivo di unione tra gli arabi: l'odio per Israele

L’ immigrazione è uno dei temi chiave in questo momento nel dibattito pubblico europeo. Se il migrante potesse scegliere la propria destinazione ed essere accolto in uno Stato che abbia tradizioni e leggi simili a quelle del proprio Paese di origine ne potrebbero trarre beneficio sia i migranti sia gli Stati che danno loro accoglienza.
I migranti avrebbero più possibilità di integrarsi autenticamente e sarebbe più agevole per gli Stati assorbire i nuovi arrivati nei propri territori. Per esempio i perseguitati cristiani potrebbero essere accolti in Europa e Usa, i profughi siriani sunniti in Turchia e Arabia Saudita, gli sciiti in Iran. Secondo lei potrebbe essere un’idea praticabile? Per curiosità Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Dubai che ruolo hanno nell’accoglienza di profughi e migranti economici?

Alessandro Pesce



In parte è già così. Il Libano ha potuto accogliere oltre un milione di profughi siriani, come se in Italia ne fossero arrivati 15 milioni e passa, anche per l’omogeneità culturale. In maggioranza sono musulmani sunniti, parlano arabo, anzi un dialetto che è quasi identico a quello libanese, le tradizioni, persino la cucina, sono le stesse. Per ragioni di equilibri fra le componenti religiose, i cristiani libanesi temono di essere messi in minoranza, questa facilità di inserimento non può però tradursi in un insediamento stabile. È una situazione precaria, potenzialmente esplosiva, che si ripete in maniera simile in Giordania (700 mila rifugiati siriani). In Turchia invece la barriera della lingua è uno degli ostacoli maggiori all’integrazione e i quasi tre milioni di profughi si sono trasformati in merce di scambio nelle trattative fra Ankara e Bruxelles.

In tutti e due i Paesi gran parte dei profughi appartengono alla Siria rurale e sono diventati mano d’opera a bassissimo costo, quando non gratuita, per i proprietari terrieri che li ospitano in campi improvvisati. Quelli che cercano di raggiungere l’Europa, cristiani o no, appartengono generalmente alla media borghesia urbana, hanno un titolo di studio, parlano anche una lingua europea, hanno aspettative lavorative molto più alte. Secondo l’Unhcr, a livello regionale, al terzo posto per accoglienza c’è l’Iraq, con circa 300 mila profughi, seguito dall’Egitto.

Le monarchie petrolifere hanno accolto pochi rifugiati siriani per motivi legati a fatti storici del recente passato. Le massicce immigrazioni di egiziani e yemeniti, per ragioni economiche, e palestinesi, negli Anni 60 e 70, si sono rivelate fonte di pericolosa instabilità durante le guerre arabo-israeliane e soprattutto durante la Prima guerra del Golfo. Da allora i Paesi del Golfo preferiscono immigrati asiatici: negli Emirati rappresentano addirittura i due terzi della popolazione.

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direttore@lastampa.it

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