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La Stampa Rassegna Stampa
13.02.2017 Le scopiazzature del Corano 'religione di pace': l'islam riscritto da Tahar Ben Jelloun
Una storia di comodo per non affrontare i problemi veri

Testata: La Stampa
Data: 13 febbraio 2017
Pagina: 7
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: «'Cari bambini, i terroristi non vanno in paradiso'»

Riprendiamo dalla STAMPA - TUTTOLIBRI dell'11/02/2017, a pag. VII, con il titolo  'Cari bambini, i terroristi non vanno in paradiso', il commento di Tahar Ben Jelloun.

"Chiunque uccida un uomo uccide l'umanità intera" è un versetto del Corano (5, 32) tratto dalle fonti ebraiche. Quando lo cita, dunque, Ben Jelloun farebbe bene a riportare la fonte originale del passo; preferisce invece non farlo e appropriarsi della citazione per argomentare la propria posizione conciliante, secondo cui "l'islam non predica violenza". In questo modo la realtà dei fatti viene nascosta. Ben Jelloun vive da decenni in Francia, per questo può fregiarsi dell'etichetta di "musulmano moderato", troppo comodo fare il pacifista in un paese democratico e nello stesso tempo inventarsi un islam che non esiste. 

Ecco l'articolo:

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Tahar Ben Jelloun

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"L'islam non predica violenza", secondo Ben Jelloun

All’indomani del 13 novembre 2015, la sera della tragedia del Bataclan che si è chiusa con 130 morti e 413 feriti, ho pensato alle famiglie che hanno perso i propri cari. Al di là del dolore e del lutto, al di là dell’orrore, mi sono detto: «un padre come potrà spiegare al figlio che sua sorella o suo fratello è morto andando a un concerto? Come affrontare il tema del terrorismo e di coloro che lo praticano, i terroristi? Come scegliere le parole adeguate e dire la verità?».

Riflettendoci, ho constatato che il terrorismo non è un fenomeno nuovo. Esiste da sempre ed è stato utilizzato come arma di ricatto per diffondere la paura e il panico. Per questo ho raccontato la storia del terrorismo, a partire dalla rivoluzione francese fino a oggi. Gli attori e le motivazioni cambiano ma i metodi sono sempre gli stessi, certo oggi con qualcosa di nuovo: il ricorso ai media e ai social network, che fanno vivere gli eventi nell’immediato o in diretta.

Ai bambini, bisogna dire la verità. Mentire, nascondere loro come stanno le cose per paura di sconvolgerli o di traumatizzarli è una scelta sbagliata. Prima o poi, la verità gli arriverà. Tanto vale prepararli a conoscerla nel momento in cui le cose avvengono. E’ finito il tempo in cui l’infanzia era protetta, sinonimo di dolcezza e gioia. Oggi immagini di ogni tipo invadono il nostro spazio, sia per strada che in casa, alla televisione o sullo schermo del nostro computer. Internet viene a cercarci e ci trova. Le nuove tecnologie hanno stravolto la percezione del mondo e l’hanno confusa col virtuale, che finisce per prendere il posto della realtà.

Tutto ciò i terroristi dello «Stato islamico» lo sanno bene e lo sfruttano con efficacia. La cosa più difficile da spiegare ai bambini, quando si parla di terrorismo, sono le motivazioni di queste persone. Come far capire a un bambino che l’istinto di vita e di conservazione si trasforma in istinto di morte? Come presentare loro il famoso «paradiso» che i terroristi presentano ai ragazzi che reclutano per la jihad?
Ho avvertito che era necessario risalire alle origini dell’Islam e ricostruire come alcuni interpretano la parola di Dio. I bambini, però, non possono recepire tutte queste informazioni storiche. Bisogna semplificare, rendere chiaro ciò che è complesso, andare all’essenziale. Dire loro per esempio che le religioni spesso sono state utilizzate dalla gente per ragioni sbagliate. Si può far dire alle religioni ciò che si vuole. Nel libro, a questo proposito, dò alcuni esempi per ciascuna delle tre religioni monoteiste. Bisogna evitare che i bambini sovrappongano Islam e terrorismo e ricordare loro un versetto importante del Corano: colui che uccide un innocente uccide l’umanità intera.

Ho iniziato a scrivere questo libro dopo aver spiegato il razzismo, e in un secondo tempo l’Islam. Ho fatto un lavoro pedagogico preciso, fatto di verifiche, in uno stile che fosse alla portata di tutti. Queste esperienze mi hanno portato in centinaia di scuole nel mondo, ovunque questi libri venivano tradotti. Mi sono reso conto che tutti i bambini si assomigliano, qualunque sia il luogo. Pongono più o meno tutti le stesse domande. Quando c’è stato l’attacco a Charlie Hebdo e poi al negozio kosher a Vincennes il 7 gennaio 2015, non solo ho provato orrore ma sono proprio rimasto senza parole. Non sapevo più che dire, cosa fare. Ho perso due amici fra gli umoristi di Charlie, Wolinski e Cabu, che conoscevo da più di 35 anni.

Lo smarrimento e poi l’impotenza delle famiglie delle vittime mi hanno fatto piombare in uno scoraggiamento che mi sconcertava. E poi di seguito, ecco i nuovi attacchi, in piena Parigi, con molte decine di morti, alcuni dei quali di confessione musulmana. Ho capito il messaggio: i terroristi volevano attaccare lo stile di vita dei francesi. Dopo aver «punito» la libertà di espressione, hanno voluto uccidere coloro che, un sabato sera, si divertivano. E’ stato allora che ho deciso di andare a scavare nella storia e nella psicologia, per capire – o almeno cercare di capire – le origini di questo fenomeno, che non ha precedenti né nell’Islam né nella storia del mondo arabo.

Ai bambini che ho incontrato nelle scuole, ho detto quanto questo terrorismo fosse incomprensibile e assolutamente ingiustificabile. «E allora perché esiste?», mi chiedevano i ragazzi. Senza entrare nella filosofia nichilista o nell’ideologia del sacrificio, ho cercato di dimostrare quanto ciò che succede sia difficile da capire. Poi ho detto che nella storia ci sono state spesso persone che hanno espresso la propria rivolta verso la società provocando panico e morte fra cittadini innocenti. Ho detto loro quanto il mondo arabo (e musulmano) sia attraversato da crisi profonde e come la maggior parte dei governanti non sia stata democratica e non abbia rispettato i cittadini.

Perché la Francia, il Belgio, la Germania? Perché lì vivono i figli degli immigrati venuti dal Maghreb, che non si sono ben adattati alla vita europea. La scarsa cultura, le fragilità familiari hanno permesso ai reclutatori della jihad di convincerli a cambiare vita e a scegliere la morte, che garantisce loro l’ingresso al paradiso, dove saranno ricompensati del loro sacrificio. Si dice loro: «In Occidente nella vostra vita non vi siete realizzati; con la jihad, vi realizzerete con la morte e avrete una vita decisamente migliore!».

[Traduzione di Anna Maria Lorusso]

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