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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/02/2016, a pag. 26, con il titolo "Quei musulmani tra i Giusti di Israele", il commento di Karima Moual.
Nel villaggio berbero di Arazan, Sud del Marocco, c’è un anziano signore che mantiene una promessa da decenni. Nel 1962 gli è stata lasciata la chiave della sinagoga dall’ultimo ebreo, abitante del villaggio. «Custodiscila», gli ha detto, «e se un giorno un ebreo si trovasse nel villaggio e chiedesse di una sinagoga, portagli questa chiave». Da quel giorno, Karim Hadad onora il patto del suo amico ebreo e custodisce la chiave della sinagoga come un gioiello prezioso. Ma non è il solo. Anche Lahsen ha un patto che mantiene da oltre 70 anni con l’amico di gioventù, Moshe. Prima di partire per Israele, negli Anni 50, gli aveva chiesto di prendersi cura delle tombe dei suoi antenati. Da allora Lahsen non le perde d’occhio e, in attesa del suo ritorno, ogni anno con una vernice nera riscrive in ebraico, con cura e dedizione, i nomi sulle tombe, anche se l’ebraico non lo ha mai studiato. Atti semplici ma concreti Tra questi Beqir Qoqja, il sarto di Tirana. Aprì le porte della sua bottega all’amico Avraham Eliasaf, quando capì quanto stava per succedere agli ebrei. Lo custodì al sicuro riuscendo a farlo sopravvivere alla guerra. In una intervista del 2004 rilasciata a Norman Gershman, quando ormai era novantenne, il sarto di Tirana ha dichiarato di essere stato sempre un musulmano devoto, di non aver fatto nulla di speciale perché tutti gli ebrei sono nostri fratelli. C’è poi la donna coraggio di Sarajevo, la bosniaca Zejneba Hardagan. Insieme col marito Mustafa abitava proprio di fronte al quartier generale della Gestapo: i due ne approfittarono per avvertire gli ebrei quando i nazisti uscivano per le loro retate. Ospitarono poi l’amico ebreo Yossef Kabilio che tuttavia non scampò all’arresto. Senza perdere la speranza, Zejneba, con il suo velo nero, continuò tutti i giorni a visitarlo portandogli cibo e vestiario fino a ottenere dal capo della Gestapo il suo rilascio in cambio di una cospicua somma di denaro. Kabilio si salvò e non dimenticò la donna di Sarajevo. È stata la riconoscenza della sua famiglia a far sì che il nome Zejneba Hardagan, nel 1985, fosse il primo nome musulmano inserito a Yad Vashem. La storia del tunisino Khaled Abdelwahhab è stata raccolta dallo storico americano di origine ebraica Robert Satloff, che ne ha proposto la candidatura come Giusti tra le Nazioni, perché questo figlio di un ex ministro della corte del Bey di Tunisi aveva protetto la famiglia Boukris, circa 20 persone, conducendole al sicuro nella sua casa di campagna a Tlelsa. «Solo sudditi marocchini» Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettestampa.it |
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