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La Stampa Rassegna Stampa
02.02.2016 I giusti dell'islam: il re del Marocco che salvò gli ebrei del suo paese dai nazisti e dai francesi di Vichy
Cronaca di Karima Moual

Testata: La Stampa
Data: 02 febbraio 2016
Pagina: 26
Autore: Karima Moual
Titolo: «Quei musulmani tra i Giusti di Israele»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/02/2016, a pag. 26, con il titolo "Quei musulmani tra i Giusti di Israele", il commento di Karima Moual.

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Karima Moual

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Mohammed V, re del Marocco, durante la Shoah difese i propri sudditi ebrei

Nel villaggio berbero di Arazan, Sud del Marocco, c’è un anziano signore che mantiene una promessa da decenni. Nel 1962 gli è stata lasciata la chiave della sinagoga dall’ultimo ebreo, abitante del villaggio. «Custodiscila», gli ha detto, «e se un giorno un ebreo si trovasse nel villaggio e chiedesse di una sinagoga, portagli questa chiave». Da quel giorno, Karim Hadad onora il patto del suo amico ebreo e custodisce la chiave della sinagoga come un gioiello prezioso. Ma non è il solo. Anche Lahsen ha un patto che mantiene da oltre 70 anni con l’amico di gioventù, Moshe. Prima di partire per Israele, negli Anni 50, gli aveva chiesto di prendersi cura delle tombe dei suoi antenati. Da allora Lahsen non le perde d’occhio e, in attesa del suo ritorno, ogni anno con una vernice nera riscrive in ebraico, con cura e dedizione, i nomi sulle tombe, anche se l’ebraico non lo ha mai studiato.

Atti semplici ma concreti
Sono alcune delle tante storie di umanità, di convivenza, di amicizia e rispetto che raccontano l’ebraismo e l’islam attraverso atti semplici ma concreti. Storie difficilmente ritrovabili nel racconto dello scontro che mette in ombra la straordinarietà dell’incontro, della solidarietà, della sintonia e della complicità che segnano queste due comunità certo religiose, ma prima di tutto umane. La Seconda guerra mondiale, con la tragedia della Shoah che si è commemorata nei giorni scorsi, custodisce nella sua barbarie anche le testimonianze di questa realtà. Quella dei «Giusti dell’islam», musulmani che hanno difeso amici o semplicemente sconosciuti cittadini ebrei che chiedevano un nascondiglio o un aiuto per scampare alle persecuzioni naziste. Alcuni di loro sono riconosciuti come «I Giusti tra le Nazioni». Solo in Albania sono 63 i Giusti annoverati da Yad Vashem, l’Ente nazionale israeliano per la Memoria della Shoah.

Tra questi Beqir Qoqja, il sarto di Tirana. Aprì le porte della sua bottega all’amico Avraham Eliasaf, quando capì quanto stava per succedere agli ebrei. Lo custodì al sicuro riuscendo a farlo sopravvivere alla guerra. In una intervista del 2004 rilasciata a Norman Gershman, quando ormai era novantenne, il sarto di Tirana ha dichiarato di essere stato sempre un musulmano devoto, di non aver fatto nulla di speciale perché tutti gli ebrei sono nostri fratelli. C’è poi la donna coraggio di Sarajevo, la bosniaca Zejneba Hardagan. Insieme col marito Mustafa abitava proprio di fronte al quartier generale della Gestapo: i due ne approfittarono per avvertire gli ebrei quando i nazisti uscivano per le loro retate. Ospitarono poi l’amico ebreo Yossef Kabilio che tuttavia non scampò all’arresto. Senza perdere la speranza, Zejneba, con il suo velo nero, continuò tutti i giorni a visitarlo portandogli cibo e vestiario fino a ottenere dal capo della Gestapo il suo rilascio in cambio di una cospicua somma di denaro. Kabilio si salvò e non dimenticò la donna di Sarajevo. È stata la riconoscenza della sua famiglia a far sì che il nome Zejneba Hardagan, nel 1985, fosse il primo nome musulmano inserito a Yad Vashem. La storia del tunisino Khaled Abdelwahhab è stata raccolta dallo storico americano di origine ebraica Robert Satloff, che ne ha proposto la candidatura come Giusti tra le Nazioni, perché questo figlio di un ex ministro della corte del Bey di Tunisi aveva protetto la famiglia Boukris, circa 20 persone, conducendole al sicuro nella sua casa di campagna a Tlelsa.

«Solo sudditi marocchini»
Necdet Kent, console turco a Marsiglia, venne svegliato in piena notte da un ebreo che lavorava come traduttore al Consolato, per informarlo che 80 ebrei turchi erano stati deportati su un treno. Senza esitazioni si presentò nella notte alla stazione facendo presente al capo della Gestapo che quegli ebrei erano cittadini turchi. Non bastò a salvarli se non quando salì lui stesso sul treno assieme agli 80 deportati, e una volta giunti fuori Marsiglia obbligò i tedeschi a fare marcia indietro per evitare un incidente diplomatico con la Turchia: così riuscì a riportare gli ebrei a Marsiglia. Ma c’è anche un altro diplomatico, questa volta iraniano, Abol Hossain Sardari, console a Parigi, che si adoperò per evitare la deportazione degli ebrei iraniani citando il Decreto di Ciro il Grande. «In Marocco non esistono sudditi ebrei, ma solo sudditi marocchini», aveva detto il monarca Mohammed V, per difendere i 250.000 ebrei marocchini dalle forze di occupazione francesi di Vichy e dai nazisti che gli chiedevano di applicare leggi discriminatorie verso di loro. Un ruolo e una decisione chiave che permette ancora oggi una convivenza esemplare nel Paese e che solo in questi giorni a New York è stata celebrata con una onorificenza postuma al defunto re, nella sinagoga newyorchese, con il «premio per la libertà Martin Luther King jr - Rabbin Abraham Joshua» consegnato alla principessa Lalla Hasna. Marocchini, tunisini, egiziani, turchi, algerini, albanesi o iraniani non importa. Sono i «Giusti dell’islam». Semplici cittadini o uomini di potere che fossero, hanno dimostrato la loro umanità nel momento in cui era stata seppellita. Storie di coraggio che piano piano emergono in superficie, alleviando il dolore di una pagina buia del nostro passato.

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