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La Stampa Rassegna Stampa
18.11.2015 Musulmani e stragi: tra complottismo e (rare) voci contro
Commento di Francesca Paci, ma il titolo è fuorviante

Testata: La Stampa
Data: 18 novembre 2015
Pagina: 9
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il mondo musulmano supera il complottismo: 'Colpe dentro l'islam'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/11/2015, a pag. 9, con il titolo "Il mondo musulmano supera il complottismo: 'Colpe dentro l'islam' ", il commento di Francesca Paci.

Il titolo tradisce il contenuto dell'articolo, che mostra invece una pluralità di voci diverse, quasi tutte per nulla moderate e incapaci di superare il complottismo che accusa Stati Uniti e addirittura Israele di tenere le fila del terrorismo internazionale. Il fatto che il terrorismo sia islamico, poi, non sembra turbare più di tanto i complottisti.

Ecco l'articolo:

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Francesca Paci

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Una vignetta mendace identifica in Israele un alleato dello Stato islamico

E i musulmani che dicono? La domanda che torna dopo ogni strage commessa in nome dell’islam è la chiave di volta di un rapporto che se a 14 anni dalle Torri Gemelle non è degenerato in scontro delle civiltà ha però visto ergersi montagne tra l’occidente e la umma. Le risposte sono mille, ogni Paese ha una storia: ma quasi ovunque alla dietrologia standard (l’islam non c’entra, il terrorismo è made in Usa o Israele) si è sostituito un dibattito (mentre in Occidente il complottismo pare in ascesa).

«No a chi uccide per l’Islam»
«Diversamente dal passato arabi e musulmani hanno preso chiaramente le distanze dagli attacchi di Parigi, molti hanno aggiunto i colori francesi ai loro profili web» dice da Amman l’editorialista di «al Monitor» Daoud Kuttab. Il suo Paese divide un confine esplosivo con la Siria: «I giordani sono perplessi ma non sentono di doversi difendere a riccio come dopo l’11 settembre. Oggi è tutto più chiaro, 2000 loro connazionali si sono arruolati con l’Isis».

La storia insegna, concorda Osama al Saghir, deputato di Ennahda, i Fratelli Musulmani tunisini: «Il terrorismo ci unisce, il Bardo, Sousse, Parigi. L’Occidente deve replicare militarmente ma non basta: serve un aiuto economico forte a chi come la Tunisia tenta la via democratica perché avallare la repressione stile Egitto fornisce nuove reclute all’Isis. Anche i musulmani hanno sbagliato cullandosi nel complottismo. Ora capiamo che sebbene il problema non sia l’islam ci sono musulmani che uccidono in quanto tali. Sì, qualcuno dirà ancora che sono pilotati, ma abbiamo meno paura di condannare chi ammazza in nostro nome».

In Egitto, dal 2011 alter ego della Tunisia, è più complesso: i filo Sisi e gli ex nasseriani sono alleati dell’Occidente (e di Putin) contro l’Isis ma su Parigi obiettano «Chi ha creato l’Isis se non gli Usa?»; i Fratelli della vecchia generazione condannano per accreditarsi come i veri democratici, i ragazzi di Tahrir esclusi dal duo generali-islamisti chiedono «boots on the ground» in Siria e piangono «senza ma» le vittime di Parigi tra cui due di loro, Salah el Gebali e Lamia Mondegeur.

«Vittime di serie A e B»
In Libia e Siria, dove la guerra è routine, l’umore è contrastato. «Molti libici giudicano ipocrita l’Occidente che da un lato tratta i terroristi per quel che sono e dall’altro vorrebbe che noi dialogassimo con Ansar al Sharia e altri jihadisti per la riconciliazione nazionale», osserva da Bengasi un attivista anti-Gheddafi. Un suo coetaneo siriano, Rifaie Tammas, è emigrato in Australia per evitare la morsa Assad-Isis: «È triste che di fronte ai morti di Parigi ci sia chi accusa l’islam per i crimini di un musulmano estremista e chi li “scusa” alla luce delle ingiustizie subite dai musulmani nel mondo. Io prego per le vittime di Parigi, Beirut, Turchia, Yemen e Siria». I siriani rifiutano «l’omaggio» dei terroristi alla loro causa ma, nota Sima Abbed Rabboh, si sentono soli: «Stringiamo Parigi ma certe vite contano più di altre. Le nostre sono state decimate da Assad che ora, causa Isis, è alleato dell’Occidente. Fin quando sosterrete i nostri dittatori per la vostra sicurezza?»

Poi ci sono i fronti critici e non solo allo stadio dove i tifosi bosniaci di Bosnia-Irlanda hanno fischiato il minuto di silenzio per le vittime di venerdì urlando ««Palestina». C’è il Libano che, spiega il capo degli esteri di «Assafir» Khalil Harb, non ha gradito il doppio standard sulle stragi di Parigi e di Beirut (nella zona di Hezbollah, filo Assad e in guerra contro l’Isis): «I libanesi, tranne i radicali, stanno con la Francia. Ma molti sono arrabbiati perché nessuno ha cambiato il profilo Facebook in sostegno di Beirut».

E c’è l’Arabia Saudita, pilastro americano (e occidentale) ma anche da trent’anni epicentro della versione più radicale dell’islam che predica oggi in Europa. Samar Fatany è una columnist del «Saudi Gazette», una paladina delle donne: «Dietro gli attentati di Parigi c’è un potere forte. È come l’11 settembre: ormai sappiamo che è stato fatto per colpire i musulmani». A cercare il burattinaio dell’Isis c’è anche l’Iran che ci vede Riad... «È folle. Ci sono video illuminanti su chi sia dietro il complotto che va oltre la Siria». E a corollario ne manda due che parlano di Cia e Mossad...

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