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La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2015 Una guida per viaggiare nei mondi di Primo Levi
Scritta da Marco Belpoliti, presentata da Claudio Gallo

Testata: La Stampa
Data: 21 agosto 2015
Pagina: 24
Autore: Claudio Gallo
Titolo: «Una guida per viaggiare nei mondi di Primo Levi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2015, a pag. 24-25, con il titolo "Una guida per viaggiare nei mondi di Primo Levi", l'analisi di Claudio Gallo.

A destra: Primo Levi

Il 27 agosto uscirà per Guanda Primo Levi di fronte e di profilo (pp 736, € 38) di Marco Belpoliti, un libro che aspira a dire una parola definitiva sullo scrittore torinese, affrontandone tutti gli aspetti con sguardo enciclopedico. Tra i maggiori studiosi di Levi, Belpoliti racconta la storia delle sue opere: come sono nate, quando sono state scritte, di cosa parlano; s’addentra nell’universo dell’autore, nei suoi molti mondi: dalla deportazione alla chimica, dalla scienza alla antropologia, dalla biologia all’etologia, dall’ebraismo alle idee politiche.

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Claudio Gallo

Levi si è interessato a molti campi dello scibile umano e ha praticato molte forme letterarie, dal memoriale alla poesia, dal romanzo all’autobiografia, dal saggio al racconto. Da questa narrazione corale emergono diversi volti che gli appartengono allo stesso modo. Con una loro autonomia, dieci fotografie intercalate nel testo fissano la vita dello scrittore, addentrandosi nella storia dei suoi libri, nella passione per i voli spaziali, gli animali, le parole, la linguistica, il lavoro, la scienza, la chimica. Pubblichiamo di seguito tre di quelle stazioni biografiche che scandiscono il percorso del libro.

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Primo Levi di fronte e di profilo
, di Marco Belpoliti

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Il camice come una pelle

La foto è stata scattata alla Siva, l’industria chimica dove Levi lavora, nel 1952. Accanto a Primo c’è Giovanna Balzaretti, anche lei chimica, che ha conosciuto negli Anni Trenta all’università. Carole Angier racconta che Gianna – così la chiama – era stata coinvolta da Levi nel laboratorio chimico della fabbrica torinese proprio all’inizio della sua attività di «verniciaio». L’aveva incontrata per caso su un tram; all’epoca era alla ricerca di un’assistente. Giovanna è molto qualificata, possiede anche una seconda laurea in farmacologia; probabilmente gli appare perfetta per il lavoro. I due ex studenti della facoltà di Chimica mettono a punto una resina che otterrà un notevole successo commerciale; si chiama Polivinilformale o pvf.

Quello che colpisce in questa istantanea è la postura del dottor Levi: appoggiato al banco di lavoro del laboratorio, le maniche arrotolate e le braccia scoperte, quelle braccia su cui è stato tatuato il numero ad Auschwitz. Giovanna Balzaretti è invece in piedi accanto a lui: dritta ed elegante, con una mano nella tasca. Primo guarda da un’altra parte; il suo camice sembra una pelle corrugata, mentre quello di Giovanna cade a pennello. Lo sguardo di Primo è appena triste. Sono questi gli anni di passaggio dalla scrittura del primo libro alla costruzione dell’identità professionale di chimico. Anni difficili, ma proficui. Le foto scattate sul luogo di lavoro, alla Siva, ci mostrano un Levi più disinvolto, meno rigido, meno in posa. Sorride e manifesta una gestualità più spontanea, più libera. Giovanni Tesio ricorda che una delle ultime volte che vide Levi, alla fine del 1986, in occasione della lunga intervista che preparava la «biografia autorizzata», Primo nel momento di congedarlo sulla porta di casa lo abbracciò, un gesto inusuale
che lo colpì.

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Il culto discreto della normalità

Nel 1963 «La tregua» vince il Campiello. Si tratta del primo successo letterario, la prima conferma del suo talento di scrittore. Per quanto il libro sia una continuazione di Se questo è un uomo, la parte centrale è la storia di un viaggio avventuroso ricco di episodi picareschi. Sono trascorsi poco meno di vent’anni dal ritorno da Monowitz-Auschwitz, e solo cinque dalla riedizione del suo primo libro presso Einaudi. Levi è ora un chimico che scrive, oltre naturalmente a un testimone dei campi nazisti. Lo intervistano i giornali e la televisione; finisce ritratto sul piccolo schermo, nella trasmissione culturale dell’epoca, L’Approdo. Questa immagine proviene dalle pagine del settimanale Gente, uno dei rotocalchi popolari più diffusi all’epoca. Vi compare per la prima volta la sua famiglia: la moglie Lucia, i figli Lisa e Renzo. In seguito non si vedranno sui giornali altre foto di Lucia e dei figli, nonostante Levi stia diventando noto.

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Primo si è sposato con Lucia Morpurgo, insegnante, nel 1947, l’anno in cui ha pubblicato Se questo è un uomo. Parla di lei in una delle prime poesie scritte dopo il ritorno, con grande gioia: l’ha salvato. L’anno dopo, nel 1948, nasce Lisa, nel 1957 Renzo. Sono tutti intorno a lui; la macchina per scrivere, il foglio nel rullo, la libreria con i volumi in perfetto ordine: ritratto dello scrittore con famiglia. Levi è in giacca e cravatta, sta parlando rivolto alla moglie in piedi appena sopra di lui; tiene la mano sollevata, mentre Lucia si china leggermente e gli sorride, un gesto d’assenso a quello che lui sta dicendo, un’espressione d’intesa sottolineata dal sorriso. Lisa, braccia conserte, guarda verso il padre, mentre Renzo fa capolino tra i due genitori e osserva il foglio: sembra leggere. Sul tavolo pochi oggetti: il portapenne, il raccoglitore metallico, il portacenere di vetro. Un momento di felicità fissato dalla macchina del fotografo, perfettamente in linea con il rotocalco dove compare. Gente è un giornale che si rivolge al pubblico femminile, alle signore, alle donne di casa. Racconta la vita e le disavventure delle celebrità dell’epoca: attrici, cantanti, attori, gli ex reali d’Italia.

Questo ritratto corrisponde alla figura dello scrittore non scrittore (la formula in verità è successiva) che Levi dà di sé all’epoca. È un chimico di successo, se così si può dire. Entrato nell’aprile del 1948 alla Siva, industria chimica specializzata in smalti isolanti per condutture elettriche, ne è diventato il direttore tecnico nel 1950, poi nel 1962 direttore generale. Ma non ha mai cessato di pensare di diventare scrittore a tempo pieno, come ha scritto nel 1959 al suo traduttore tedesco, Heinz Riedt: si augura d’andare presto in pensione per farlo. C’è un’aria di normalità in questa immagine e anche di consonanza e felicità: una rappresentazione volutamente rassicurante da offrire ai lettori, anche se i libri che Levi ha pubblicato sino a quel momento non lo sono affatto. Quello della «normalità» è un aspetto che ritorna nella sua vita e che non rigetterà mai; anzi, vi resterà a lungo attaccato. La fotografia su Gente ci comunica che lo scrittore non è necessariamente un eccentrico, un anticonformista. Levi, «un uomo normale di buona memoria».

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Dal laboratorio alla società

Un’immagine inconsueta di Primo Levi. Aspira voluttuosamente la sigaretta, l’avvicina alla bocca, appoggia il palmo sul viso e quasi socchiude gli occhi. Lo scatto di Giuseppe Varchetta è del 1979; coglie lo scrittore in questo gesto alla Festa dell’Unità di Milano; sta discutendo di Romanzo e lavoro con Paolo Volponi. Da poco ha pubblicato La chiave a stella (1978), e tre anni prima Il sistema periodico. Non lavora più alla Siva; finalmente è andato in pensione. Si è anche fatto crescere la barba, il che ora gli conferisce un’aria da vecchio saggio, quasi da profeta, per quanto Levi aborrisca questa possibile definizione: non gli piacciono i profeti. I capelli bianchi, la barba, il pizzetto, la calvizie che gli scopre la fronte, tutto questo suggerisce una personalità autorevole. Ci sono altri scatti di quell’incontro in cui si vede Levi che fa ricorso agli occhiali. In un’altra fotografia tiene in mano una lattina di birra e un bicchiere di plastica.

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La sua gestualità appare misurata, contenuta. Ha come subito una mutazione fisica rispetto al chimico del decennio precedente, il padre di famiglia della foto su Gente. Altri scatti di questo periodo lo colgono mentre parla in pubblico, gli occhiali appoggiati alla fronte, la sigaretta tra l’indice e il medio. Comincia ad assomigliare all’immagine che ora, a distanza di molto tempo, abbiamo di lui, quella degli ultimi anni prima della morte. Non mette più le giacche rigate degli Anni Sessanta, come in una foto con Pieralberto Marché del 1966, il regista e attore con cui ha portato in palcoscenico la versione teatrale di Se questo è un uomo.

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Ora è un ex chimico, e non tiene più una penna infilata nel taschino della giacca, tipica dei professionisti della sua generazione. La doppia identità, l’aspetto centauresco, di cui parla con i giornalisti dall’epoca di La tregua - chimico e scrittore, testimone e scrittore –, si sta pian piano attenuando. Ora parla da scrittore e attinge la materia delle sue storie da più di un invaso indifferentemente. Si è trasformato in un intellettuale impegnato. È intervenuto sui giornali su argomenti di attualità e di politica, dalla fuga di Kappler alla uccisione di Aldo Moro, la sua stessa presenza alla Festa dell’Unità è il segno di questo nuovo ruolo.

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