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La Stampa Rassegna Stampa
19.07.2015 L'incompetenza al potere: 'L'accordo con l'Iran è un modello per altre crisi'
Lo afferma Federica Mogherini, intervistata da Marco Zatterin

Testata: La Stampa
Data: 19 luglio 2015
Pagina: 11
Autore: Marco Zatterin
Titolo: «'L'accordo sul nucleare in Iran è un modello per le altre crisi'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/07/2015, a pag. 11, con il titolo "L'accordo sul nucleare in Iran è un modello per le altre crisi", l'intervista di Marco Zatterin a Federica Mogherini.

Secondo Federica Mogherini l'accordo che consente all'Iran di ristabilire piene relazioni diplomatiche, economiche e finanziarie con l'Occidente senza per questo dover rinunciare al proprio programma nucleare e al sostegno esplicito del terrorismo, è un «importante investimento nella pace e nella distensione», oltre che «una dimostrazione di ciò che l’Ue deve saper fare: appoggiare il multilateralismo, aver fede nella diplomazia, creare ponti tra potenze che non si parlano». La stessa diplomazia a tutti i costi - quindi cieca - che ha portato Chamberlain e Daladier, nel 1938, a firmare con la Germania di Hitler il Patto di Monaco.
L'incompetenza di Mogherini è senza limiti. Regaliamole almeno un libro di storia.

Ecco l'articolo:


Marco Zatterin, Federica Mogherini

La soddisfazione per l’intesa iraniana è ancora piena dopo quattro giorni di riconoscimenti internazionali, ma velata dall’amarezza per come l’Europa ha rischiato la Grexit. «Abbiamo la possibilità di lavorare a un nuovo inizio per il Medio Oriente e l’Asia minore», assicura Federica Mogherini. L’alto rappresentante per la politica estera Ue vede nell’accordo con Teheran un «importante investimento nella pace e nella distensione», oltre che «una dimostrazione di ciò che l’Ue deve saper fare: appoggiare il multilateralismo, aver fede nella diplomazia, creare ponti tra potenze che non si parlano». Si profilano opportunità inedite, anche sul fronte russo. «Abbiamo un formato possibile per le questioni aperte», ammette. Il pensiero va alla Siria, all’Ucraina. Ma di questo, interviene, «non se n’è ancora parlato». Servirà altro lavoro.
C’è anche un senso di rivincita, collettiva e personale nella voce di «Lady Pesc». «Sono molti, in Italia e no - ammette - che da anni negano l’esistenza di una politica estera europea. Talvolta hanno avuto ragione. Ora però s’è visto che, in ventotto e nel quadro comunitario, si possono raggiungere traguardi importanti». Il patto di martedì può cambiare gli eventi, e il senso. E scongiurarne altri.


L'accordo nucleare tra Occidente e Iran

Per Obama l’alternativa sarebbe stata la guerra. È vero?
«Cosa sarebbe successo se Zarif e io avessimo annunciato che non c’era accordo? Il confronto tecnico era concluso e non ci sarebbe stata un’altra estensione. Avremo dovuto ammettere che le volontà erano inconciliabili. Il dialogo sarebbe finito. L’Iran avrebbe ripreso l’attività nucleare senza che potessimo controllarla. Zarif sarebbe tornato in Patria come un perdente che aveva investito inutilmente nella trasparenza. Si sarebbero rafforzati i falchi. Ogni esito, anche il peggiore, sarebbe stato possibile».

Possiamo fidarci di Teheran?
«L’accordo è stato reso necessario dall’assenza di fiducia. L’Iran ha ogni interesse a realizzarlo, così come la comunità internazionale ha interesse ad appoggiarli. Sulle regole si può ricostruire la fiducia. Si può aprire un nuovo quadro».

Israele protesta. Dice che non sapete riconoscere i diavoli.
«In politica non ci sono angeli o diavoli, ma persone con agende politiche buone o cattive che possono cambiare col tempo. Quella iraniana è diversa da sei anni fa. Il pericolo numero uno della regione è il sovrapporsi di diversi stati di crisi. Ho spiegato a Netanyahu che tutto era nell’interesse d’Israele e dell’intera regione. Non aumenta il rischio. Lo diminuisce».

Come l’avrà presa l’Isis?
«Il rafforzamento possibile di un attore regionale impegnato a contrastare la loro espansione non può essere una buona nuova. Ciò che spaventa di più l’Isis è l’Ue che lavora insieme con gli arabi. Il terrorismo si nutre di divisioni e paura».

Che ruolo avete avuto nella trattativa?
«Siamo stati la regia. Il rapporto fra Usa e Iran era drammatico e simbolico, veniva da 40 anni di storia difficile. L’Europa ha una consuetudine molto più profonda con Teheran. Abbiamo deciso cosa andava fatto e dove, fissato i tempi, le strategie. Siamo stati noi a dire quali erano i limiti».

Mosca ha ben cooperato. Cosa cambia per l’Ucraina?
«Due cose. Una è che la vittoria di multilateralismo e diplomazia ci suggerisce come poter affrontare altre crisi. L’altra è che il ruolo costruttivo e determinante russo - come l’intesa fra i grandi del consiglio di sicurezza Onu - scatena un’energia che potrebbe essere utilizzata su altri versanti».

Vuol dire Siria e Ucraina?
«Non ne abbiamo parlato. Una delle lezioni dell’accordo è che con la Russia si può operare su tavolo diverso dall’uso della forza. Si può immaginare un lavoro comune anche per l’Ucraina che poi è quello che l’accordo di Minsk implica».

Mentre eravate a Vienna è arrivata l’intesa libica.
«Anche questo è un nuovo inizio e spero che Tobruk possa aggiungersi. Quando ci sarà un governo di unità nazionale, avrà tutto il sostegno europeo».

Direbbe che l’accordo greco è pure un nuovo inizio?
«Si è evitato il peggio, una Grexit disastrosa per l’Ue prima che per la Grecia. Quanto alla nostra Unione, il “nuovo inizio” era avviato, con una Commissione consapevole che l’Europa ha bisogno di investimenti e crescita, e aveva preso decisioni importanti in questo senso. È amaro il confronto tra quel “nuovo inizio” e il modo in cui sono state gestite queste ultime settimane. Si poteva chiudere prima e meglio se ci fossero stati meno errori».

Perché?
«Si è creata una divisione profonda che va oltre gli Stati. Due idee di Europa si scontrano, mentre l’Ue ha perso il senso di se stessa. Da anni coltiviamo una schizofrenia che pone le capitali contro Bruxelles. Ora ne vediamo i frutti. Si scaricano le responsabilità sull’Unione e poi, quando arrivano le risposte, sono le capitali che non sono pronte ad assumerne le conseguenze».

Un europeo su tre pensa che siete contro di lui. È dura.
«Dovremmo anzitutto occuparci degli altri due terzi, quelli che provano impazienza davanti alle difficoltà ma si rivolgono a noi per invocare risposte su questioni importanti, come economia e sicurezza. L’altro terzo, quello che sceglie l’antisistema, comincia a vedere che da lì non arrivano soluzioni, ma solo la rappresentazione di frustrazione e rabbia. L’Ue è a un bivio. Deve riuscire a dare risposte, in modo adeguato e veloce. Sarà forte se gli europei la renderanno forte. Solo così potrà soddisfare i cittadini. Altrimenti, la frustrazione diventa rabbia e le ripercussioni possono essere drammatiche».

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