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La Stampa Rassegna Stampa
21.05.2015 Irrigazione goccia a goccia e agri-tech: così Israele ha rivoluzionato l'agricoltura
Analisi di Maurizio Molinari, Stefano Rizzato

Testata: La Stampa
Data: 21 maggio 2015
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari - Stefano Rizzato
Titolo: «Per salvare il Giordano grandi 'trasfusioni' dal lago e agricoltura sempre più hi-tech - Irrigazione goccia a goccia e controlli con i sensori: da Expo lezioni per non sprecare acqua»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/05/2015, a pag. VIII-IX, con il titolo "Per salvare il Giordano grandi 'trasfusioni' dal lago e agricoltura sempre più hi-tech", l'analisi di Maurizio Molinari; a pag. VI-VII, con il titolo "Irrigazione goccia a goccia e controlli con i sensori: da Expo lezioni per non sprecare acqua", l'analisi di Stefano Rizzato.

Ecco gli articoli:

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Israele all'Expo di Milano

Maurizio Molinari: "Per salvare il Giordano grandi 'trasfusioni' dal lago e agricoltura sempre più hi-tech"

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Maurizio Molinari

Con l’apertura della diga del lago di Tiberiade, nel pomeriggio di domenica, è iniziato il piano del governo israeliano per rinvigorire e risanare il Giordano, un fiume storico ma inquinato e carente di acqua. Il progetto prevede l’immissione di circa mille metri cubi d’acqua ogni ora per arrivare a 30 milioni di metri cubi l’anno, destinati ad aumentare il livello delle acque, risanarle dall’inquinamento e contribuire all’opera dei coltivatori, israeliani e giordani, che convivono nella valle. Contemporaneamente all’immissione dell’acqua da Tiberiade - dove il lago ha aumentato il livello grazie agli ultimi anni di forti precipitazioni - verranno asportate acque inquinate e fognature, secondo un calendario di interventi dell’«Authority dell’Acqua».

Dalla creazione della diga di Deganya, nel 1964, è la prima volta che l’acqua di Tiberiade viene immessa nel Giordano in tali quantità, puntando a raggiungere anche la regioni di più lontane, basse a aride. «Il sistema idrico israeliano si è risollevato dalla crisi - spiega Alexander Kushnir, commissario delle Acque - grazie ad un network di impianti di desalinizzazione, purificazione e riciclo delle acque unito ad una maggiore consapevolezza della popolazione nell’evitare gli sprechi e ciò consente di aumentare l’acqua immessa in Natura, anche grazie alle restaurazione di fonti idriche». Varato nel 2009 come piano per «la riabilitazione del Giordano», si basa sulla collaborazione fra parchi nazionali, Fondo nazionale ebraico (Kkl) e consigli comunali nell’Emek Israel, la valle del Giordano. Obiettivo primario del progetto è asportare le acque inquinate incanalandole in tre direzioni: rifiuti, alta e bassa salinizzazione. E al termine saranno adoperate tutte per irrigare campi agricoli, su entrambi i lati del confine, senza restituirle al fiume.

L’acqua proveniente dalle fonti naturali di Tiberiade verrà invece separata nelle condotte ed adoperata per l’allevamento di pesci. Ciò significa che circa 17-20 milioni di metri cubi d’acqua verranno immessi e, sommando l’acqua desalinizzata, si arriverà a superare 30 milioni. «Stiamo restaurando il sistema idrico israeliano» spiega Shaul Goldestein, direttore generale dei parchi nazionali, secondo il quale «la chiave del successo è nella collaborazione fra tutti gli attori coinvolti». Shimon Ben-Hamo, ceo della compagnia idrica «Mekorot», parla di «rivoluzione nella gestione delle acque» possibile «anzitutto perché siamo riusciti a immettere sul mercato quantità importanti di acqua desalinizzata» come fino a pochi anni fa era impossibile fare. «Restaurando il Giordano le conseguenze saranno numerose e positive» assicura Amir Peretz, ex ministro per l’Ambiente, parlando di «un progetto che completa l’opera di recupero iniziata, in località minori, su specchi d’acqua avvicinabili dai cittadini». L’uso dell’acqua desalinizzata avviene con le tecniche di colture hi-tech illustrate dal padiglione israeliano all’Expo di Milano: architettura verticale e 80 per cento di risparmi.

Ma c’è chi si oppone al piano, come la ong «Amici della Terra in Medio Oriente» secondo cui 30 milioni di metri cubi «non bastano» per resuscitare un fiume «a cui ne servirebbero 400-600 l’anno» così suddivisi: 220 da Israele, 90 dalla Giordania e 100 dalla Siria. Saad Abu Hammour, capo dell’Authority della Giordania sul fiume, plaude al progetto israeliano affermando che «le nostre nazioni lavorano assieme, in un team congiunto». E’ un aspetto a cui plaude anche Gidon Bromberg, direttore israeliano di «Amici della Terra in Medio Oriente», perché «da almeno dieci anni ci battiamo per una campagna di sensibilizzazione fra i giordani sulla sorte del fiume». Al tempo stesso però è polemica fra ambientalisti ed agricoltori sull’ipotesi di ridurre del 30 per cento il consumo dell’acqua nei campi a valle del Giordano. Gli agricoltori lo ritengono un obiettivo «impossibile da raggiungere» mentre per gli ambientalisti è «indispensabile a far rinascere il Giordano».

Al centro della disputa c’è uno studio secondo cui ogni anno il 97 per cento dei 1250 milioni di metri cubi d’acqua del fiume vengono adoperati da Israele, Siria e Giordania per l’agricoltura e Gilad Safier, degli «Amici della Terra» ritiene che sia un tasso di sfruttamento «incompatibile con la volontà di salvare il fiume».

Stefano Rizzato: "Irrigazione goccia a goccia e controlli con i sensori: da Expo lezioni per non sprecare acqua"

Il futuro è in una goccia. In una goccia strappata allo spreco. Che non evapora e cade solo dove è necessario, dove c’è bisogno. Perché è lì, sul consumo parsimonioso e preciso dell’acqua, che si gioca gran parte della partita della sostenibilità agricola globale. È lì che l’unione tra innovazione e buone pratiche può portarci lontano, per prevenire crisi e conflitti. E per imparare a produrre cibo senza togliere a tutta la comunità l’80 per cento dell’acqua di cui dispone, come avviene nella California del 2015 e della grande siccità. Sono temi e obiettivi che non potevano che essere al centro di Expo, e lo sono soprattutto in positivo. Ci sono gli allarmi sullo sperpero e sul rischio di rimanere a secco, ma c’è soprattutto un messaggio di ottimismo: cambiare registro sull’uso dell’acqua è possibile. Aiutati dalla tecnologia e dal buon senso.

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Ce n’è per tutti?
L’esposizione milanese ci ricorda ad ogni passo che l’acqua è l’elemento che più di tutti deve stare nell’equazione del suo motto: «Nutrire il pianeta». Lo fa simbolicamente fin dalla sua struttura, racchiusa com’è - quasi fosse un’isola - dentro un perimetro di canali. Ma su questo tema il simbolo più potente resta quello proposto dalla Svizzera. Il padiglione elvetico è semplice, meno spettacolare di altri, ma dall’enorme valore concreto. «Ce n’è per tutti?», si legge sulla facciata. E la struttura è fatta di quattro grandi torri, riempite ciascuna di un prodotto diverso: rondelle di mele, sale delle Alpi, caffè e bicchieri d’acqua riutilizzabili. Chiunque può entrare, salire sulle torri, e poi portare via qualcosa. Finché non sarà tutto finito. A tre settimane dall’inizio di Expo, la colonna azzurra è già scesa parecchio. Facile immaginarlo: con l’estate, quella dell’acqua rischia di essere la prima torre a svuotarsi del tutto. Solo un caso?

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Un ugello per l'irrigazione goccia a goccia

Il Medio Oriente insegna
In alcune sue parti Expo può sembrare un grande luna park. Ogni nazione ha scelto se raccontare più se stessa o più il tema del cibo e della nutrizione. «Ci sono Paesi che non fanno nemmeno cenno all’acqua e alle sfide che la riguardano, o che la inseriscono nel proprio stand solo come un elemento del paesaggio» dice Eleonora Pietretti, uno dei giovani esperti scelti dall’associazione mondiale degli agronomi per le proprie visite guidate a Expo. «I padiglioni che affrontano meglio il tema - dice - sono quelli dei Paesi che soffrono la carenza d’acqua e che quindi apprezzano meglio il valore della risorsa. Così nazioni come Oman, Kuwait, Qatar e Israele danno molte informazioni interessanti in materia. E quello che prevale è un messaggio positivo. Si può imparare a limitare gli sprechi e a rendere più razionale il consumo d’acqua. A drenare il terreno dove si pone un rischio idrogeologico. E a sfruttare tecnologie innovative come la microirrigazione e la desalinizzazione».

Tecnologie e banda larga
Come si confà ad un’esposizione universale, anche qui e anche quando si tratta di acqua l’elemento tecnologico è preponderante. Expo 2015 può essere percorsa anche in questa chiave: come un affascinante itinerario dentro l’innovazione che aiuterà il mondo a non rimanere all’asciutto. La tappa obbligata, quella da cui partire, è il padiglione di Israele. «È la nazione che per prima ha messo a punto delle soluzioni per l’obiettivo più decisivo di tutti: calibrare la quantità d’acqua usata in agricoltura in funzione esatta del fabbisogno del terreno. Un tema su cui in Italia abbiamo senz’altro da imparare». A dirlo è Andrea Sisti, presidente della Conaf e direttore del padiglione La Fattoria Globale. «Il valore di Expo - prosegue - è che non si esaurisce in seminari e incontri per addetti ai lavori, ma offre a tutti la possibilità di confrontarsi e scoprire nuove strade di sostenibilità. Come quelle della desalinizzazione dell’acqua marina, una strategia molto interessante usata in Emirati Arabi, Oman e Qatar. In generale la direzione prevalente è quella dell’agricoltura di precisione, che non spreca una goccia, usa idrometri per misurare in tempo reale l’umidità del suolo e centraline meteorologiche installate sul campo e sempre connesse. Le tecnologie sono già abbastanza consolidate, ma per realizzarle anche in Italia resta un’esigenza fondamentale ancora non realizzata: estendere l’internet a banda larga anche nelle zone rurali».

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