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La Stampa Rassegna Stampa
27.03.2015 Yemen: è l'ora del riscatto sunnita contro l'espansionismo di Teheran
Due servizi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 27 marzo 2015
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Yemen, raid dell'Arabia Saudita per fermare i ribelli sciiti - Re Salman va alla guerra: è l'ora del 'riscatto sunnita'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/03/2015, a pag. 15, con i titoli "Yemen, raid dell'Arabia Saudita per fermare i ribelli sciiti" e "Re Salman va alla guerra: è l'ora del 'riscatto sunnita' ", due servizi di Maurizio Molinari.

A destra: l'impero iraniano: Siria, Iraq, Libano, Yemen

Ecco gli articoli:


Maurizio Molinari e il suo recente libro

"Yemen, raid dell'Arabia Saudita per fermare i ribelli sciiti"

Bombe su Sanaa, attacchi missilistici alle basi aeree, bloccati i porti sullo Shatt al-Arab e 150 mila soldati lungo i confini pronti ad entrare: l’Arabia Saudita guida un intervento multinazionale arabo in Yemen contro i ribelli houthi che minacciano l’«escalation militare» ottenendo l’immediato sostegno dell’Iran. L’attacco inizia alla mezzanotte di ieri con cento jet sauditi impegnati contro le basi dei ribelli houthi.

L’attacco
Riad lancia anche un imprecisato numero di missili, schierando le navi davanti ai porti yemeniti che vengono chiusi. I comandi sauditi affermano di avere «il controllo dei cieli» e prevedono di «continuare gli attacchi fino ad indebolire le difese dei ribelli e dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh loro alleato» al punto da consentire un intervento di terra. L’operazione «Decisive Storm» (Tempesta decisiva) vede i sauditi guidare una forza aerea congiunta a cui partecipano Emirati, Bahrein, Kuwait, Qatar, Giordania, Marocco e Sudan. Fra gli Stati del Golfo solo l’Oman non aderisce. L’alleato più importante di Riad è l’Egitto di Abdel Fattah Al-Sisi, disposto a partecipare ad un intervento di terra assieme a Giordania, Sudan e Pakistan. Quattro navi da guerra egiziane hanno attraversato il Canale di Suez dirette verso il Golfo di Aden.

Controrivoluzione
Ad accomunare questa coalizione di Paesi sunniti è la volontà di reinsediare il deposto presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, deposto in febbraio dai ribelli houthi di etnia zaidy - assimilata agli sciiti - e sostenuti da Teheran. Anche Ankara è con Riad. «Inaccettabile il progetto dell’Iran di dominare il mondo arabo» afferma il presidente Recep Tayyp Erdogan. La coesione nella Lega Araba porta all’accordo di Sharm el-Sheik fra i ministri della Difesa: «Nasce una forza araba congiunta, interverremo ovunque un Paese è minacciato». Come dire, lo Yemen potrebbe essere solo l’inizio.

La risposta houthi arriva con il portavoce che parla di «lampante aggressione» minacciando per ritorsione «un’escalation di attacchi». Teheran è in sintonia: «Vogliono la guerra civile in Yemen, la crisi può allargarsi» afferma Javad Zarif, titolare degli Esteri, chiedendo «l’immediata fine degli attacchi» e proponendo un «dialogo nazionale a Sana’a». Gli altri alleati dell’Iran si schierano in fretta. Per il siriano Bashar Assad «la famiglia reale saudita aggredisce uno Stato sovrano» e gli Hezbollah libanesi parlano di «avventura saudita poco saggia».

La Casa Bianca
Washington sostiene Riad: «Garantiamo sostegno logistico e di intelligence alle operazioni» afferma la Casa Bianca, precisando però che «nessun nostro militare è coinvolto negli attacchi». Ma sul piano politico l’intesa c’è: «Gli Stati Uniti condannano le azioni militari houthi contro il governo legittimamente eletto dello Yemen» afferma Bernardette Meehan, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale. E il Segretaio di Stato Usa, Kerry, parla in audioconferenza con i Paesi sunniti «ringraziandoli per l’iniziativa adottata». La contromossa del Cremlino è chiedere «un immediato cessate il fuoco» mentre il premier britannico Cameron chiama l’iraniano Rohani: «Nessuno appoggi i ribelli». Intanto Mansour Hadi, fuggito mercoledì da Aden, è giunto a Riad, sperando di tornare a Sana’a.

"Re Salman va alla guerra: è l'ora del 'riscatto sunnita' "


Il re saudita Salman bin Abdul Aziz

Guidando una coalizione arabo-sunnita alla riconquista dello Yemen il re saudita Salman si propone di bloccare l’avanzata delle milizie sciite in Medio Oriente e il conseguente allargamento della sfera di influenza iraniana. Salman bin Abdulaziz Al Saud è salito al trono il 23 gennaio scorso ma nei quattro anni precedenti è stato ministro della Difesa di Riad - oltre che principe ereditario - trovandosi a subire l’impatto dell’offensiva sciita su più fronti: in Siria con il consolidamento di Bashar Assad grazie all’impegno di Hezbollah libanesi e milizie iraniane; in Iraq con la scelta dei premier sciiti di marginalizzare la minoranza sunnita spingendola verso Isis; in Bahrein con una rivolta di piazza sostenuta da Teheran; in Yemen con la ribellione houthi contro il governo di Sana’a.

Il fronte sciita
Davanti ai progressi sciiti in più Paesi, Salman ha tentato di riconsegnare l’iniziativa ai sunniti promuovendo - nel 2013 - la creazione della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. Ma quando, oramai divenuto re, si è accorto che lo sviluppo di tale coalizione sta portando Iran e Stati Uniti a combattere sullo stesso fronte nel Nord dell’Iraq, Salman ha deciso di creare una coalizione militare sunnita capace di intervenire da sola contro gli sciiti. L’accelerazione dell’avanzata degli houthi in Yemen, nel mese di febbraio, ha creato il «casus belli» che il nuovo sovrano ha discusso in più occasioni con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, il re giordano Abdullah e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Dieci giorni fa Al-Sisi ed Erdogan si sono incontrati a Riad proprio con Salman per discutere le opzioni yemenite.

Quanto avvenuto nelle ultime 24 ore dimostra che la tela diplomatica e militare tessuta dal sovrano produce frutti. La coalizione militare sunnita - composta da almeno dieci Paesi - è fondata sulla «difesa della legalità», come dicono i portavoci di Riad, ovvero «ripristinare il governo del presidente Mansour Hadi» intervenendo contro i ribelli houthi «sostenuti dall’Iran». E si basa sull’intesa con l’Egitto per un intervento di terra «dopo i bombardamenti aerei per fiaccare le difese nemiche» facendo entrare reparti sauditi via terra e unità egiziane dal mare. L’avallo di Erdogan e il «sostegno logistico Usa», come lo definisce Al-Jubair ambasciatore saudita a Washington, danno ulteriore spessore ad un intervento multilaterale che ha il sostegno della maggior parte dei membri della Lega Araba e del Consiglio di cooperazione del Golfo pur in assenza di una pronunciamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Umiliare gli houthi
Ciò significa che Salman vuole trasformare lo Yemen nel momento di inizio del «riscatto del fronte sunnita» - come afferma una fonte diplomatica al Cairo - puntando ad infliggere agli houthi una umiliazione talmente evidente da trasformarsi in minaccia nei confronti delle milizie sciite che dominano la scena in Iraq, Siria e Libano. Si spiega così l’imponente schieramento di forze: 150 mila uomini, una flotta di 100 aerei, la Marina davanti ai porti yemeniti e la disponibilità ad «aumentare l’impegno se necessario» come afferma l’attuale ministro della Difesa saudita, Mohammad bin Salman Al Saud, figlio del re. In ultima istanza, il nemico che Salman vuole battere è Qassem Soleimani ovvero il generale delle Guardie della rivoluzione iraniana, capo della Forza Al Qods, che ha creato a partire dal 2011, il network di milizie sciite siriane, libanesi, irachene, iraniane, afghane e yemenite adoperate per assumere il controllo di aree geografiche di «Stati falliti» nella regione. La sfida dunque è all’Iran di Ali Khamenei che, in Yemen oggi come in Bahrein nel 2011, ha tentato di portare le milizie alleate fino ai confini sauditi. Se nel 2011 Salman, ministro della Difesa, si limitò ad inviare colonne di tank - assieme agli Emirati - contro i manifestanti, ora inizia una vera guerra per Sana’a. Ma non è tutto: l’attacco ha anche un obiettivo strategico più ambizioso, trasformare lo Yemen nel corto circuito capace di far franare il riavvicinamento Usa-Iran sul nucleare perché la difesa della «legittimità» di Hadi spinge Washington lontano da Teheran.

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