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La Stampa Rassegna Stampa
18.02.2015 L'Egitto e la guerra al terrorismo su due fronti: Stato Islamico e Fratellanza Musulmana
Cronaca e commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 18 febbraio 2015
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Diffidenze libiche e jihadisti in casa: Al Sisi ora teme la guerra su due fronti»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/02/2015, a pag. 5, con il titolo "Diffidenze libiche e jihadisti in casa: Al Sisi ora teme la guerra su due fronti", la cronaca e commento di Maurizio Molinari.


Maurizio Molinari


Al Cairo i cristiani copti hanno sfilato dopo il massacro di 21 "infedeli" da parte dello Stato Islamico a Derna, in Libia

Rischi militari, disaccordi diplomatici e l’incognita dei Fratelli Musulmani complicano l’intento del presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi di dare vita a una coalizione internazionale anti-Isis in Libia. I rischi militari hanno a che vedere con lo scenario del possibile intervento: al momento Il Cairo adopera i jet, ma se non bastassero potrebbe essere obbligata a effettuare operazioni di truppe speciali come quelle che, secondo «Al Hayat», la Giordania di re Abdullah prepara in Siria e Iraq per «eliminare i leader di Isis».

Il pupillo Haftar
È uno scenario di escalation che, secondo l’analista britannico Richard Galustian con alle spalle molti anni sul terreno in Libia, «potrebbe fare il gioco di Isis, portando Al Sisi ad impantanarsi fra le oasi jihadiste della Cirenaica». Non a caso Ahmed Al-Mosmari, portavoce delle forze libiche fedeli al governo di Tobruk, avverte Il Cairo: «Non ci servono truppe di terra straniere ma solo sostegno aereo». E per rafforzare il messaggio Saqr Al-Geroushi, capo dell’aviazione libica, sottolinea come «solo i raid egiziani avvengono con il nostro consenso». Dietro queste dichiarazioni da parte delle forze libiche che Il Cairo si propone di sostenere ci sono due elementi convergenti: da un lato l’insofferenza del governo per la scelta egiziana di schierare - da almeno tre mesi - truppe a cavallo del confine creando una zona cuscinetto e dall’altro il timore che un intervento di terra del Raiss faccia emergere il generale Khalifa Haftar come nuovo leader libico, risultando determinante nei nuovi equilibri di potere.

La grande coalizione araba
Nel tentativo di arginare il rischio di precipitare nel ginepraio delle fazioni libiche, Il Cairo fa sapere di puntare alla creazione di una «grande coalizione araba» per sradicare Isis da Cirenaica, Tripolitania e Fezzan ma anche su questo fronte i grattacapi non mancano: il ministro degli Esteri tunisino Moktar Chaouachi si dice a favore di una «soluzione diplomatica e non militare» mentre Algeria e Marocco preferiscono un basso profilo che suggerisce prudenza davanti all’accelerazione egiziana. Come se non bastasse anche Londra mette le mani avanti, facendo sapere che «per il momento» non prevede di partecipare a raid contro Isis in Libia come già avviene in Iraq. Ciò significa che, se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovesse dare luce verde, saranno Egitto e Francia ad assumersi le maggiori responsabilità di un intervento dai contorni ancora da definire, con una coalizione tutta da costruire. Ma non è tutto perché il pericolo maggiore per Al Sisi viene dall’interno dell’Egitto ovvero dalla possibilità che i gruppi di Fratelli Musulmani più ostili al governo possano sfruttare l’intervento in Libia per aprire un fronte di proteste, azioni di disturbo e scontri destinato a mettere a dura prova un apparato di sicurezza già alle prese con un’emergenza su due fronti: con Isis sui confini occidentali e con i jihadisti di Bayit Al Maqqdis su quelli orientali.

Proprio al fine di prevenire colpi di mano dei Fratelli Musulmani, è stata ieri annunciata al Cairo la seconda udienza del processo militare all’ex «guida suprema» Mohammed Badie e ad altri 198 militanti, facendo intendere che rischiano pene severe. I timori sulla sicurezza sono evidenziati da quanto avviene nella penisola del Sinai, teatro di una guerriglia islamica riuscita finora a sopravvivere all’invio di almeno due divisioni corazzate dell’esercito egiziano. I ripetuti attacchi dei jihadisti del Sinai, fedeli a Isis e sostenuti da alcune tribù beduine, hanno causato pesanti perdite alle forze governative, lasciando intendere quali sono le difficoltà tattiche a cui un intervento di terra in Libia va incontro.

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