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La Stampa Rassegna Stampa
26.01.2015 Le parole sono pietre: il terrorismo è islamico, non islamista
Ma Francesca Paci si piega al politicamente corretto

Testata: La Stampa
Data: 26 gennaio 2015
Pagina: 25
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Di cosa parliamo quando parliamo di islam»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/01/2015, a pag. 25, con il titolo "Di cosa parliamo quando parliamo di islam", il glossario di Francesca Paci.

Il glossario di Francesca Paci contiene errori evidenti.
In particolare, Paci sostiene che il terrorismo condotto da islamici sulla base della propria lettura del Corano non debba essere definito "islamico". Un paradosso ormai scalfito dalla realtà che abbiamo di fronte, in cui gli attentatori (islamici) trovano il motivo della propria violenza nell'islam. Non voler definire "islamico" tutto questo è un fuorviante omaggio a un politically correct  (per esempio abbracciato in Francia, dove lo Stato Islamico viene definito esclusivamente con la sigla araba Daesh) che non ha più ragione di esistere.
Inoltre, Paci definisce l'islam una religione e niente altro. L'islam è una religione, ma non nel senso in cui lo sono ebraismo e cristianesimo. Queste ultime, infatti, già dal momento della propria nascita, si sono affiancate a un potere politico preesistente. L'islam, invece, nasce nella penisola arabica del VII secolo in assenza di qualsivoglia potere politico, e perciò lo crea con l'istituzione religiosa stessa. Di conseguenza politica e religione nella cultura islamica sono un tutt'uno indisgiungibile, il potere statale è conseguentemente teocratico, la legge è la shari'a. Pci vivrebbe in un paese regolato dalla legge ISLAMICA detta SHARI'A ? Sicuramente no, e allora perchè cerca di ripulire l'islam con una operazione di "whitewashing" ?

Ecco l'articolo:


"E questi chi sono?"
"Infedeli delle Nazioni Unite... rifiutavano di credere che l'islam fosse una religione di pace"


Francesca Paci

Pochi giorni dopo l'attentato alla rivista Charlie Hebdo ho ricevuto un'email in cui la Carta di Roma mi chiedeva «una specie di glossario» su termini come «islamico», «islamista», «jihadista», «arabo», «musulmano», troppo spesso erroneamente usati come sinonimi nei tg, sui giornali, tra le poltrone dei talk-show. Per quanto strano possa sembrare, sostengono gli esperti di deontologia giornalistica, lo zigzagare del lessico tra il politicamente corretto, il politicamente scorretto e l'insulto ha finito col confondere anche chi con le parole lavora ogni giorno (con le parole in generale e con quelle relative all'islam in particolare).

Negli ultimi 14 anni siamo passati dall'ossessione di dissociarci dallo scontro delle civiltà dissociando tout-court il mondo musulmano dai kamikaze delle Torri Gemelle, fino al graduale sdoganamento dell'ingiuria vestita da critica. C'è stato un tempo in cui l'autocensura avrebbe impedito ai più di descrivere un immigrato come «islamico» (a meno che non fosse necessario) per non accostarlo a Bin Laden.

Il sangue di Charlie Hebdo pare aver decretato il «liberi tutti»: oggi è quasi normale definire un gruppo terrorista «islamico» laddove l'aggettivo islamico è neutro e non ha connotati violenti (ragion per cui non offende un immigrato fedele del Profeta). Sarebbe più corretto parlare invece di terroristi «jihadisti» (dediti al jihad), perché il termine «islamista» indica chi fa un uso politico dell'islam ma non necessariamente col kalashnikov in mano (quello del presidente turco Erdogan può dirsi un partito islamista così come il movimento dei Fratelli musulmani).

Ci stiamo perdendo nell'ennesimo labirinto multiculturale? La domanda non è affatto retorica se la Francia, che oscilla tra la letteratura critica di uno Houellebecq e l'islamofobia razzista del Front National, ha stabilito ufficialmente di non chiamare più il Califfato «Stato Islamico» ma col suo acronimo arabo «Daesh» perché l'espressione «Stato Islamico» getterebbe una luce negativa sull'islam associandolo in qualche modo ai killer di al Baghdadi.

II linguaggio è lo specchio di una società, e quella europea sembra reagire alla minaccia terroristica in modo assai più scomposto dell'America post 11 settembre 2001. Basti pensare al dibattito precedente all'approvazione del Patriot Act da parte di George W. Bush e alla facilità con cui il Vecchio continente s'è messo a discutere di sospensione di Schengen, arresto di presunti terroristi, visti premio per gli insider che collaborano. Basti pensare ai rarissimi incidenti etnici seguiti negli Stati Uniti alle Torri Gemelle e ai 100 attacchi alle moschee francesi nei 2 giorni dopo Charlie Hebdo (l'estrema correttezza politica porta però i media Usa all'eccesso di tenersi lontanissimi dalle vignette su Maometto).

Di cosa parliamo allora quando parliamo di islam? Diamo nomi alla paura con il rischio di dover poi fare realmente i conti con quei nomi. Il glossario Islamico non vuol dire islamista

Islam
E una religione monoteista, una delle tre religioni rivelate o anche dette «del Libro» (insieme con cristianesimo e ebraismo). Nasce nel VII secolo d.C. nella penisola arabica per opera di Maometto, un umile cammelliere a cui Dio avrebbe trasmesso oralmente il Corano e che i musulmani considerano l'ultimo profeta (i musulmani considerano un profeta anche Gesù).

Islamismo
Indica l'Islam inteso come ideologia politica. Islamista è un aggettivo diverso da islamico, nonostante spesso venga utilizzato come sinonimo. Mentre infatti la parola islamico, così come musulmano, indica il fedele, il luogo di culto, un rito, una pratica o qualsiasi ambito relativo alla sfera religiosa, dire «islamista» significa far riferimento esplicito alla dimensione politica dell'islam.

Jihad
In arabo è maschile e si dice il Jihad: significa «sforzo massimo». Nell'Islam ci sono due forme di Jihad: il grande Jihad, che indica lo sforzo individuale massimo per la crescita spirituale, e il piccolo Jihad ossia la guerra santa, che può essere difensivo o offensivo. Jihad è anche un nome proprio.

Jihadista
È l'espressione più corretta per indicare chi va a combattere per esempio con il Califfato in Siria. Il termine islamista, infatti, sebbene usato per indicare i movimenti integralisti (e a quello scopo è comunque più appropriato di islamico) si riferisce all'islam politico che non è necessariamente jihadista.

Mujaheddin
È la parola araba per indicare chi combatte il Jihad, significa dunque combattente.

Wahabismo
Movimento religioso interno all'islam sunnita fondato nel XVIII secolo in Arabia Saudita e basato sulla dottrina hanbalita. Quella hanbalita è una delle 4 scuole religiose dell'islam, la più rigorosa e integralista. I gruppi terroristi come al Qaeda ma anche lo Stato islamico sono d'ispirazione wahabita.

Umma
È la parola araba che indica la grande famiglia del Profeta, vale a dire la comunità musulmana nella sua dimensione globale. Il forte senso di appartenenza alla Umma è quello che spesso viene imputato ai musulmani perché si teme siano più fedeli alla propria religione (una comunità transnazionale) che al Paese di cui sono cittadini.

Corano
È il testo di riferimento dell'Islam, il più sacro perché dettato da Dio a Maometto e viene dunque considerato ininterpretabile, vale a dire che a rigor di logica va preso così com'è stato trascritto nel VII secolo (da qui gli infiniti problemi circa la possibilità d'interpretare o meno il testo e aggiornarlo al presente, istanza riformista che si è sempre scontrata con le scuole più ortodosse). È diviso in 114 capitoli detti sure e a loro volta composti di 6236 versetti.

Sunniti e sciiti
Sono i due grandi rami in cui è diviso l'islam sin dai primi tempi della successione al Profeta. Alla morte di Maometto la Umma si divise tra i sunniti, gli ortodossi, seguaci della Sunna (la tradizione), convinti che la successione spettasse ai governatori detti Califfi, e gli sciiti, la fazione di Ali, il genero di Maometto che avendo sposato la figlia del Profeta apparteneva alla medesima famiglia ed era dunque considerato discendente per successione di sangue. I sunniti sono la maggioranza del mondo musulmano (circa l'85%). Gli sciiti si trovano soprattutto in Iran, Libano, Bahrein, Yemen.

Sharia
È la legge islamica che può essere interpretata in modo metafisico o letterale. Quando viene interpretata in modo letterale diventa (in potenza o in pratica) il codice comportamentale di uno Stato. Le fonti della Sharia sono soprattutto il Corano e la Sunna (la raccolta degli hadith, i detti del Profeta). La Sharia, costruita nel VII-VIII secolo, prevede tra l'altro il taglio della mano per i ladri, la lapidazione per le adultere, la legge del taglione (occhio per occhio) e diverse altre forme di giustizia sommaria che però nella realtà vengono applicate in pochissimi casi come nello Stato islamico in Siria, nell'Afghanistan dei talebani, in una certa misura in Arabia Saudita.

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