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La Stampa Rassegna Stampa
21.11.2014 Anp: 'Serve maggiore coinvolgimento di Hamas'. Ecco il volto dei 'moderati'
Maurizio Molinari intervista Yasser Abed Rabbo, consigliere di Abu Mazen

Testata: La Stampa
Data: 21 novembre 2014
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'L'Ue torni protagonista: porti Israele e Palestina a una conferenza di pace'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/11/2014, a pag. 13, con il titolo "L'Ue torni protagonista: porti Israele e Palestina a una conferenza di pace", l'intervista di Maurizio Molinari a Yasser Abed Rabbo, stretto consigliere di Abu Mazen.

A destra: gli eloquenti simboli di Fatah (sinistra) e Hamas (destra) tra armi, cupoloni di moschea e "Palestina" dal Giordano al Mediterraneo

Grazie all'intervista di Maurizio Molinari conosciamo il pensiero dell'Anp e di Abu Mazen, suo leader. Ecco cosa dichiara il "moderato" dell'Anp Rabbo:

1) Esalta i Parlamenti dei Paesi europei che hanno nelle settimane scorse "riconosciuto" lo Stato di Palestina. Le virgolette sono d'obbligo, visto che la Palestina come Stato non esiste. Come riconoscere qualcosa di inesistente?
2) Propugna il boicottaggio contro Israele, che non è altro se non un modo in cui si manifesta da sempre l'antisemitismo.
3) Afferma che Israele abbia l'intenzione di modificare lo status quo del Monte del Tempio, cosa smentita più volte da Benjamin Netanyahu, da ministri del suo governo e dalla realtà dei fatti.
4) Denuncia, come motivo dell'attuale situazione, l' "occupazione" israeliana. Forse intende riferirsi al fatto che Israele ha vinto numerose guerre, tutte difensive, e se non lo avesse fatto sarebbe stata spazzata via dalla faccia della Terra.
5) Last but not least: Auspica un maggiore coinvolgimento di Hamas nel governo "tecnico" Fatah-Hamas. Hamas, è risaputo, è una organizzazione terroristica che ha lo scopo precipuo di distruggere Israele e gli ebrei e instaurare la legge del Corano.

 Ecco l'intervista:


Maurizio Molinari               Yasser Abed Rabbo

«Serve un’iniziativa di pace dell’Ue per rimettere in moto il negoziato e impedirci di scivolare in una guerra religiosa nelle braccia di Isis». Yasser Abed Rabbo, stretto consigliere di Abu Mazen, manda questo messaggio «all’Italia presidente di turno Ue e a Federica Mogherini, ministro degli Esteri Ue». Rabbo parla nel suo ufficio, nei pressi della Muqata, nelle vesti di segretario generale del comitato esecutivo dell’Olp: la stessa carica che ricopriva Abu Mazen quando sostituì Yasser Arafat.

Perché guardate all’Europa?
«I Paesi europei stanno riconoscendo la Palestina con i Parlamenti, sono contro gli insediamenti, sanzionano alcuni prodotti delle colonie israeliane e vogliono i due Stati. L’Europa può tornare protagonista politica, come lo fu negli Anni 70 quando iniziò il dialogo con noi prima degli Usa. E ora, con il passo indietro compiuto da Kerry, c’è lo spazio affinché l’Ue prenda l’iniziativa per arrivare alla soluzione del conflitto».

A che tipo di iniziativa pensa?
«Serve qualcosa di più di un incontro di poche ore o giorni. Serve una conferenza di pace, in un luogo specifico e in seduta permanente. Convocata dall’Ue, nel quadro del Quartetto, mettendo assieme le parti e i Paesi arabi dell’iniziativa di pace della Lega Araba come sauditi ed Emirati. Per avere un quadro regionale, andando incontro a Israele. E poi Usa, Russia, Cina. Anche singoli europei in quanto tali. In una cornice pratica, non cerimoniosa. Credetemi, non c’è tempo da perdere».

A cosa fa riferimento?
«Al fatto che questa regione è in ebollizione. Rischiamo di scivolare nella guerra di religione desiderata dai fanatici di Isis. È un pericolo reale perché le violazioni israeliane dello status quo della Spianata delle Moschee di Gerusalemme e il prolungamento dell’occupazione hanno trasformato Al Aqsa nella miccia di una sollevazione che monta. Conosco i palestinesi perché mi batto per loro da quando ero 18enne. So capire quando cova qualcosa e vi dico che il nostro governo fa fatica a tenere la situazione sotto controllo nei territori. Ci accusano di cooperare con l’occupante. Potremmo non farcela a evitare il peggio».

Come giudica le violenze a Gerusalemme, dal rapimento dei 3 ragazzi ebrei all’uccisione del giovane palestinese di Shuafat, all’attentato alla sinagoga di Har Nof. È una terza Intifada?
«Non credo alle espressioni del passato per descrivere il presente. Ma c’è una violenza che cresce, di matrice religiosa, e può incendiare tutto. Ogni volta che si pensava che il peggio non potesse avvenire, si è verificato. Chi avrebbe mai immaginato che un gruppo come Isis potesse controllare ampi territori in Siria o Iraq, con aree perfino in Libia e Sinai? Il pericolo è qui».

Dove dovrebbe portare la conferenza di pace che auspica?
«A un accordo in gran parte già scritto con due Stati divisi dai confini del 1967, senza gli insediamenti, intese sulla sicurezza e la composizione del contenzioso sui rifugiati del 1948».

Se vi fosse la conferenza di pace, che sorte avrebbe l’iniziativa palestinese all’Onu per il riconoscimento della sovranità?
«L’iniziativa all’Onu è stata intrapresa perché tutte le altre strade si sono chiuse. Se ve ne fossero di nuove, la situazione muterebbe. Ciò che conta è riuscire a spingere Israele ad accettare davvero i due Stati perché, da Oslo in poi, non hanno fatto altro che creare sul terreno fatti che li allontanano».

Come immagina il futuro di Gerusalemme in caso di pace?
«Potrà essere una città aperta, senza barriere, con libertà di accesso ai luoghi santi ma dovrà essere chiaro dov’è il confine».

Perché il governo palestinese non riesce ancora ad assumere il controllo di Gaza? Quale sono gli ostacoli con Hamas?
«Il problema è che non c’è un governo di unità nazionale Fatah-Hamas, ma un governo tecnico. Hamas ha gioco facile: da un lato lo sostiene, ma dall’altro lo ostacola. Serve un maggiore coinvolgimento di Hamas, un esecutivo con suoi ministri, così la cooperazione sarebbe reale, consentendo la ricostruzione».

Come impedire nuovi conflitti fra Hamas e Israele?
«Siglando una tregua di 10-15 anni a nome del governo Fatah-Hamas».

Lei si batte per i due Stati ma negli opposti campi c’è chi parla di uno Stato binazionale. È una prospettiva possibile?
«Per fare un matrimonio bisogna essere in due. Prima la Palestina deve diventare uno Stato, poi potrà unirsi con Israele in una federazione o confederazione sul modello dell’Ue che potrebbe includere anche altri Stati arabi, come la Giordania o, perché no?, anche la Siria del prossimo futuro».

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