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La Stampa Rassegna Stampa
14.10.2014 L'islamismo e i suoi frutti: Fratellanza musulmana e Isis
Giordano Stabile intervista lo scrittore egiziano Ala al Aswani

Testata: La Stampa
Data: 14 ottobre 2014
Pagina: 19
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «'I Paesi del Golfo dietro l'Isis, l'Occidente apra gli occhi'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/10/2014, a pag. 19, con il titolo "I Paesi del Golfo dietro l'Isis, l'Occidente apra gli occhi", l'intervista di Giordano Stabile ad Ala al Aswani, lo scrittore egiziano più letto fuori dal suo Paese, che attacca la Fratellanza musulmana e Morsi, paragonandoli allo Stato Islamico.


Giordano Stabile   Ala al Aswani                        Mohamed Morsi


Cairo automobile club e Palazzo Yacoubian, pubblicati in Italia da Feltrinelli


Nessuna fiducia nell'islam politico, tanto meno nei Fratelli musulmani (il finto «volto pulito» della stessa ideologia che alimenta l'Isis). Molta nell'Egitto e nei suoi «50 secoli di storia», nello spirito cosmopolita, nella sua anima che alla fine uscirà dalla lunga transizione verso la democrazia. Ala al Aswani è a Torino per presentare l'ultimo romanzo, «Cairo Automobile Club» (Feltrinelli), al Salone Off 365. E sta per partire per Parigi dove lancerà una raccolta di saggi politici.

Lei è stato impegnato in prima linea prima nella rivoluzione contro Mubarak, poi nella sollevazione popolare contro Morsi che ha portato alla sua destituzione a opera del generale Al Sisi. Ha scelto però di ambientare il suo romanzo nell'Egitto degli Anni Quaranta. Perché?
«II libro che scrivi non lo scegli. E' come un amore. A un certo punto scatta un click. Ci pensavo già dai tempi di "Yacoubian". Ho cominciato nel 2008. Poi c'è stata la rivoluzione. L'ho finito dopo. Ma ci sono tante analogie fra quegli anni, che ho vissuto attraverso i racconti di mio padre, e oggi. Un vecchio regime già morto, ma che resiste. Allora era la monarchia dello stanco re Faruk. Oggi è la dittatura».
L'Egitto ha abbattuto Mubarak. Ma la democrazia non è ancora compiuta.
«La dittatura è una malattia cronica, non un'infezione. Ci vuole tempo per curarla. L'organismo si deve abituare. E spesso rimpiange il vecchio stato. Per gli egiziani, e non solo loro, il dittatore era anche un padre, che li proteggeva. In tanti ne hanno nostalgia. Non si può passare di colpo alla democrazia. Ci vuole una transizione».
Cioè AI Sisi? Ma è stato giusto deporre un presidente comunque eletto, Morsi?
«Morsi aveva sospeso la democrazia, in pochi mesi, abrogando la Costituzione. E' la strategia dei Fratelli musulmani. Credono nella democrazia, ma una volta sola. E' come una siringa usa e getta, io sono medico-dentista, mi viene questo esempio. Lasciano votare una volta, vanno al potere e poi attuano il programma, che è quello di una teocrazia: solo loro possono decidere, fare le scelte giuste, perché sono ispirati da Dio. Per tutti gli altri non c'è spazio. È questo l'islam politico. Alla fine si arriva allo Stato islamico che vediamo all'opera in Iraq e Siria».
Morsi come il califfo Al Baghdadi, non è troppo?
«L'ideologia è la stessa. Il primo a parlare di Stato islamico, di califfato, è stato il fondatore dei Fratelli, Hasan Al Banna, nel 1928».
Ma nei Paesi arabi c'è la possibilità di uno sviluppo democratico in armonia con l'islam?
«Si, c'è. Basta separare politica e religione. E devo dire che l'Egitto, dopo la caduta del re, con Nasser, era sulla buona strada. Ma già nell'800 abbiamo avuto un grande pensatore, Mohammed Abdou, che predicava la tolleranza e diceva che il velo non è islam».
E poi che cosa è successo?
«Colpa del petrolio. Le monarchie del Golfo si sono arricchite enormemente. E sono legate a doppio filo all'ideologia salafita, wahabita. Chiusa e intollerante. Dagli Anni Sessanta hanno cominciato a finanziare le scuole, le moschee e a imporre la loro visione dell'islam. Anche in Europa. Formano predicatori che creano giovani-bombe. Basta solo innescarli. Lo vediamo in Siria».
L'Occidente ha le sue colpe?
«Non ci si può alleare con chi finanzia il fanatismo e poi andare a bombardare qualche villaggio in Pakistan per fermare il terrorismo. Questa contraddizione la deve risolvere l'Occidente».

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