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La Stampa Rassegna Stampa
22.09.2014 Siria, se la coperta è corta: combattere l'Isis aiuta Assad
Intervista di Maurizio Molinari a Amman con il siriano Abdel Bassret Sayda

Testata: La Stampa
Data: 22 settembre 2014
Pagina: 8
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'Le bombe Usa contro il Califfo sono solo un favore ad Assad'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/09/2014, a pag. 8, con il titolo " 'Le bombe Usa contro il Califfo sono solo un favore ad Assad' ", l'intervista di Maurizio Molinari ad Abdel Basset Sayda, leader degli oppositori laici ad Assad.


Maurizio Molinari              Abdel Basset Sayda           Bashar al Assad

Free Syrian Army soldiers in Aleppo take a break from the fighting
Miliziani del 'Free Syrian Army' ad Aleppo

Amman- «I raid americani contro Isis in Siria finiranno per giovare al regime di Bashar Assad». Seduto in un hotel frequentato da stranieri, Abdel Basset Sayda porta agli interlocutori giordani un messaggio destinato anche ad altri Paesi del Medio Oriente: l'intervento militare che l'amministrazione Obama sta preparando in Siria contro gli jihadisti del Califfo Ibrahim non gioverà ai ribelli filo-occidentali.
Dal 2011 nel Consiglio nazionale siriano, di origine curda, stimato in Europa e negli Stati Uniti per le posizione moderate che esprime, Abdel Basset Sayda ha guidato nel 2012 il più importante organismo dell'opposizione e rappresenta le posizioni del «Free Syrian Army», che opera dalle basi in Giordania e Turchia. Sono questi i ribelli che l'Arabia Saudita, al recente vertice di Gedda, si è impegnata ad addestrare e rifornire di armamenti pesanti: gli stessi a cui guardano da tempo i leader del Congresso di Washington e che Hillary Clinton, quando era Segretario di Stato, propose di armare trovando il consenso della Cia di Leon Panetta ma scontrandosi con il veto di Obama. Del recente passato Abdel Basset Sayda preferisce non parlare perché tiene soprattutto a spiegare «cosa sta avvenendo adesso sul terreno». A tal fine presenta agli interlocutori una mappa sommaria degli equilibri attuali sul campo di battaglia: «Circa il 40 per cento della Siria è nelle mani delle forze fedeli ad Assad, un altro 40 per cento è controllato da Isis e noi abbiamo circa il 15-20 per cento». L'interrogativo dunque è «come alterare questo equilibrio senza favorire il regime o gli jihadisti tagliatori di teste». La soluzione a cui pensa l'Esercito di liberazione siriano è l'imposizione di una «no fly zone» sopra «i territori che controlliamo» sul modello di quanto l'America fece sul Kurdistan iracheno per proteggerlo dal regime di Saddam Hussein negli anni '90 «Le nostre zone sono a ridosso della frontiera con la Giordania - spiega - e se fossero protette dal cielo potrebbero rafforzarsi, allargarsi, diventare la genesi di una nuova Siria democratica». La proposta che Abdel Basset Sayda illustra in un ottimo inglese - vive da tempo in Scandinavia - richiede il sostegno della Giordania, la formazione di ampie zone cuscinetto lungo i loro confini della Siria del Sud, rafforzate con armi occidentali, protette dagli aerei Usa e raggiunte dagli aiuti umanitari in maniera da diventare una sorta di «isole di sicurezza» destinate ad allargarsi a svantaggio del regime e di Isis. «Ma l'America non sta andando in questa direzione» lamenta, indicando negli eventuali «raid contro Isis in territorio siriano» l'errore «più grande che si possa compiere in quanto quasi ovunque ad avvantaggiarsene sarebbe il regime». «Basta guardare la disposizione di forze per accorgersene» aggiunge. Lo spettro che Abdel Basset Sayda ha davanti è una collaborazione de facto fra Washington e Damasco, con il beneplacito di Teheran, destinata nel breve tempo a sconfiggere Isis e nel medio termine a portare ad una Siria «normalizzata, ancora in mano al despota sanguinario Assad sostenuto dagli iraniani e protetto dai russi». Il «Free Syrian Army vuole invece anzitutto una Siria senza Assad» afferma, facendo capire di «essere disposti ad allearci con chiunque a tal fine». Il riferimento, neanche troppo implicito, è a Jubat al-Nusra espressione diretta di Al Qaeda, protagonista di una sanguinosa faida con i miliziani dell'Isis guidato da Abu Bakr al Baghdadi, ovvero il «Califfo Ibrahim». «Al-Nusra è nemico del mio nemico, dunque è un mio potenziale amico» sottolinea, ripetendo un concetto molto popolare in Medio Oriente. In Giordania si tratta di una posizione non insolita: il governo locale ha reclutato alcuni degli imam più noti di Al Qaeda, come Abu Qatada estradato dalla Gran Bretagna, per tentare di isolare Isis dentro le «moschee illegali» create e gestite dai salatiti. La scommessa di Abdel Basset Sayda è che non solo Amman ma anche altre capitali alleate di Washington nella regione facciano pressione sull'amministrazione Obama per scongiurare un intervento militare «destinato a favorire il regime e non i siriani che si sono rivoltati per perseguire il sogno di una nazione democratica».

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