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La Stampa Rassegna Stampa
27.01.2014 Roma: invio delle teste di maiale è un episodio di antisemitismo da non sottovalutare
cronaca e intervista a Sami Modiano di Giacomo Galeazzi

Testata: La Stampa
Data: 27 gennaio 2014
Pagina: 17
Autore: Giacomo Galeazzi
Titolo: «Gli spacciatori d’odio non spaventano più la comunità ebraica - Gli antidoti all’antisemitismo sono la memoria e leggi severe»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/01/2014, a pag. 17, l'articolo di Giacomo Galeazzi dal titolo "Gli spacciatori d’odio non spaventano più la comunità ebraica" e la sua intervista a Sami Modiano dal titolo "  Gli antidoti all’antisemitismo sono la memoria e leggi severe".

Ha dell'incredibile la titolazione scelta dalla redazione del sito internet del Corriere della Sera, in un pezzo della cronaca romana. Ferruccio De Bortoli può scrivere al responsabile della cronaca di Roma  e spiegargli che la capitale di Israele è Gerusalemme e non Tel Aviv ?
lettere@corriere.it
Ecco la titolazione:



Ecco i pezzi:

" Gli spacciatori d’odio non spaventano più la comunità ebraica "

Controlli intensificati, ghetto blindato, nessuna voglia di darla vinta agli «spacciatori d’odio». Un mantra rimbalza di bar in crocicchio: «Non ci spaventeranno». La vigilia del «Giorno della Memoria» è una coltre di tensione al Portico d’Ottavia. Davanti al caffè «Totò» gli anziani hanno gli occhi rossi: «Dopo settant’anni c’è ancora chi vuole cancellare la storia», scuote la testa Pacifico. Voci di quartiere si intrecciano a fulmini internazionali. «Incidente intollerabile e brutale», reagisce il ministero degli Esteri israeliano all’affronto delle teste di maiale recapitate alla comunità ebraica. Al Tempio maggiore il rabbino capo, Riccardo Di Segni rassicura tutti unendo battute («porci l’altra guancia») a riferimenti biblici (Mosè sul Sinai). «Dopo lo sfregio abbiamo l’obbligo di non dimenticare: è l’antidoto all’intolleranza», osserva il capo degli ebrei romani, Riccardo Pacifici, mentre il Rabbino si paragona ai sindaci minacciati dai clan. Poi sbotta: «C’è poco da essere ottimisti, ma non bisogna neanche esagerare». Certo, «attivisti non meglio identificati sono in grado di mettere in atto scempiaggini e porcherie», allarga le braccia la guida spirituale della più antica comunità ebraica d’Europa.
Intanto si stringe il cerchio: le indagini sono ad una svolta. I mittenti anonimi dei pacchi sono romani che gravitano attorno agli ambienti dell’estrema destra. I plichi sono partiti dalla capitale e consegnati alla società di spedizione giovedì sera. «Ci sentiamo tutti ebrei di fronte a questa intimidazione mafiosa», commenta il leader di Sel, Nichi Vendola. Altri spunti di riflessione arriveranno oggi da numerose manifestazioni. In mattinata al Quirinale il presidente Napolitano ricorda la Shoah con ex internati, deportati e studenti. Il ministro Kyenge e il sindaco Ignazio Marino riuniscono all’Auditorium i ragazzi hanno partecipato tre mesi fa al viaggio ad Auschwitz. Con loro gli ex deportati Piero Terracina e Sami Modiano.
Dodici violini sopravvissuti alla Shoah suoneranno insieme al Parco della Musica. Tante storie che si intrecciano a formare un’unica tela. Come Teresa Giovannucci e Pietro Antonini. A loro è dedicato uno degli alberi del Giardino dei Giusti di Gerusalemme, luogo-simbolo per onorare chi, in tutto il mondo, ha rischiato la vita per aiutare gli ebrei. Per nove mesi zi’ Teresa e zi’ Petruccio nascosero in casa propria otto ebrei, salvandoli dalla persecuzione e dallo sterminio nazista. Dal 1993 il loro nome è andato ad affiancare quelli di oltre 500 italiani, tra cui Giorgio Perlasca e, ultimo in ordine di tempo, Gino Bartali.
Dal 30 settembre 1943 al 6 giugno 1944, quando le persecuzioni razziali cominciarono a moltiplicarsi, Teresa e Pietro decisero di ospitare nella loro piccola casa otto ebrei, compreso l’allora rabbino di Roma Marco Vivanti di cui Teresa era domestica. Mai più quegli orrori che «costituiscono una vergogna per l’umanità», avverte papa Francesco. C’è rabbia e sgomento alla sinagoga. Monta di ora in ora l’indignazione. «Un episodio ripugnante, offensivo, con intenti intimidatori- insorge il presidente delle comunità ebraiche, Renzo Gattegna- Sono vigliacchi perché mandare pacchi anonimi è troppo facile. Antisemitismo e razzismo vanno monitorati costantemente: non capiamo il perché di questo odio». E l’ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi ricorda le «vittime innocenti di un disegno perverso». Il nemico è l’oblio. L’intimidazione stavolta può rivelarsi un boomerang. Al ghetto «non ci faremo rubare il sorriso», assicura Pacifici. «E poi oggi ha anche vinto la Roma».

" Gli antidoti all’antisemitismo sono la memoria e leggi severe "


Sami Modiano

Lei è uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz. Come ha vissuto l’intimidazione delle teste di maiale?

«E’ un atto ignobile. Da ieri il mio telefono non smette di suonare. Mi fa piacere tanta solidarietà, ma servono norme più dure per impedire un’escalation di violenza antisemita. Sono orgoglioso di essere ebreo e italiano. Continuerò a girare per le scuole con ancora maggiore determinazione affinché la memoria non venga cancellata come vorrebbero i vigliacchi che compiono gesti simili».

Cosa ricorda di quando fu deportato?
«Avevo tredici anni:quel giorno ho perso la mia innocenza. La mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo. Negare l’Olocausto è pericoloso e vile. Porto sulla pelle i segno dell’orrore: un’adolescenza bruciata, una famiglia dissolta, un’intera comunità spazzata via. Chi nega la Shoah parla ancora una volta la lingua dell’odio e della discriminazione. Quando le leggi razziali ci colpirono, all’improvviso mi ritrovai bollato come “diverso”».

La memoria è un antidoto?
«Sì. Sento di essere sopravvissuto proprio per essere testimone di quella tragedia e raccontarla. C’è bisogno di una lingua universale, figlia delle ferite che dividono i popoli e della speranza che li vorrebbe unire. Io nell’inferno di Auschwitz-Birkenau, ho visto morire familiari e amici fino a rimanere solo al mondo a lottare per la sopravvivenza. Fuori dal lager, mi ritrovai in prima linea con l’esercito sovietico e poi costretto a fuggire a piedi attraverso mezza Europa per giungere in un’Italia messa in ginocchio dalla guerra».

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