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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
17.10.2014 L'ombra nera del jihad sull'Italia
Analisi di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 17 ottobre 2014
Pagina: 48
Autore: Giuliano Foschini - Fabio Tonacci
Titolo: «Così si fabbrica un jihadista»

Riprendiamo dal VENERDi' di REPUBBLICA di oggi, 17/10/2014, a pag. 48, con il titolo "Così si fabbrica un jihadista", l'analisi di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci.


Giuliano Foschini     Fabio Tonacci


Jihadisti provenienti dall'Europa combattono per lo Stato islamico in Iraq e Siria

Giovane e arrabbiato. Solo, con pochissime relazioni all'esterno, ma una grandissima capacità informatica. Soprattutto pronto a morire perché in fondo fa una gran fatica a vivere. Li cercavano così gli jihadisti italiani. Li cercavano ad Andria, in Puglia. A Catania. A Milano, ovunque in Italia. Bussavano ai call center, alle macellerie islamiche, alle moschee abusive, lanciavano esche in ogni anfratto di rabbia, frustrazioni, solitudine: «I soldati del nostro esercito, voi dovrete essere i soldati del nostro esercito» dicevano al telefono, nelle conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros.

Per la prima volta un'inchiesta della magistratura, e soprattutto una sentenza di un tribunale, descrive e condanna il nuovo jihadismo italiano. Racconta chi sono i combattenti, dove vivono, cosa leggono, come pensano. La magistratura ha infatti colpito la prima cellula, dopo il periodo di Al Qaeda, che reclutava in Italia combattenti da mandare in Siria soprattutto per combattere la Guerra Santa. Cinque condanne in primo grado per terrorismo internazionale, istigazione all'odio razziale, attività di proselitismo e finanziamento di gruppi terroristici «pronti al trasferimento in zone di guerra per compiere attività terroristiche».
Il centro, manco a dirlo, era un call center in Puglia dal quale partivano in tutta Italia - come fossero corsi di inglese porta a porta - video e dvd dimostrativi di indottrinamento ma anche di pratica: confezionamento di ordigni e utilizzo di armi da fuoco, tutto quello che serviva a una vita da guerriero. Con tanto poi di campo pratico ai piedi dell'Etna. Ma dove si trovavano gli aspiranti jihadisti? Come detto, il primo contatto avveniva principalmente nei call center. «Questo perché» spiega una fonte dell'intelligence «il loro obiettivo è l'indottrinamento. Non cercano chi frequenta già le moschee, chi ha già una propria storia e cultura spirituale. Preferiscono i fogli bianchi». Il punto è anche psicologico. «Chi frequenta quei centri, va perché chiama casa. Nostalgia, lontananza, frustrazioni: sono quelle le leve che usano per entrare in certe teste».
In che senso? La risposta è in una delle migliaia di intercettazioni che i Ros hanno potuto intercettare. Il gruppo parlava liberamente al telefono, convinti che il fatto di parlare in arabo e di usare utenze più o meno protette fosse per loro il migliore salvacondotto possibile. Al telefono c'era uno del gruppo dei reclutatori e un ragazzo di venti anni che lavorava in Italia e che invece stavano cercando di convincere a partire per la Siria. «Sarai il motivo di orgoglio della tua famiglia, di tuo padre» gli dicevano. «Noi viviamo da vili in questo paese. Se invece lo farai, finalmente saranno orgogliosi di te». Farai cosa? «Mettiti la cintura di dinamite! Uccidere fa parte della vita ma ti farà volare nel cielo». La morte dunque è offerta come un riscatto, la possibilità di dare un senso a vite spesso disperate di chi è fuggito da una guerra e a suo modo - senza lavoro, sfruttato da caporali, costretto a vivere in tuguri, pagato magari due euro all'ora per la raccolta dei pomodori - è costretto a viverla un'altra, di guerra. Non a caso gli italiani censiti come a rischio si contano sulle dite di una mano. La maggior parte dell' «esercito» è composto da italiani di seconda generazione o ancora, gente di passaggio, magari perché passata da un Centro di accoglienza per richiedenti asilo o da un carcere di questa nazione. «Rispetto alla prima ondata del terrorismo, quella di Al Qaeda» spiegano ancora «le convinzioni di questa generazione non si basano quindi sulla religione. Quelle convinzioni vengono costruite nel corso dell'operazione».

I carabinieri sono rimasti sorpresi dalla quantità di materiale sequestrato nel corso delle indagini: video, profili Facebook o twitter, chat criptate, tutto quello che gli analisti chiamano oggi Cyber Jihad. «Il call center di Andria» spiegano per esempio i giudici baresi che hanno valutato l'indagine «era in realtà una copertura per permettere ai componenti del gruppo di consultare i numerosi siti gestiti da gruppi simpatizzanti jihadisti, da cui estrapolavano documenti (anche audio-video) che avevano ad oggetto le istruzioni ora per la costruzione di ordigni esplosivi ora per l'utilizzo di armi ora per l'impiego di tecniche di sabotaggio e di incursione militare». Agli atti sono finiti così profili Facebook e twitter, ma anche centinaia di video: alcuni sono quelli di predicatori artigianali, altri invece sono quelli prodotti dall'Alhayat Media Center, una delle tre piattaforme di produzione cui il gruppo terroristico di Abu Bakr Al Bagdhadi ha affidato la cura della propria «immagine». Un lavoro «occidentale», a conferma che nell'Isis non c'è nulla di improvvisato: le immagini girate con telecamere di alta qualità, i montaggi sono rapidi e con gli effetti speciali, come fosse un videoclip di Mtv, la traduzione in inglese è sempre in sovraimpressione, così che tutti possano comprendere. E chiaramente inoltrare. «E proprio la condivisione, il concetto basilare del social network, è diventata la forza di questo tipi di gruppi» dicono dall'Intelligence che da anni studiano proprio i flussi che arrivano in Italia da questo tipo di siti. Sono una ventina quelli che controllano stabilmente, insieme con una decina di gruppi di discussione, seppur all'interno del gruppo vengono predilette le chat criptate. Ma non c'è soltanto dottrina. Le indagini hanno ricostruito che intere giornate venivano «dedicate all'addestramento militare dei terroristi»: tecniche di sparo o di confezionamento delle bombe. Studio dei «nemici» (gli ebrei, non a caso tra le contestazioni c'è anche l'odio razziale) e dei territori da occupare. Un particolare: tutte le giornate trascorrevano con un ritornello di sottofondo, Haya haya, haya alal-jihad, cantato tre, cinque, dieci volte, Andiamo, andiamo, andiamo a fare la jihad, mentre sullo schermo scorrevano le immagini di attentati, decapitazioni. Haya haya, haya alal-jihad, eccola, la canzone della jihad.

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