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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Manifesto Rassegna Stampa
10.02.2017 3 pezzi sul Manifesto diffondono odio contro gli ebrei d'Israele. Il più grave. da denuncia,
La propaganda di Michele Giorgio, Chiara Cruciati, l'appello di AssoPace Palestina

Testata: Il Manifesto
Data: 10 febbraio 2017
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio - Chiara Cruciati - AssoPace Palestina
Titolo: «Il no alla leva militare agita Israele - 'Così salvammo Nahr al-Bared, simbolo del ritorno in Palestina' - Appello alla UE: giustizia per la Palestina»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 10/02/2017, a pag. 8, con il titolo "Il no alla leva militare agita Israele", il commento di Michele Giorgio; a pag. 9, con il titolo 'Così salvammo Nahr al-Bared, simbolo del ritorno in Palestina'; a pag. 14, con il titolo "Appello alla UE: giustizia per la Palestina", l'appello di AssoPace Palestina.

Riuniamo in questa pagina tre articoli di odio contro Israele e diffusione di menzogne e ostilità verso gli ebrei che non sono disposti a farsi uccidere senza difendersi dai terroristi.

1- Il pezzo di Michele Giorgio è intriso di disinformazione e non perde occasione per accusare Israele di discriminazione nei confronti degli arabi israeliani, che invece godono di pieni diritti in Israele.

2- Un distillato di odio è l'intervista di Chiara Cruciani a Marwan Abdul Al, membro dell'ufficio politico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un movimento terroristico estremista che da decenni ha l'obiettivo di uccidere civili israeliani. Cruciani difende la "resistenza" palestinese e lamenta la "diaspora" dei "profughi palestinesi", dando l'immagine di un Israele nazista che è tipica delle posizioni antisemite più estreme.

3- L'appello di AssoPace Palestina va addirittura oltre:  riscrive la storia del '900,  omette il periodo ottomano, la divisione in due stati decisa dall'Onu nel 1947 e il conseguente rifiuto arabo, tace sulle condizioni dei palestinesi rifugiati nei paesi islamici della regione, un insieme di menzogne ignobili.  E' molto istruttivo leggere con attenzione la lista delle associazioni e dei gruppi firmatari. Tra di essi molti gruppi che diffondono odio contro Israele e sostengono Bds, ma anche organizzazioni generaliste come Fiom-Cgil, Cobas, Arci. Da notare le sigle che fanno capo a organizzazioni cattoliche.
Se guesti sono i firmatari, va detto chiaramente come la sinistra ex comunista e le Ong di ispirazione cristiana mantengano di fatto in vita l'ideologia catto-comunista, una delle cause principali dell'arretramento del nostro paese.

Ecco gli articoli:

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"Palestina libera" significa: "Uccidi gli ebrei"

Michele Giorgio: "Il no alla leva militare agita Israele"

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Michele Giorgio

Non c'è alcun legame tra la 19enne Atalia Ben Abba e il 24enne haredi, religioso ultra-ortodosso, di cui non si conosce il nome, arrestato dall'esercito perché "disertore". Due vite distanti, nonostante siano cresciuti entrambi a Gerusalemme. Li unisce il rifiuto del servizio di leva, obbligatorio in Israele per uomini e donne. Lei, spiega, non vuole partecipare all'oppressione del popolo palestinese entrando in un esercito che perpetua l'occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Lui non intende far parte delle forze armate dello Stato di Israele che, per motivi religiosi, non riconosce. Le loro vicende stanno facendo parecchio rumore.

IERI PER IL TERZO GIORNO Consecutivo centinaia di ultra-ortodossi, in gran parte seguaci dell'anziano rabbino lituano Shamuel Auerbach, hanno bloccato strade e mezzi di trasporto a Gerusalemme, Bnei Brak (Tel Aviv), Ashdod, Elad, Beit Shemesh per chiedere la liberazione del giovane religioso. E non hanno esitato a scontrarsi con la polizia che ha effettuato decine di fermi. Il (disertore), ricercato da tempo, era stato fermato per caso dalla polizia sabato scorso, durante una manifestazione a Gerusalemme contro la profanazione dello shabat. Il fermo è stato subito tramutato in arresto. Immediate le proteste e gli appelli alla ribellione del rabbino Auerbach, uno degli avversari più accaniti della recente estensione del servizio militare alla comunità haredi.

FINO A QUALCHE TEMPO FA gli ultraortodossi - il 12% della popolazione di Israele - erano esentati dal servizio di leva. Poi su insistenza dei religiosi sionisti, che occupano posizioni importanti nel governo Netanyahu - come i ministri del partito dei coloni Casa ebraica -, e del partito laicista Yesh Atid, nel 2014 è stata approvata una legge che impone a una quota crescente, di anno in anno, di giovani haredi lo svolgimento del servizio militare. Lo Stato da parte sua si impegna a garantire sussidi alle istituzioni ultraortodosse che manderanno i loro giovani nelle forze armate. Le comunità haredi hanno reagito in modi diversi. Alcune sembrano più accondiscendenti verso il progetto di integrarle nel sistema militare, molte altre continuano ad opporsi con forza a questo disegno dei nazionalisti. Tra queste c'è quella che fa capo a Shmuel Auerbach. Il rabbino ripete che il compito di ogni ebreo haredi è studiare e pregare e non di entrare nell'esercito e di integrarsi nello Stato. Contro Auerbach e chi tra i religiosi si oppone al servizio di leva, il minis tro della difesa Avigdor Lieberman minaccia di usare il pugno di ferro. Per Lieberman è inammissibile che i rabbini cerchino di intralciare il regolare arruolamento di giovani israeliani.

DECISAMENTE PIÙ POLITICHE, contro l'oppressione dei palestinesi, sono invece le motivazioni di Atalia Ben Abba, condannata a 20 giorni di carcere per aver rifiutato di indossare la divisa dell'esercito israeliano. Motivazioni che la uniscono ad altre due obiettrici di coscienza. Tamar Alon e Tamar Zeevi, che hanno già scontato rispettivamente 101 e 98 giorni di carcere militare per aver detto di no all'esercito. Nel 2016 erano state scarcerate, dopo ripetuti periodi di detenzione altre due giovanissine obiettrici, Tair Kammer e Tanya Golan. Anche Atalia Ben Abba rischia di trascorrere mesi dietro le sbarre. L'associazione (Mesarvot (Jews forJustice for Palestinians), che assiste i giovani refusnik, spiega che si stanno allungando le pene detentive per gli obiettori visti sempre di più come un'insidia dalla destra nazionalista e religiosa che domina la politica israeliana.

Chiara Cruciati: 'Così salvammo Nahr al-Bared, simbolo del ritorno in Palestina'

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Chiara Cruciati

Sono trascorsi dieci anni dalla distruzione del campo profughi palestinese di Nahr al-Bared a Tripoli. Marwan Abdul Al, membro dell'ufficio politico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, segue da allora una ricostruzione difficile. Lo abbiamo incontrato in occasione della consegna del premio Stefano Chiarini, il giornalista de ll manifesto scomparso nel 2007, pochi mesi prima dell'assedio di Nahr al-Bared.

Che ricordo ha di Stefano? Sono felice di ritirare il premio Chiarini. Conobbi Stefano nei suoi primi viaggi nei campi profughi palestinesi in Libano, mi trasmise subito la centralità della solidarietà internazionale intorno alla nostra causa. Ad ogni anniversario del massacro di Sabra e Shatila ricorre la memoria indimenticabile sua e di Maurizio Musolino.

II premio le è stato assegnato per il suo impegno nella ricostruzione di Nahr al-eared. A che punto sono i lavori? Il campo fu completamente devastato dopo l'ingresso di Fatah al-Islam, gruppo estremista islamico, e il conseguente scoppio della battaglia con l'esercito libanese. Vittima ne sono stati i rifugiati palestinesi. Dopo la distruzione siglammo un accordo con lo Stato libanese e la comunità internazionale per ricostruirlo, ma 10 anni dopo solo la metà è stato rimesso in piedi.

I motivi del ritardo? Responsabile della ricostruzione è l'agenzia dell'Onu Unrwa, che ha subito in questi anni seri tagli di bilancio. Finora ha raccolto 36 milioni di dollari, ne servono 107. Il progetto non ha priorità, soprattutto con l'esplosione della crisi siriana. Molti Stati hanno promesso denaro, tra cui il Golfo, ma non hanno mandato nulla.

Cosa è successo nel 2007? Circa 200 miliziani da Iraq, Giordania e Arabia Saudita sono entrati e sono rimasti tre mesi. Avendo svolto un ruolo di mediazione per la loro uscita, ho percepito che quello che stava accadendo aveva dei retroscena molto più grandi , che gli ordini agli islamisti arrivavano da fuori. Come fosse un test, una prova, per la successiva esperienza dell'Isis. Uno di loro mi disse: "Porteremo avanti il progetto di uno Stato islamico, da qui fino a Mosul». Hanno tentato di trascinarsi dietro i rifugiati palestinesi, ma hanno fallito: i 30mila abitanti di Nahr al-Bared hanno lasciato il campo con i gruppi armati per evitare di scontrarsi con l'esercito e divenire scudi umani. Abbiamo sacrificato le nostre le case piuttosto che l'esistenza del campo stesso.

Così avete salvato iI campo e il suo significato. 30mila rifugiati si sono ritrovati di punto in bianco in baracche, garage, per le strade. Ce ne siamo andati senza nulla in mano. Abbiamo perso quello che avevamo costruito in 60 anni, i nostri beni e le nostre memorie. Per questo per noi la più grande conquista è stata riaffermare l'esistenza del campo sulle mappe, essere riusciti a ricreare il tessuto sociale, mantenere la nostra identità. Nahr al-Bared è un avamposto del diritto di ritorno in Palestina.

Dopo gli accordi dl Oslo e la morte politica dell'OIp, esiste ancora un movimento di liberazione che coinvolga anche la diaspora? Dopo Oslo si è prospettata una soluzione al conflitto senza il ritorno dei profughi. L'Olp, rappresentante di tutti i palestinesi dentro e fuori la Palestina storica, contenitore delle forze politiche e del movimento di liberazione, non ha più alcun peso politico. Il nostro timore è che Nahr al-Bared possa divenire un modello: la causa palestinese dirottata dagli islamisti.

Senza scordare la precaria situazione che vivete In Libano. Non abbiamo uno status legale, ci vengono negati i diritti civili, una realtà dovuta alla cornplessa struttura settaria e confessionale libanese. La presenza palestinese è demonizzata a livello securitario, demografico, politico, economico: ogni gruppo etnico o confessionale libanese teme i palestinesi per un motivo diverso. 

"Appello alla UE: giustizia per la Palestina"

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"Uccidi gli ebrei"

Più di 250 organizzazioni europee, gruppi religiosi, partiti politici e sindacati hanno emesso una dichiarazione per chiedere giustizia per la Palestina e senso di responsabilità da parte della Ue e degli stati europei, poiché il 2017 segna: 100 anni dalla Dichiarazione Balfour, in cui il governo britannico prometteva unilateralmente la fondazione di una casa nazionale ebraica in Palestina; 70 anni dal Piano di Partizione Onu del 1947, in cui si assegnava ai coloni ebrei il 55% della Palestina, malgrado possedessero solo il 6% della terra, violando il diritto all'autodeterminazione dei Palestinesi e scatenando la Nakba, cioè l'espulsione di oltre 750.000 nativi palestinesi costretti a un precario e pericoloso esilio; 50 anni dall'occupazione israeliana della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, Gaza e il Golan Siriano, seguita dalla costruzione di insediamenti per soli ebrei, cosa che tutte le nazioni — con la sola eccezione di Israele — considerano illegale secondo la legge internazionale e crimine di guerra secondo la Convenzione di Ginevra.

Questi anniversari ci ricordano che le potenze coloniali sono responsabili di aver prodotto la situazione disastrosa che dura a tutt'oggi, violando i diritti del popolo palestinese, la legge internazionale e le risoluzioni dell'Onu. A 100 anni dalla dichiarazione Balfour - dicono le organizzazioni -, Israele continua a espandere il suo progetto coloniale in terra palestinese. Come risultato di ciò, oltre 7 milioni di Palestinesi rimangono in esilio e vedono negato il loro diritto al ritorno — che pure è sancito legalmente,— mentre altri ancora vengono trasferiti forzatamente ogni giorno.

La Gran Bretagna e altri stati europei non solo continuano ad evadere le loro primarie responsabilità per la colonizzazione della Palestina, ma continuano ad avere una complicità attiva nelle ricorrenti violazioni israeliane della legge internazionale e dei diritti umani. I firmatari della dichiarazione si appellano dunque all'Ue e ai suoi stati membri affinché cessino ogni complicità con le perduranti attività di insediamento di Israele e chiedono un'immediata cessazione del blocco alla Striscia di Gaza, libertà di movimento per i Palestinesi, uguaglianza per tutti i cittadini israeliani, rispetto del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi, e chiedono di prendere serie misure a carico dello stato di Israele, tra cui la sospensione dell'Accordo di Associazione UE-Israele, fintanto che quest'ultimo continua a violare la legge internazionale e i diritti umani.

AssopacePalestina, firmataria del documento

Le associazioni e gruppi e organizzazioni italiane che hanno firmato il documento:
Fiom-Cgil, Confederazione Cobas, Arci nazionale Italia, Arci Milano, Arci Lombardia, Assopace Palestina, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Associazione per la Pace, Associazione Oltre il Mare, Italia, Bds Italia/Coordinamento campagna Bds Bologna, Bds Ravenna, Cultura è Libertà, Comitato Pistoiese per la Palestina, Donne in nero, Italia, Italia-Cuba Milano, Le radici e le ali Onlus Milano, Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie, Rete Eco (Ebrei contro l'occupazione), Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese, Rete Radiè Resch - Gruppo di Udine, Salaam Ragazzi dell'Olivo-comitato di Milano-Onlus, Servizio civile Internazionale, Statunitensi contro la guerra/Us, Citizens Against War (Florence), Un Ponte per, Ulaia Arte sud, Women in culture, Wrüpf Italia (Women international league for peace and freedom), Italy 137. Awmr (Donne della regione mediterranea), Reti di pace - Laboratorio Monteverde Roma, Make An Impact Association Onlus, Gazzella onlus

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