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Il Manifesto Rassegna Stampa
03.02.2016 Pretesti in serie: va tutto bene, pur di condannare Israele
Prosegue indefessamente la demonizzazione operata da Michele Giorgio

Testata: Il Manifesto
Data: 03 febbraio 2016
Pagina: 6
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Case palestinesi demolite in massa»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 03/02/2016, a pag. 6, con il titolo "Case palestinesi demolite in massa", il commento di Michele Giorgio.

Anche oggi la disinformazione di Michele Giorgio imperversa sul Manifesto. Ogni pretesto è buono per scatenare l'odio contro lo Stato ebraico, che ha l'unica colpa di resistere agli attacchi del terrorismo palestinese. L'utilizzo delle parole ("colonie" invece di "città ebraiche", "giovani palestinesi" invece di "terroristi" ecc.), come da copione, tradisce un giudizio di valore a priori che va sempre ed esclusivamente contro Israele e contro quello che realmente accade nei territori contesi.

Ecco il pezzo:

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Michele Giorgio

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Michele Giorgio, come i terroristi di Hamas, è sempre e comunque contro Israele

L'esercito israeliano ha revocato il blocco di Ramallah attuato da domenica pomeriggio fino a ieri mattina, in risposta all'attacco compiuto da un agente della polizia palestinese (poi ucciso) vicino alla colonia di Bet El (tre soldati feriti). La situazione è migliorata per i movimenti della popolazione civile, ma la tensione resta alta. In quella zona un ragazzo palestinese di 14 anni ieri è stato ferito gravemente dal fuoco di soldati israeliani a Jabal al Tawil, una località a ridosso dell'insediamento colonico di Psagot divenuta nelle ultime settimane uno dei principali punti di scontro tra militari e giovani palestinesi.

Si intensificano anche le demolizioni di case palestinesi. Le forze armate israeliane hanno distrutto ieri 24 abitazioni a Khirbet Jenbah, a sud di Hebron, lasciando 12 famiglie (circa 80 persone) senza riparo. Si tratta del provvedimento più ampio eseguito in quella zona negli ultimi dieci anni. E a questo potrebbero seguire presto abbattimenti di altre case "illegali" anche Khirbet al Halawah. Con ogni probabilità dopo il 9 febbraio, data entro la quale la Corte Suprema israeliana farà conoscere la sua decisione rispetto al ricorso presentato dai legali delle famiglie palestinesi minacciate dal provvedimento. Tutta questa area è al centro di uno scontro legale che dura da diversi anni, causato anche dalla presenza della cosidetta «zona di tiro 918», un enorme poligono di tiro usato dall'esercito israeliano, e di insediamenti ebraici che ospitano in prevalenza i coloni più estremisti. Tutti i 1.500 palestinesi che abitano nella «zona di tiro 918» pertanto rischiano l'espulsione.

Ieri due case palestinesi «abusive» sono state demolite anche a Gerusalemme Est. La ripresa, forte, delle demolizioni di case palestinesi «abusive», secondo alcuni sarebbe una risposta di Israele alle recenti uccisioni di alcuni coloni ebrei a sud di Hebron. È possibile che la determinazione con la quale ieri le forze israeliane hanno abbattuto le case di Khirbet Jenbah, rappresenti anche un messaggio all'Unione europea. In questa zona come in altre dell'Area C, l'Unione europea ha infatti finanziato progetti per migliorare le condizioni di vita della popolazione palestinese suscitando le proteste del governo Netanyahu. Mentre chiede a palestinesi e coloni il rispetto della legalità, Israele non tiene conto delle leggi internazionali che vietano la costruzione di insediamenti colonici.

Non solo. Spesso i coloni violano la stessa legge israeliana pur di raggiungere i loro obiettivi. Un giornalista israeliano, Raviv Drucker, ha raccontato l'altra sera in un servizio per la sua tv, Canale 10, che dietro all'edificazione di 14 avamposti ebraici ci sono documenti falsificati e truffe. Per anni, ha denunciato Drucker, la polizia israeliana non ha mosso un passo per accertare falsificazioni nelle vendite di terre da parte di palestinesi. Una società dal nome arabo (al Watan) coinvolta in diverse transazioni di questo tipo era gestita in realtà da un esponente del movimento dei coloni molto ben visto nell'ufficio di Netanyahu.

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redazione@ilmanifesto.it

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