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Il Manifesto Rassegna Stampa
23.07.2015 Il travaso di bile di Michele Giorgio: un pezzo (inconsapevolmente) spassoso
Il suo attacco sfrenato a Renzi è la miglior prova della bontà del discorso del premier alla Knesset

Testata: Il Manifesto
Data: 23 luglio 2015
Pagina: 7
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Renzi, slogan alla Knesset»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 23/07/2015, a pag. 7, con il titolo "Renzi, slogan alla Knesset", il commento di Michele Giorgio.

Di rado, prima di oggi, avevamo avuto occasione di leggere un articolo tanto divertente. Un divertimento non voluto dall'autore ma inconsapevole, e per questo tanto più grande.
Nel pezzo Michele Giorgio attacca senza mezze misure Matteo Renzi, dando il la a un pianto dirotto. Tra le frasi più lamentose, e quindi patetiche, "
Si sa dove da sempre batte il cuore del Presidente del Consiglio". Il discorso di Renzi alla Knesset, invece è definito "minuti di esaltazione acritica di Israele, di dichiarazioni d'amore eterno".
Prendiamo atto del travaso di bile subito da Michele Giorgio. Ce ne facciamo una ragione. Resta il fatto che l'attacco senza limiti di Giorgio e del Manifesto è la miglior prova della bontà del discorso di Renzi. Vedremo se alle parole Renzi farà seguire i fatti. Per ora, comunque, non possiamo fare a meno di sottolineare che nessun leader di centro-sinistra italiano, fino a oggi, aveva mai avuto posizioni su Israele come quelle espresse ieri dal premier alla Knesset.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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Ecco l'immagine che ha provocato un travaso di bile a Michele Giorgio e ai suoi compari del Manifesto, una genìa per fortuna in via di estinzione

Matteo Renzi si proclama l'artefice della ripresa dell'Italia, il capo del governo che ha rilanciato il nostro Paese, anche in politica estera. Ma il suo primo viaggio ufficiale in Israele, ieri e martedì, con una breve parentesi a Betlemme dove ha incontrato il leader dell'Anp Abu Mazen, ha confermato che dell'Italia lui rappresenta l'inconsistenza nelle questioni che contano. Il primo ministro di un Paese che è parte del G8, punto sul quale insiste Renzi, non può limitarsi a ripetere slogan e ovvietà quando si confronta con una delle crisi centrali del nostro tempo, quella israelo-palestinese.

Una questione che chiama in causa la legge internazionale, le Convenzioni di Ginevra, il ruolo delle Nazioni unite e della Corte penale internazionale, che condiziona la politica estera di paesi arabi ed occidentali e che continua a generare attivismo e passioni in tutto il mondo. È in queste occasioni che un protagonista della scena internazionale si dimostra tale. Matteo Renzi ha confermato di non esserlo.

Si sa dove da sempre batte il cuore del Presidente del Consiglio. E lo ha confermato lui stesso ieri a Gerusalemme con il discorso che ha pronunciato davanti alla Knesset, presente il premier Netanyahu. Trenta minuti di esaltazione acritica di Israele, di dichiarazioni d'amore eterno condite da storie personali che da un lato hanno suscitato l'applauso di deputati, ministri e del folto pubblico presente ma dall'altro devono essere apparse troppo enfatiche agli stessi dirigenti e parlamentali israeliani. «Voi avete il dovere di esistere e di resistere e di tramandare ai vostri figli, come ai miei tre figli - Francesco, Emanuele ed Ester - perché siete un punto di riferimento anche se a volte possiamo avere dei dissensi», ha detto Renzi.

Martedì aveva proclamato che «Israele è il paese delle nostre radici, delle radici di tutto il mondo e anche il paese del nostro futuro». Nessuno vieta a Renzi di esprimere la sua ammirazione per Israele e di banalizzare la storia. Ma il Presidente del Consiglio italiano è anche il rappresentante del terzo Paese dell'Ue e non può riassumere «tutto il resto» in quattro parole: «La pace sarà possibile solo con due Stati e due popoli e solo se sarà garantita piena sicurezza di tutti: il diritto dello Stato palestinese all'autodeterminazione e quello dello Stato ebraico alla propria sicurezza».

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Michele Giorgio avrebbe preferito che, anziché alla Knesset, Matteo Renzi andasse a dialogare con questi distinti signori

Non può limitarsi a pronunciare frasi ad effetto, per compiacere Netanyahu e i suoi ministri, come «Chi pensa di boicottare Israele non si rende conto di boicottare se stesso, di tradire il proprio futuro. L'Italia sarà sempre in prima linea nel forum europeo e internazionale contro ogni forma di boicottaggio sterile e stupido». Perché dall'altra parte del Muro costruito da Israele in Cisgiordania e che Renzi ha certamente visto mentre si recava a Betlemme - Silvio Berlusconi riuscì addirittura a non scorgerlo - ci sono quasi tre milioni di palestinesi che reclamano libertà, fine dell'oppressione e dell'occupazione militare israeliana. E ci sono due milioni di palestinesi di Gaza che vivono in una prigione a cielo aperto che possono aprire e chiudere solo Israele e l'Egitto di Abdel Fattah al Sisi, quello figlio del golpe, delle centinaia di condanne a morte, degli attivisti anti Mubarak sbattuti in galera, della libertà di stampa negata, del quale il Presidente del Consiglio si è detto un sostenitore e uno stretto alleato. E non si possono dimenticare i cinque milioni di profughi palestinesi sparsi nei campi di Libano, Siria e Giordania.

Renzi, davanti alla Knesset, non ha mai pronunciato la parola occupazione, non ha fatto riferimento alle risoluzioni internazionali, ha evitato di affrontare la questione della colonizzazione dei territori occupati, ha ricordato solo le sofferenze israeliane per i razzi palestinesi di un anno fa dimenticando i 2200 palestinesi uccisi, tra i quali centinaia di bambini, e le distruzioni immense subite da Gaza sotto bombardamento israeliano per 50 giorni.

Chi proclama di voler fare grande l'Italia non può chiudere nello scantinato i palestinesi e i loro diritti, come ha fatto il primo ministro italiano ieri durante il breve passaggio per il palazzo presidenziale a Betlemme. Durante la conferenza stampa con Abu Mazen (non aperta alle domande dei giornalisti) il presidente palestinese ha denunciato la colonizzazione. «La continua costruzione di colonie da parte di Israele fa perdere speranza al popolo palestinese che attende la sua patria da circa 70 anni», ha detto, aggiungendo subito dopo «ma le nostre mani sono tese per la pace verso i nostri vicini israeliani sulla base delle risoluzioni internazionali». Renzi è rimasto impassibile. Poi, come se Abu Mazen non avesse mai aperto bocca, ha esortato il leader palestinese a «lottare contro il terrorismo», promettendo l'assistenza dell'Italia all'economia e lo sviluppo dei territori palestinesi. Pane non libertà.

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