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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/05/2017, a pag. 13, con il titolo "Il governo nei tunnel del Muro del Pianto così Netanyahu sfida chi vuole la pace", l'intervista di Francesca Caferri a Assaf Gavron.
Le opinioni di Assaf Gavron sono naturalmente legittime, ma vedono solo una faccia della realtà di Israele. Quella che non compare nelle parole di Gavron è la realtà del terrorismo palestinista, che vuole la distruzione di Israele. Quello che manca costantemente nelle dichiarazioni di Assaf Gavron e di altri scrittori israeliani è un'analisi del terrorismo e in generale dell'odio diffuso nel mondo arabo e musulmano contro Israele ed ebrei. Una opinione, quella dello scrittore, di conseguenza parziale. La sua idea secondo cui Gerusalemme sarebbe unita solo formalmente, ma di fatto divisa, inoltre, non tiene conto che oggi nella capitale israeliana per tutti i cittadini c'è eguale libertà. Ecco l'intervista:
Gavron, che messaggio trasmettono le foto del governo riunito in una zona contesa? «Quelle foto sono il tentativo di mostrare che Gerusalemme è una città unita. Ma contrastano con la realtà: la realtà è che Gerusalemme non è una città, sono due. Ci sono differenti sistemi burocratici, diversi sistemi di istruzione e di trasporto e ci vivono persone diverse: ebrei solitamente benestanti a Ovest, arabi solitamente poveri a Est. Due mondi opposti, due stili di vita opposti». Il premier Netanyahu non sarebbe d’accordo con il suo giudizio: uno dei progetti approvati ieri prevede la costruzione di una funivia per collegare Gerusalemme Ovest alla città vecchia, situata a Gerusalemme Est, in un tentativo di unire le due zone… «Il mio non è un giudizio: è un fatto. Basta aprire gli occhi per vedere i due mondi che ci sono in quella città. Le rispondo con un altro fatto: in quella riunione è stato approvato anche un nuovo sistema di fognature per Gerusalemme Est: il che le dice che anche le fognature sono separate in questa città. Oltre a tutto il resto». La città è sotto un controllo unico da 50 anni: davvero non è cambiato nulla? «È cambiato che è una città fallita. L’unica capitale al mondo, credo, che non viene riconosciuta dalla maggior parte dei Paesi stranieri e in cui non ci sono ambasciate, perché tutte sono a Tel Aviv». Cinquanta anni dalla Guerra dei Sei giorni: che Paese è quello che si presenta a questo appuntamento? «Un Paese diviso, in cui una buona parte della cittadinanza non si riconosce nel governo. Ma questa non è una novità: è accaduto per anni da voi in Italia quando c’era Silvio Berlusconi, accade oggi negli Stati Uniti con Donald Trump. I sistemi democratici concedono il potere a chi prende più voti: posso non essere d’accordo, ma questo è quello che è accaduto qui. È un Paese con molti problemi quello che si specchia in questi 50 anni, che ancora convive con la realtà dell’occupazione e che pare avere sempre meno speranze». La sua di speranza qual è? «Fatico a dirle cosa vedo nel futuro di questo Paese, non saprei davvero dire cosa sarà di noi. Posso solo sperare che questo periodo finisca presto e che si riesca a creare una vera convivenza con i palestinesi». Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante rubrica.lettere@repubblica.it |
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