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La Repubblica Rassegna Stampa
12.04.2017 Il coraggio di un musulmano che denuncia i crimini dei Paesi islamici
Alexandre Devecchio intervista Kamel Daoud

Testata: La Repubblica
Data: 12 aprile 2017
Pagina: 31
Autore: Alexandre Devecchio
Titolo: «'Noi, scrittori liberi in lotta contro il videogioco islamista'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/04/2017, a pag. 31, con il titolo 'Noi, scrittori liberi in lotta contro il videogioco islamista', l'intervista di Alexandre Devecchio allo scrittore algerino Kamel Daoud.

Denunciare i crimini di odio diffusi nel mondo islamico significa mettere a rischio la propria stessa vita. E' il caso dello scrittore algerino Kamel Daoud, tra i pochi che hanno avuto il coraggio di fare questo passo. Invece di incoraggiarlo e proteggerlo, c'è chi in Occidente lo accusa di "islamofobia".

Ecco l'intervista:

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Alexandre Devecchio

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Kamel Daoud - la copertina del suo libro (Bompiani ed.)

Lo scrittore algerino Kamel Daoud evoca in ordine sparso le rivoluzioni arabe, gli stupri del 31 dicembre 2015 a Colonia, l’ascesa dell’islamismo e i fantasmi del passato coloniale che tormentano sia l’Algeria che la Francia. Uomo libero e ribelle, colui che ha dedicato un romanzo al Meursault dello Straniero intinge la penna nello stesso calamaio di Albert Camus.

Perché ha intitolato la sua raccolta di cronache “Mes indépendances” (Le mie indipendenze)? «In Algeria, la parola “indipendenza” è sovraccarica di significato. Rimanda alla guerra d’Algeria e alla liberazione del Paese, una tappa fondamentale. Oggi, però, il riferimento onnipresente all’indipendenza nazionale è diventato un inganno, che occulta la lotta necessaria per un’altra liberazione, quella dell’individuo. Ho voluto fare allusione a questa contraddizione tra l’indipendenza di un popolo e la libertà di ciascuno. L’obiettivo fondamentale per l’intellettuale del Sud del mondo è liberarsi, affermarsi di fronte all’ascesa dei conservatorismi religiosi e delle tradizioni collettivistiche. È importante anche allontanarsi dalle proprie famiglie ideologiche».

Vale a dire… «In Algeria, la tradizione intellettuale è quella di ritenere che la colonizzazione sia la causa di tutti nostri mali. La colonizzazione è stata un crimine, ma la responsabilità del presente è nostra. Se in Algeria c’è una noncuranza criminale nei confronti del futuro, dello sfruttamento sconsiderato delle risorse, dell’educazione dei più giovani, non è colpa della Francia, ma nostra. Per averlo scritto sono stato linciato, trattato come “scherano della Francia”».

Lei si oppone al regime. Ma non è il miglior baluardo contro gli islamisti? «No, il regime e gli islamisti sono alleati, perché è più facile governare dei credenti che dei cittadini».

Le primavere arabe hanno lasciato il passo all’inverno islamista… «L’attualità mediatica ha trasformato la storia in uno spettacolo da cui ci si aspetta una conclusione rapida. Ma la storia non è un blockbuster americano. Non sono stati gli islamisti a fare le rivoluzioni arabe, ne hanno approfittato. Hanno soldi, controllano corporazioni professionali, reti di moschee, canali satellitari. Un laico o un democratico, quando è famoso, dispone dei suoi diritti d’autore. Gli islamisti hanno un regno intero dietro di loro: l’Arabia Saudita e i suoi milioni di petrodollari».

Dove sono i progressisti nel mondo arabo? «C’è una corrente profonda, anche se resta minoritaria e non è visibile in Europa a causa dell’effetto distorsivo della lente mediatica».

L’islamismo avanza anche in Europa… «Non sono sorpreso. In Algeria lo abbiamo vissuto e lo abbiamo visto arrivare da voi. In primo luogo perché il malessere francese è stato preso d’assalto da un’ideologia aggressiva. In secondo luogo, perché i musulmani di Francia restano in silenzio e lasciano il monopolio dell’islam agli islamisti. Infine, c’è una compiacenza delle élite francesi nei confronti dell’islamismo. La sua dimensione totalitaria viene ignorata. Durante la guerra civile degli anni Novanta, la Francia dava lezioni all’Algeria. In nome dei diritti dell’uomo, bisognava lasciare il passo a dei fascisti. A rischio di sembrare crudele, confesso che a volte avremmo voglia di dire “Ben vi sta!”».

Come spiega l’attrazione che esercita questa ideologia? «Come tutte le ideologie totalitarie, l’islamismo è un sistema globale che offre risposte confortanti a tutti gli interrogativi esistenziali. L’islamismo spiega in un colpo solo la sessualità, il corpo, la politica. È una sorta di videogioco teologico che disattiva il senso di colpa e l’angoscia della morte: se ammazzi qualcuno, è legittimo; se ti fai esplodere, vai in paradiso. Sull’altro versante, non c’è nessuna alternativa ideologica altrettanto potente».

Dopo i suoi articoli sugli stupri commessi a Colonia il 31 dicembre 2015, l’hanno accusata di essere “islamofobo”. A quel punto lei ha deciso di smetterla con il giornalismo… «Quello che avevo da dire, l’ho detto. Ho subito pressioni dagli islamisti in Algeria, ho già addosso i religiosi, i conservatori, il regime, non volevo combattere anche con dei professori universitari francesi. Ho provato il desiderio di tornare a me stesso, di leggere, di scrivere romanzi. Ho capito che dovevo trattare queste questioni in un altro modo. Nel mio editoriale su Colonia ho sostenuto che al Sud abbiamo un problema con il corpo e il sesso. Il corpo è il luogo che rivela più di tutti il nostro rapporto con la vita. Se hai un rapporto di disagio con il corpo, significa che non hai un desiderio sano del mondo. La donna dona la vita: se hai un rapporto patologico con la donna, significa che hai un rapporto patologico con la vita. Nessuno ci ha fatto caso, ma in quell’articolo criticavo anche l’Occidente e il suo rapporto con l’alterità. Spiegavo che chiudere le porte significa anche sparare dalle finestre. Le paure sono legittime, ma cosa si può fare? Chiudere le frontiere? Tuttavia, aggiungevo che quelli che vengono a cercare in Francia la libertà devono partecipare alla libertà. I migranti non sono venuti a cercare asilo in Arabia Saudita, ma in Germania. Perché? Per la sicurezza, la libertà, la prosperità. E allora non devono venire per creare dei nuovi Afghanistan. Un Paese ha delle leggi, delle usanze, dei costumi che bisogna rispettare, altrimenti si va a vivere in Arabia Saudita».

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