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La Repubblica Rassegna Stampa
16.12.2016 La fisica (forse) unisce, ma quanta disinformazione sul velo
Elena Dusi intervista la fisica egiziana Gihan Kamel

Testata: La Repubblica
Data: 16 dicembre 2016
Pagina: 35
Autore: Elena Dusi
Titolo: «L'esperimento di Gihan: 'Io, unica donna tra i fisici del sincrotrone che unirà il Medioriente'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/12/2016, a pag. 35, con il titolo "L'esperimento di Gihan: 'Io, unica donna tra i fisici del sincrotrone che unirà il Medioriente' ", l'intervista di Elena Dusi alla fisica egiziana Gihan Kamel.

Vedremo come evolverà l'interessante iniziativa scientifica del Sincrotrone in Medio Oriente: Israele non ha mai smesso di tendere la mano ai vicini arabi, che invece hanno finora sempre rifiutato ogni iniziativa comune.

La giornalista Elena Dusi, invece, disinforma nella prima parte dell'articolo, quando introduce l'intervistata con queste parole: "
Il velo sui capelli che ne esalta il sorriso e la forma degli occhi. Un look colorato e brillante". Da mezzo di sottomissione della donna, Dusi trasforma il velo in oggetto esclusivamente estetico, un esempio di terzomondismo tipico sui nostri media  l'appeasement all'islam.

Ecco l'articolo:

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Elena Dusi

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Gihan Kamel

Il velo sui capelli che ne esalta il sorriso e la forma degli occhi. Un look colorato e brillante, come il suo modo di parlare. Gihan Kamel, 40 anni, fisica egiziana, è l’unica donna dello staff scientifico di Sesamo. «Ma solo per ora» ci tiene a precisare. Da un anno e mezzo lavora al laboratorio scientifico a 35 chilometri da Amman che al suo interno fa circolare particelle e propositi di pace. «Ancora poche settimane, poi tutto sarà pronto per il via ufficiale» dice di un progetto nato in Medio Oriente nel lontano 1997. Il sogno allora era quello di sfruttare la scienza per appianare i conflitti, come il Cern di Ginevra fece per l’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale. Oggi a Sesamo (il cui nome per esteso è ”Synchrotron light for experimental science and applications in the Middle East”) partecipano nove paesi spaccati fra loro da più di una faglia sismica: Israele, Autorità Palestinese, Giordania, Egitto, Turchia, Cipro, Pakistan, Iran e Bahrein. A guidarli, come direttore scientifico, c’è il fisico italiano Giorgio Paolucci, anche in virtù del ruolo che il nostro Istituto nazionale di fisica nucleare ha giocato nel promuovere questo strumento chiamato sincrotrone: un acceleratore di elettroni che genera una “luce” utile per studiare molecole e materiali come sotto a un microscopio potentissimo. Per ora, dopo tanti anni di ricerche di fondi e di strumenti, lo shock di due scienziati iraniani uccisi da due autobombe (nel 2009 e nel 2010), una nevicata record per questa regione che ha fatto crollare il tetto del laboratorio (2013), ci si accontenta di far partire gli esperimenti. Per la pace, si vedrà.

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Il laboratorio presso Amman

Cos’è esattamente Sesamo? «Un laboratorio scientifico, prima di tutto. Ma anche molto di più. Sul fronte della scienza ci permetterà di studiare la struttura di molecole utili in medicina, di penetrare nei segreti dei materiali, di sottoporre a test molto accurati i reperti archeologici. Poi c’è la sfida di lavorare insieme a persone che provengono da paesi e culture diverse, e che spesso sono coinvolte in conflitti storici. Da questo punto di vista, Sesamo è una realtà unica».

Come è arrivata a Sesamo? «Mi sono laureata in fisica all’università di Helwan, al Cairo. Poi ho fatto un dottorato di ricerca a Roma, alla Sapienza. Studiavo la struttura di alcune nanoparticelle, in particolare come si legavano a determinate proteine del nostro organismo per mettere a punto nuovi farmaci. Ho proseguito il lavoro, in forma più avanzata, per un altro anno, dal 2014, ai laboratori dell’Infn di Frascati. Poi sono stata chiamata a Sesamo. Il mio campo si chiama biofisica, è a cavallo fra la fisica e la medicina. E anch’io mi sento a cavallo fra vari mondi. Prima per esempio portavo sempre con me una bandiera egiziana. Da quando lavoro a Sesamo non lo faccio più. La sfida qui è cancellare ogni etichetta, sia essa la nazionalità o il fatto di essere donna».

Quanto è comune per le ragazze nel suo paese studiare a livelli così alti? «Troppo poco. E io devo molto, ma davvero molto, alla mia famiglia. Arrivare alla laurea è abbastanza comune, ma per gli ambienti più religiosi o tradizionali mandare una figlia all’estero a specializzarsi è spesso un tabù. In questo Sesamo può essere un grande aiuto. Permetterà a molte ragazze di fare ricerca avanzata senza, in un certo senso, andare davvero all’estero. La Giordania, rispetto ad altri paesi, per molte scienziate arabe è abbastanza di casa. Non è un caso che fra le nuove domande di lavoro che Sesamo ha ricevuto l’80% provenga da donne. Non sono esattamente domande per impieghi fissi, ma proposte per condurre esperimenti usando la macchina per un certo periodo di tempo. Potremo finalmente dimostrare che anche le scienziate arabe sono molto preparate. E sono capaci di lavorare duro, quando è necessario ».

Ad Amman avete un campus oppure ognuno vive per conto suo? «Non c’è un campus, abbiamo sistemazioni autonome».

Parlate spesso di politica? «A volte si chiacchiera su quel che ci sta accadendo intorno. A volte no, preferiamo evitare, perché ci rendiamo perfettamente conto che potrebbero nascere rancori o divisioni fra noi».

Com’è il rapporto con gli scienziati israeliani? «In questo momento non ce ne sono. Li incontriamo in occasione dell’assemblea annuale degli scienziati che fanno esperimenti con Sesamo. E in quelle occasioni il colpo d’occhio dei ricercatori provenienti da tutti i paesi, membri e osservatori, è davvero incredibile».

È vero che non avete nemmeno una caffetteria, il luogo dove in genere avvengono gli scambi di idee? «È vero, ma non è un problema. Non ci mancano gli spazi dove confrontarci. Ma preferiamo parlare di scienza. È il nostro lavoro, il motivo per cui siamo qui».

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