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La Repubblica Rassegna Stampa
22.11.2015 Martin Amis e Alain Finkielkraut difendono la libertà dall'oscurantismo islamico
Intervistati da Antonio Monda e Vincent Tremolet De Villers

Testata: La Repubblica
Data: 22 novembre 2015
Pagina: 14
Autore: Antonio Monda-Vincent Tremolet De Villers
Titolo: «Attaccano l'Occidente del pensiero libero-Addio illusioni stiamo vivendo la fine della Fine della Storia»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/11/2015, a pag.14 e 16, due interviste. Quella a Martin Amis di Antonio Monda e quella a Alain Finkielkraut di Vincent Tremolet De Villers.

Antonio Monda-Attaccano l'Occidente del pensiero libero

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Martin Amis                                                  Antonio Monda

Martin Amis sta seguendo con angoscia l'escalation degli attacchi terroristici per mano del fondamentalismo islamico e arricchisce una riflessione che ha avviato sin dall' i l settembre lamentando uno smarrimento che può essere causa di ulteriori tragedie. «Nessuno sembra avere un'idea chiara su come reagire», racconta nella sua casa di Brooklyn, dove sta preparandosi per andate a Parigi. «Non ce l'hanno i politici, a cominciare da Obama, non ce l'hanno gli intellettuali, e non ce l'hanno neanche i giornalisti: è un orrore al quale non siamo preparati, nonostante siano ormai decenni che ci siano degli evidenti segni terribili. E questo è un ennesimo elemento tragico, che aggrava la situazione». In occasione dell'uscita del suo romanzo "La zona d'interesse" lei ha paragonato il fondamentalismo islamico al nazismo. «È una minaccia ugualmente grave per la civiltà: ci sono ovviamente molte d i ffere nze, ma anche varie affinità, a cominciare dalla barbarie delle idee professate, alla violenza estrema anche nei confronti dei più indifesi, alla capacità di conquistare alle rispettive cause i più deboli, frustrati e ignoranti. Io continuo a sperare che questo radicalismo così estremo si riveli insostenibile a lungo: Hitler è durato 12 anni, e, per cambiare colore politico, Pol Pot ancora meno». Quando ha usato questo paragone ha parlato di "nichilismo". Ma nel caso del fondamentalismo islamico ci troviamo di fronte ad una fede religiosa, che non è nichilista, e anzi, come tutte le religioni, ha delle promesse. «Quello che è successo a Parigi e in Mali sembra lasciare pochi margini di speranza, ma non voglio desistere: credo che proprio in questa estrema virulenza ci siano i germi di qualcosa che prima o poi ne causerà la fine. Quando ho parlato di nichilismo pensavo ai massacri di giovani e bambini e al totale disprezzo per la vita. Oggi stiamo affrontando qualcosa di inedito: ad esempio l'uso di terroriste donne, cosa che Al Qaeda non faceva. E non si può sottovalutare l'attrazione nei confronti dei giovani che vedono qualcosa di forte in quel messaggio di morte e distruzione. Quello che per noi è abominevole per questi ragazzi è motivo di vita: un'opportunità di riscatto, anche sociale, e di redenzione. È necessario poi ricordare che il bacino nel quale crescono questi fermenti è all'interno di stati falliti e disastrati. È su queste basi che si forma un nuovo tipo di essere umano, un fanatico che ha il disprezzo della vita, della morale e della pietà». D disprezzo della vita oggi sembra l'arma più forte nelle mani dei terroristi. «Per comprendere quello che sta succedendo consiglio la lettura dell'Agente Segreto di Joseph Conrad, scritto nel 1907. C'è un personaggio, chiamato il "professore", che spiega che i terroristi sono più potenti perché venerano la morte più della vita». L'Is ha conquistato adepti anche in Occidente. «Questo è un altro tragico elemento nuovo. Anche in questo caso bisogna riflettere sull'ignoranza, la frustrazione, e la necessità di affermarsi: un personaggio come Jihadi John voleva essere potente e temuto. È necessario riflettere anche sulla perdita di valori forti: fin quando il loro credo è assoluto come è la religione, e il nostro è relativo come è il nostro pensiero attuale, saremo più deboli». Raccontando l'hitlerismo lei ha affermato che ci sono molti elementi incomprensibili: si può affermare lo stesso sul fondamentalismo islamico? certoche in questa loro violenza ci siano molti elementi irrazionali, ma per quanto riguarda Hitler riprendevo pareri di molti storici illustri, che ritengono che sia fuori dalla logica e in qualche modo fuori dalla storia. Oggi ci troviamo di fronte alla degenerazione di una religione profes *** lata da più di un miliardo di persone: non si può affatto sottovalutare questa matrice, anche se la violenza è perpetrata da un'esigua minoranza. La loro arma nasce dalla fede, prima ancora dei mitra o le bombe». Gli attacchi parigini sono stati ad uno stadio, un ristorante e una sala da concerto. «E evidente il significato simbolico: odiano quello che siamo, il nostro modo di vivere e le nostre libertà. C'è un elemento propagandistico per cui colpiscono la "Babilonia di corruzione dell'occidente"». Nella lectio magistralis pronunciata a Ratisbona, Benedetto XVI parlò di violenza insita in alcuni passi del Corano. «Fece un discorso molto preciso e colto, sul quale bisogna riflettere senza volgarizzarlo o strumentalizzarlo. C'è un dato oggettivo, sul quale tuttavia si deve riflettere: Maometto è stato non solo un profeta, ma anche un soldato. È stato Cristo e Cesare». Lei crede nella possibilità di dialogo con l'Islam moderato? «Più che credere lo auspico, ma vedo un mondo, certamente maggioritario, intimidito e tenuto sotto scacco da un'identità religiosa». C'è chi attribuisce parte del problema al conflitto israelo-palestinese. «Quello che succede in Medio Oriente ha certamente un ruolo in questa tragedia, ma ho sempre paura quando si comincia ad accusare gli ebrei di responsabilità morali, sociali o economiche: la storia ci ha insegnato cosa ha generato questo modo di pensare». Ritiene che esistano alternative alla guerra? «Neanche io ho risposte precise: posso solo augurarmi che il califfato venga distrutto o fallisca perché rigettato dalle stesse popolazioni. E penso che più dei bombardamenti sia efficace colpire ciò che finanzia il fondamentalismo, a cominciare dal petrolio e le armi».

Vincent Tremolet De Villers-Addio illusioni stiamo vivendo la fine della Fine della Storia

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Alain Finkielkraut

A una settimana dal 13 novembre, il filosofo Alain Finkielkraut (autore de L’identità infelice, tradotto da Guanda, ndr) esprime il suo avvilimento e la sua preoccupazione e si pronuncia con contro “l’etnocentrismo della cattiva coscienza dell’Occidente”. Le sue parole severe suscitano un’eco profonda nell’inconscio collettivo. Da molti intellettuali del suo Paese è regolarmente definito un “populista” che guida lo stormo “degli uccelli di sventura”. La parola “guerra” è sulla bocca di tutti. Qual è il sentimento che prevale in lei? «L’avvilimento e persino la disperazione. La sparizione delle grandi ideologie poteva lasciar sperare nell’avvento di un mondo unito e pacificato secondo la triplice entità costituita dell’economia di mercato, internet e i diritti dell’uomo. L’illusione ora è svanita in maniera brutale: stiamo vivendo la fine della fine della Storia. La Storia si è ripresentata in un Paese e in un continente che credevamo ormai invulnerabili. Questa Storia non è bella. Non è la realizzazione trionfale dello spirito descritto da Hegel. Non è il progresso dell’umanità verso la sua realizzazione finale. In poche parole, non è la Signora storia, ma la storia con l’S maiuscola, quella che in nome dei “crociati” e degli “empi” può annientarci in qualsiasi momento, in ogni luogo, quale che sia la nostra età, sesso, professione o appartenenza. Gli spettatori del Bataclan e i clienti de La Bonne Bière, de La Belle Équipe, del Carillon e del Petit Cambodge non indossavano l’uniforme. Non militavano per una causa. Bevevano un bicchiere, cenavano, ascoltavano un concerto: eppure sono stati uccisi. Vivremo pure in democrazia, ma il totalitarismo della Storia è ormai tra noi. La Storia ci priva del nostro diritto alla spensieratezza». Il nostro nemico è il terrorismo? «Con l’Unione europea abbiamo voluto instaurare il regno della pace perpetua. Il nostro sogno elvetico ora si è frantumato sulla realtà dell’islamismo. Dell’odio che prova per noi, questo nemico non ha mai fatto mistero. Eppure abbiamo trascurato di identificarlo». Prima del 13 novembre, c’era molta tensione nel dibattito tra gli intellettuali francesi. È possibile ora un’unità? «Sulla mia testa è stata messa una taglia per il crimine di aver menzionato il nemico e di aver fatto il processo al Sé (vale a dire, all’identità nazionale), invece di denunciare le umiliazioni inflitte all’Altro. Contro questo pensiero “nauseabondo”, L’Observateur ha riproposto l’appello dei nuovi intellettuali di sinistra prendendosela con “Finkielkraut, Zemmour e altri”. Alain Badiou ha spiegato perfettamente serio che non poteva partecipare alla mia trasmissione Replicas perché nel mio pensiero era “diventato centrale” il “concetto neonazista di Stato etnico”. Questa impudenza dimostra la ferocia dell’ideologia che oggi regna in Francia. Si preferisce abbattere il messaggero piuttosto che ascoltare un messaggio che obbliga a confrontarsi con la realtà ». L’esercizio di osservare la realtà, non è un modo di resistere alla tentazione dell’integrazione? «L’islamismo non è tutto l’islam. Tuttavia, esso non è neppure un fenomeno marginale o una creazione dell’Occidente. Noi non abbiamo generato questo mostro con le nostre politiche neocoloniali e la nostra discriminazione. Non stiamo pagando per i nostri crimini. L’obbligo della jihad, come spiega Bernard Lewis, poggia sull’universalità della rivelazione islamica. La jihad non è contraccolpo, bensì un progetto di conquista. L’Occidente deve liberarsi della convinzione megalomane di dettare sempre lui le danze». Siamo pronti per questa lunga lotta? «Lottare contro l’islamismo vuol dire trovare i mezzi per riconquistare i territori perduti in Francia ricostruendo, per esempio, la scuola repubblicana. Occorre anche controllare i flussi migratori, perché più arrivano immigrati dal mondo arabo- musulmano, più la comunità nazionale si frammenta e la propaganda radicale prende piede. Ma siamo in tempo?».

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