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La Repubblica Rassegna Stampa
23.03.2015 Donne a capo scoperto: in Iran è un crimine
Lo racconta la blogger Masih Alinejad, intervistata da Anna Lombardi

Testata: La Repubblica
Data: 23 marzo 2015
Pagina: 19
Autore: Anna Lombardi
Titolo: «Quei selfie a capo scopertyo: 'Noi contro Teheran'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/03/2015, a pag. 19, con il titolo "Quei selfie a capo scopertyo: 'Noi contro Teheran' ", l'intervista di Anna Lombardi alla blogger e attivista iraniana Masih Alinejad.

E' questo l'Iran con il quale Obama e la UE vogliono firmare un accordo per concederegli anche l'arma nucleare.


Masih Alinejad

«Essere donna in Iran è una battaglia continua. Devi lottare ogni giorno per affermare diritti basilari». E lei, Masih Alinejad lo sa bene. Attivista iraniana, 38 anni, vive in esilio fra Londra e New York. Appena premiata a Ginevra con il Women’s Right Award, il premio per i diritti delle donne assegnato dal Summit for Human Rights and Democracy, ricorda bene quando, giornalista in patria, alle sue domande scomode i politici di Teheran rispondevano aggredendo la sua femminilità.


Questo è il modello femminile unico imposto dal regime iraniano

«Zitta tu. Prima di parlare sistemati i capelli». Quei capelli folti e ricci che sono sempre stati il suo tormento e il suo orgoglio. Al punto da trasformarli in bandiera: capelli al vento contro il regime di Teheran. Eccola la blogger che ha, letteralmente, svelato le donne iraniane: invitandole a mostrarsi a capo scoperto sul sito My Stealthy Freedom. Una sfida. Di più: per l’Iran, un crimine.

Come ha fatto? «Da quando ho lasciato l’Iran nel 2009, costretta a fuggire per le mie inchieste sulle brutalità del regime, sono sempre stata molto attiva in rete. Faccio da megafono a quelli che sono rimasti in patria. Ma la mia pagina Facebook era un cimitero: postavo solo esecuzioni, torture, arresti. Così un giorno postai una mia foto a capo scoperto: per cambiare atmosfera. Ebbi centinaia di commenti: “Facile per te. Sei all’estero, puoi permettertelo”. Ma non era quello il punto. Il giorno dopo postai una foto di me a capo scoperto scattata in Iran qualche anno prima. Una bravata, un attimo di libertà rubata. Con la scritta: “Andiamo, chi di voi non ha una foto così scattata in Iran?”. La risposta ha sorpreso anche me: sono stata bombardata di foto. Centinaia di migliaia: così tante da spingermi a creare una pagina dove le donne possono esprimere se stesse e mostrare il vero volto dell’Iran».

Di cosa hanno paura? «In Iran quando ti vogliono zittire non attaccano mai le tue opinioni. Puntano sempre alla tua sessualità. Ti chiamano brutta perché pensano sia un modo di spezzarti. Ti chiamano prostituta. Io sono stata diffamata in ogni modo».

È stata costretta a lasciare l’Iran, riceve minacce continuamente. Ne è valsa la pena? «È vero, ho perso tutto. La mia famiglia, gli amici, la mia casa, i miei libri, le mie memorie. È rimasto tutto lì. Sono partita senza nulla perché non potevo restare in silenzio. Ma in esilio ho costruito una famiglia più grande…».

Le donne che postano le loro foto svelate cosa rischiano? «Farsi fotografare a capo scoperto è pericoloso. Rischiano il carcere e anche peggio. Ma è un rischio che prendono per essere se stesse. Essere donna in Iran è pericoloso comunque. Con le foto hanno trovato un modo per unirsi e farsi sentire».

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