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La Repubblica Rassegna Stampa
21.02.2015 Prendere a calci la logica: per Fareed Zakaria il terrorismo islamico non è 'islamico'
E la Repubblica peggiora le cose con un titolo assurdo

Testata: La Repubblica
Data: 21 febbraio 2015
Pagina: 17
Autore: Fareed Zakaria
Titolo: «Perché è giusto non chiamare 'islamico' il terrore dell'Is»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 21/02/2015, a pag. 17, con il titolo "Perché è giusto non chiamare 'islamico' il terrore dell'Is", l'analisi di Fareed Zakaria.

Fareed Zakaria, già direttore di NewsWeek, non ne ha mai imbroccata una. E continua anche oggi secondo tradizione.

Zakaria non prende minimamente in considerazione la credibilità e il credito che il progetto del Califfato ha per decine, forse centinaia di milioni di musulmani. Mettere a confronto il numero dei terroristi che militano nelle schiere dello Stato Islamico e quello totale dei musulmani è insensato. Infatti è proprio dall'humus condiviso da milioni di persone - un humus culturale fatto di antisemitismo virulento e di ostilità tout court nei confronti dell'Occidente, e che nega letture alternative dell'islam - che scaturisce il terrorismo.
Zakaria inoltre ritiene che definire "islamico" il terrorismo non aiuti alla comprensione. Eppure sono gli stessi terroristi che gridano a gran voce di essere i depositari di quella che ritengono essere l'unica vera religione, l'unico possibile modello di comportamento.

Stando così le cose, difficile trovare un titolo peggiore dell'articolo. Incredibile ma vero, La Repubblica ci riesce.

Ecco l'articolo:


Fareed Zakaria


Terrorista islamico: libro e moschetto, islamofascista perfetto

Il Presidente Obama viene accusato di eccesso di politically correctness perché si rifiuta di accusare gruppi come l’Is di «estremismo islamico», preferendo un termine più generico come «estremismo violento». I suoi contestatori sostengono che non si può combattere un nemico se non gli si dà un nome, e perfino i suoi sostenitori giudicano l’approccio del presidente eccessivamente «professorale». Ma Obama non è uno studioso che deve preoccuparsi di dare una definizione accurata del fenomeno, sta scegliendo deliberatamente di non enfatizzare l’aspetto religioso dello Stato Islamico per ragioni politiche e strategiche. Dopo tutto, quale vantaggio pratico ci sarebbe a definire questo gruppo come islamico? L’Occidente farebbe più bombardamenti? Manderebbe più soldati a combatterlo? No, ma in cambio tanti musulmani avrebbero la percezione che la loro religione viene ingiustamente denigrata. E quegli importanti esponenti del mondo musulmano che denunciano costantemente lo Stato Islamico sostenendo che non rappresenta la loro religione si sentirebbero scoraggiati.

Ma «lo Stato Islamico è islamico. Molto islamico », scrive Graeme Wood in un lungo e discusso articolo pubblicato sull’ Atlantic Monthly di questo mese. Il saggio di Wood è un intelligente e dettagliato resoconto dell’ideologia che anima l’Is. Non sono individui secolarizzati con obiettivi razionali, sostiene, questa è gente che crede davvero nella sua ideologia religiosa. Ma è ovvio che molti leader dello Stato Islamico credono veramente nella loro ideologia. Le vere domande a cui bisogna dare una risposta sono: perché questa ideologia è spuntata fuori in questo momento e perché riesce ad attrarre un gruppo (ridottissimo, a dire la verità) di uomini musulmani? C’è chi dice che lo Stato Islamico ha «riportato in vita tradizioni che erano rimaste dormienti per centinaia di anni». Esattamente: lo Stato Islamico ha riscoperto — perfino reinventato — una versione dell’islam al servizio dei suoi scopi odierni, una versione di islam come veniva praticato nel deserto quattordici secoli orsono. Il punto più saliente non è certo che l’islam medievale contenga pratiche medievali come la schiavitù (largamente presente anche nella Bibbia), ma le ragioni per cui questa versione dell’islam riesca, ai giorni nostri, a trovare adepti.

Bernard Haykel, un professore di Princeton, afferma che la gente vuole chiudere gli occhi sull’ideologia dell’Is per ragioni politiche. «È il mantra “l’islam è una religione di pace. Come se esistesse l’islam”! L’islam è quello che fanno i musulmani». Giusto. Ci sono 1,6 miliardi di musulmani nel mondo e forse 30 mila membri dello Stato Islamico: eppure Haykel ritiene che la religione sia definita da quello che fa lo 0,0019 per cento dei musulmani. Chi è allora che è mosso da ragioni politiche?

«L’interrogativo più interessante a proposito delle ideologie è perché certe ideologie riescono a far presa in un certo momento», dice Sheri Berman, professore del Barnard College. «Un’ideologia riesce a far presa quando sostituisce un altro insieme di idee che si è dimostrato fallimentare». E in tutto il Medio Oriente, le idee che hanno fallito sono concetti come il panarabismo, il socialismo, il laicismo e anche (agli occhi della gente del posto) i nascenti ten- tativi di democrazia. I regimi che abbracciavano e abbracciano questi principi il più delle volte si sono trasformati in dittature repressive, producendo stagnazione economica e arretratezza sociale. In alcuni casi è crollato lo Statonazione stesso. E di fronte a questo fallimento gruppi come lo Stato Islamico possono dire: «La risposta è l’islam».

Questa battaglia di ideologie è evidente nella vita di un uomo, Islam Yaken, di cui Mona el-Naggar, sul New York Times , ha tracciato un brillante profilo. Yaken, un istruttore di fitness del Cairo, era interessato soprattutto a fare soldi e conoscere ragazze. «Tutti gli uomini sognano di avere addominali scolpiti, per potersi togliere la maglietta in spiaggia o in piscina e farsi ammirare », diceva due anni fa in un video di esercizi fisici. Ma «i suoi sogni hanno cominciato a scontrarsi con la depressione economica e le turbolenze politiche del Paese», osserva l’articolo. Yaken non riusciva a trovare un lavoro decente e cominciò a sognare di lasciare l’Egitto. Mentre la rivoluzione democratica colava a picco e tornava la dittatura militare, la sua alienazione politica cresceva sempre di più. Mettendo in discussione le sue scelte di vita, Yaken cominciò a essere attratto da un’ideologia molto diversa, una versione dell’islam rigorosa e militante. Yaken, che oggi ha 22 anni, combatte in Siria nelle fila dello Stato Islamico. Durante l’ultimo Ramadan ha twittato la foto di un cadavere decapitato. Il tweet recitava: «Le festività non possono dirsi complete senza la foto del cadavere di uno dei cani». Islam Yaken ora è un vero credente. Ma la domanda da porsi sicuramente è: com’è arrivato a questo? E quali sono state le forze che hanno contribuito a portarcelo? Definirlo islamico non aiuta in alcun modo a capirlo.
Washington Post/ La Repubblica (Traduzione di Fabio Galimberti)

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