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La Repubblica Rassegna Stampa
22.01.2015 Charlotte: i colori contro il nazismo
Natalia Aspesi recensisce 'Charlotte' di David Foenkinos

Testata: La Repubblica
Data: 22 gennaio 2015
Pagina: 37
Autore: Natalia Aspesi
Titolo: «Tutti i colori di Charlotte contro il nero dei nazisti»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/01/2015, a pag. 37, con il titolo "Tutti i colori di Charlotte contro il nero dei nazisti", la recensione di Natalia Aspesi al libro di David Foenkinos "Charlotte".

 
Natalia Aspesi                                      David Foenkinos


"Charlotte" (Mondadori)

E' difficile liberarsi da Charlotte, il romanzo di David Foenkinos. Bestseller al primo posto in classifica in Francia. Premio Renaudon e Goncourt des Lycéens 2014. Non è solo la storia, conosciuta, di Charlotte Salomon. A imprigionare ancora una volta il lettore. È il modo in cui Foenkinos ha scelto di raccontarla. Sotto forma di romanzo, ma a frasi mai più lunghe di una riga. Come una poesia senza rima, come un canto imprigionato. Ogni riga un punto e a capo, non a segnare una pausa.

Ma a creare l’affanno che accelera un destino verso l’inevitabile. Verso la tragedia finale. Che Charlotte non potrà raccontare.lo scrittore quarantenne, amato dal pubblico ma non troppo dai critici, ha impiegato otto anni per trovare il modo di scrivere ciò che l’aveva folgorato, una mostra ad Amsterdam dei dipinti su carta con cui, nel 1941-1942, chiusa in una stanza di una pensione a St Jean Cap Ferrat, la giovane Charlotte, ebrea tedesca, aveva raccontato e fantasticato la sua vita: 1325 fogli, dipinti con solo tre pigmenti, rosso, blu e giallo, riuniti sotto il titolo Leben? oder Theater? ein Singespiel ( Vita? O Teatro? un dramma in musica). Ossessionato da quelle gouaches espressioniste, da quella interminabile graphic novel di una vita breve, da quella giovinezza troncata come milioni d’altre dall’Olocausto, Foenkinos, alla ricerca di chi l’aveva conosciuta o dei loro eredi, ha ripercorso in una specie di pellegrinaggio i luoghi dove Charlotte aveva vissuto, nella Berlino dell’alta borghesia intellettuale ebrea integrata, in quella delle prime esclusioni e persecuzioni, e poi sulla Costa Azzurra dove si era rifugiata coi nonni materni, mentre i genitori erano fuggiti ad Amsterdam.


Uno dei disegni di Charlotte Salomon

“Charlotte ha imparato a leggere il suo nome su una tomba”. Così inizia il romanzo, con un tocco funereo che precede la sua nascita, così finisce, anni dopo il suo assassinio ad Auschwitz, con la morte nel 1962 del primo uomo amato, Alfred Wolfsohn, inventore di un nuovo modo di insegnare il canto lirico. Con questa morte, l’autore del romanzo immagina una specie di lieto fine: ad Alfred mandano il catalogo della prima mostra di Charlotte ad Amsterdam, in cui scopre che lei lo ha sempre amato, dedicandogli, col nome di un ricciuto Amadeus Deberlohn dagli occhialoni con la montatura nera, centinaia di disegni appassionati. I disegni esistono, ma nella realtà lui non lo seppe e non li vide mai. Il massiccio libro (non è un catalogo), che accompagnava la grande mostra alla Royal Academy di Londra del 1998, contiene 769 riproduzioni: gouaches incantevoli nella loro frettolosità, talvolta allucinata, di raccontare una vita senza futuro, anche con le parole; e indicando la giusta musica di accompagnamento, che sempre Charlotte canticchiava disegnando, con la passione di creare un singspiel di grandiosità wagneriana: e le musiche indicate andavano da Bach all’inno nazista, da Gluck a Mahler, dalle canzoni popolari tedesche a Schubert.


Un altro disegno di Charlotte

Leggere il romanzo e contemporaneamente sfogliare i dipinti, è un modo di entrare nella vita di Charlotte, una vita che lei ricorda nei colori più foschi o più brillanti, che danno ad ogni evento un’emozione e una premonizione. Come se il suo destino non potesse essere diverso, in quella famiglia laica, colta e benestante, lacerata dal dolore ancora prima dell’avvento nazista. Si è suicidata a 18 anni la prima Charlotte, sorella della mamma, ancor prima si sono suicidati la bisnonna, un suo figlio, sua sorella e il di lei marito, il nipote, e poi, e Charlotte non lo sa, sua madre quando la bambina aveva 9 anni. L’ultima suicida sarà la nonna a Nizza, anche lei gettandosi dalla finestra, in tempo per essere dipinta, con pennellate furibonde, scompostamente a terra in una pozza di sangue. Il graphic drama di Charlotte si concentra sul dolore familiare, e alle prime tragiche azioni antisemite del 1933 a Berlino, alla cacciata dall’ospedale del padre chirurgo e dai teatri della matrigna, alla breve reclusione del padre, l’artista dedica poche tavole. Tutto il reospitata sto è amore: per la madre Franziska, per il padre Albert, per una governante, per la matrigna Paula, cantante lirica, e poi per Alfred, che forse ama entrambe, Paula e Charlotte. “Vita? O Teatro?” affascina, allarma, commuove, si fissa nella memoria, incancellabile: e già nel 1998 ispira il romanzo del saggista Bruno Pedretti Charlotte, La morte e la fanciulla ( da Schubert, titolo di un disegno regalato ad Alfred), pubblicato da Giuntina con la riproduzione di venti tavole. Ma è il nuovo romanzo-poema di Foenkinos ad andare oltre l’ultimo dipinto: Charlotte in costume da bagno, vista di schiena, mentre guardando un mare fosco, dipinge un foglio invaso dal mare stesso. L’autore la fa vivere ancora, rintracciandone l’intensa storia di quel tempo che pare un dono. Sa che ogni giorno può essere l’ultimo, ma intanto la vita continua. È tornata a vivere nella villa Hermitage, dove l’aveva una ricca americana, Odilie Moore, È a lei che vuole affidare i suoi dipinti, per salvarli, ma la signora è già ripartita per gli Stati Uniti, portando con se una decina di orfanelli. «È tutta la mia vita», dice consegnando la valigia che li contiene a un medico gentile, il dottor Moridis, perché li nasconda e quando sarà possibile li dia alla signora Moore. Non sono mesi così terribili, da quando, scoppiata la guerra, alla polizia francese si è sostituita quella italiana, cui gli invasori tedeschi, nostri alleati, hanno affidato il sud della Francia. Foekinos ricorda il diplomatico Angelo Donati che sostenuto dal console italiano Alberto Calisse, annulla le misure antisemite, difende la sinagoga e riesce a far fuggire molti ebrei. Il nonno muore, solo, quel nonno dalla lunga barba bianca che la perseguita, che forse ha tentato pressioni sessuali, come appare in un paio di dipinti.
“Tempo dopo, in una lettera, confesserà di averlo avvelenato”.
“È la verità?”
“È teatro?”

In pochi mesi sospesi, forse un anno, Charlotte condensa una intera vita. All’Hermitage la signora Moore ha lasciato un suo amante, l’uomo d’affari austriaco ed ebreo Alexander Nagler, per occuparsi di quattro bambini che non ha potuto portare con sè. Nel vuoto spaventato dei loro giorni clandestini, provano ad amarsi, lei resta incinta, e questa è la promessa che la vita continuerà. Lui vuole assolutamente sposarla, ma ha un documento falso che lo dichiara ariano, e gli ariani non possono sposare gli ebrei. Alexander allora si autodenuncia e nel giugno del 1943 riesce a fare di Charlotte sua moglie: è bella, sottile, con capelli castani e occhi azzurri. Pensa che forse potrà osare di esser felice. In aprile ha compiuto 26 anni. La speranza si spegne l’8 settembre, quando l’Italia firma l’armistizio.
“I tedeschi assumono il controllo della zona“.
“Gli ebrei devono pagare e pagheranno”.
“Per questo spediscono a Nizza uno dei peggiori esponenti delle SS”.
“Forse il più crudele di tutti: Alois Brunner”.

Iniziano i rastrellamenti e il 21 settembre una gentile voce femminile “fa il suo dovere”, segnala una ebrea all’Hermitage. Ne trovano due, li arrestano, il 7 ottobre li chiudono nei carri bestiame, il 10 arrivano ad Auschwitz. Lo stesso giorno Charlotte, denudata, con il ventre già ingrossato, viene spinta nella camera a gas. Alexander morirà di stenti l’1 gennaio 1944. Con la freddezza dei suoi “a capo” che prendono alla gola, con le parole misurate e crudeli che devono stare in una riga, Foenkinos non può finire il suo romanzo in quell’atroce camera a gas. Perché non tutti i suoi personaggi non sono sopravvissuti all’Olocausto. Albert e Paula, il padre e la matrigna di Charlotte, arrestati in Olanda, riescono a fuggire e a salvarsi. Alla fine della guerra sapranno che Charlotte è morta e nel 1947 incontrano in Costa Azzurra Ottilie che consegna loro la valigia preziosa in cui scoprono i sentimenti e la genialità della sconosciuta, amatissima figlia e quei pochi mesi d’amore prima della fine. Nel 1940 anche Alfred scappa, a Londra, con l’aiuto di un’allieva, e non tornerà mai più in Germania. Ma si salva anche il torturatore Brunner, che portava i guanti per non toccare un ebreo e, che al servizio di Eichman, è riuscito a mandare in Germania migliaia di ebrei. In Siria insegna metodi di tortura, riesce ad evitare il Mossad e la famiglia El-Assad rifiuta di estradarlo. Muore a quasi cento anni, nel 2010.

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